Sardegna multietnica
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Mito o leggenda?

L’ospitalità è una delle nostre tradizioni più antiche, a partire dal mondo greco e poi latino, arabo e africano in genere, ma ogni popolazione del mondo si ritiene ospitale a suo modo. L’ospitalità ha un nome simile in molte lingue del Mediterraneo, una radice comune. Ma ciò che sicuramente lega ogni cultura a questa pratica millenaria, è la sua importanza sociale: pubblica e privata. Il privato in questo caso, diventa “cosa pubblica”. In Sardegna l’ospite è sacro per molte comunità dei paesi dell’interno, che manifestano pubblicamente il loro grande senso di ospitalità.
Nell’antica Grecia l’ospitalità era chiamata Xenia, e rispettav a un preciso rituale. “La xenia si reggeva su un sistema di prescrizioni e consuetudini non scritte che si possono riassumere in tre regole di base:

“il rispetto del padrone di casa verso l’ospite
il rispetto dell’ospite verso il padrone di casa
la consegna di un “regalo d’addio” all’ospite da parte dell’ospitante.” (Wikipedia)

C’è una dimensione individuale e sociale dell’ospitalità. Il gesto individuale a volte può andare contro l’uso comune, può destabilizzare regole prestabilite in una data comunità. Discorso che vale anche al contrario. Ci sono casi in cui l’ospitalità è un’imposizione, come l’occupazione abusiva delle terre in molte parti del Mediterraneo. Da Israele al Sahara occidentale.
La cultura araba è da sempre considerata molto ospitale, anche se con differenze geografiche. La Tunisia è molto ospitale al sud, e questo è stato dimostrato con l’accoglienza dei profughi libici durante la guerra civile. Pur essendo poveri e senza mezzi hanno accolto migliaia di persone in difficoltà. In Italia ci si lamenta da anni per poche migliaia di profughi che arrivano sulle nostre coste, queste popolazioni stremate hanno avuto la forza di essere ospitali con i loro vicini di casa.

Ci sono regole non scritte, che pare siano adottate implicitamente da molte culture. Recita così il “Dizionario delle istituzioni indoeuropee” prendendo in considerazione l’etimologia e la storia della parola ospite, giunge alla conclusione che la nozione di ospitalità si basa sull’idea che un uomo è legato ad un altro dall’obbligo di compensare una certa prestazione di cui è stato beneficiario. L’ospitalità dunque come tipo di relazione tra individui o gruppi si lega a dei rituali che consistono nello scambio di una serie di doni e contro doni, poiché un dono crea sempre l’obbligo nel partner di un dono maggiore, in virtù di una specie di forza costringente. Questo concetto sembrerebbe applicarsi a persone che già conosciamo. Ma come ci comportiamo con uno sconosciuto che ci chiede ospitalità?”

Oggi si può dire che l’ospitalità, forse in virtù della non certezza del contro-dono, è un’abitudine caduta in disuso. Si è dimenticata la tradizione, perciò il significato profondo di questa pratica antichissima. Si confonde l’ospitalità con un obbligo materiale e non un dovere civile, o ancora meglio, un piacere. Ospitare, presuppone uno slancio umano oltre che materiale.

Ci sono gli aspetti intimi, umani, dell’ospitare. Cosa succede dal punto di vista psicologico quando dobbiamo condividere i nostri spazi con un ospite, magari sconosciuto? Dobbiamo condividere parti della casa, della nostra vita intima. In tempi di crisi economica, l’ospitare e il relativo contro-dono, diventano sistema di viaggio. Grazie alla rete nascono molte esperienze di viaggiatori-ospiti che contraccambiano con la disponibilità della loro casa. C’è una variante moderna dell’ospitalità, le reti di ospitalità. Un sistema per scambiarsi posti letto e ospitalità in tutto il mondo. Al momento, le uniche totalmente gratuite, cioè che non prevedono nemmeno spese associative, risultano essere Couchsurfing, che accetta contributi volontari e Hospitality Club. Con pagamento quota associativa. Le quote associative da versare sono annuali, e rimangono tuttavia di solito minime e simboliche proprio per garantire a tutti un’ampia partecipazione.

Oltre le regole oggettive dell’ospitalità mediterranea, ci sono anche gli aspetti individuali o di appartenenza culturale. Quando mi sento a casa? Quando trovo un ambiente ospitale. Cosa vuol dire sentirsi a casa (o meglio di casa nostra)? Forse quando si ha la percezione che il contesto sia favorevole, accogliente. Ma questa percezione è una sensazione individuale? Ci sono migliaia di pratiche di ospitalità, ogni ospitante da quello che ritiene il meglio per l’ospite. Ma potrebbe essere non completamente gradito dall’ospite, immagino i cibi o le bevande che l’ospite non può assolutamente rifiutare. Situazioni che tutti hanno vissuto, e raccontato con il sorriso dopo essere andati via.

Vi lascio alla scoperta di molte e appassionanti storie mediterranee.

Buona lettura!

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