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Grazia Maria Cosima Damiana Deledda, nota in tutto il mondo come Grazia Deledda, nacque a Nuoro nel 1871. Quattro nomi propri fecero da preludio ad una personalità complessa e sfaccettata come quella della scrittrice sarda che, lontana dalle luci della ribalta e attenta a vivere la sua vita appartata nella casa che aveva costruito per la sua famiglia, si espresse attraverso un universo di figure femminili che parlavano per lei: Marianna, Olì, Ruth, Ester, Noemi, Maria, Annesa, Maria Maddalena, Nina, Maria Concezione, tutte protagoniste dei suoi numerosi romanzi.

‘Cosima, quasi Grazia’ fu il titolo che la Deledda diede alla sua ultima opera, una autobiografia romanzata, incompiuta, forse solo abbozzata, pubblicata postuma nella quale, con l’aiuto di due dei suoi quattro nomi, quelli in cui, evidentemente, meglio si identificava, descrisse l’enorme cammino identitario che portò l’anonima adolescente Cosima a diventare la Grazia conosciuta e apprezzata ovunque, vincitrice di un premio Nobel.

Sullo sfondo, Nuoro, città amata e odiata allo stesso tempo dalla scrittrice che se ne allontanò pur portandola sempre nel cuore, quella ‘Atene sarda’ contraddistinta da una forte presenza di letterati e artisti, definita dalla stessa Deledda “il cuore della Sardegna […] la Sardegna stessa […] il campo aperto dove la civiltà incipiente combatte una lotta silenziosa”, dalla quale non si può prescindere se si vuole comprendere il lungo percorso che, pur toccando mete lontane, in essa cominciò con Cosima e in essa si concluse con Grazia.

Ed è proprio Cosima che accoglie al fondo del centrale Corso Garibaldi e indica la strada verso il rione Santu Pedru, un tempo abitato dai pastori, dove tuttora sorge la casa a tre piani in cui la scrittrice nacque e abitò, divenuta ora il Museo Daleddiano, davanti al quale vi è la porta d’accesso al Parco letterario Grazia Deledda, realizzato intorno alle varie tappe del viaggio artistico ed umano della scrittrice.

Pietro Costa, Grazia Deledda
Pietro Costa, Grazia Deledda

Realizzata, nel 2016, dallo scultore nuorese Pietro Costa, la statua in bronzo di Grazia Deledda ci mostra una giovanetta, Cosima appunto, vestita dell’abito lungo tradizionale, non alta, ma ben piantata sul pezzo di roccia, espressione delle sue radici, che le fa da basamento e che parrebbe evocare quel Monte Ortobene, subito fuori Nuoro, a cui era così legata (“Quando io sto sull’Ortobene e seduta su una roccia guardo il tramonto meraviglioso, mi pare di essere una cosa stessa con la roccia”) e che le aveva ispirato opere come ‘Il vecchio della montagna’. Nel volto e nell’atteggiamento, la giovane mostra quella determinazione che la portò a raggiungere, nei tempi da lei prestabiliti, mete ritenute dai più impossibili. «Avrò fra poco vent’anni; a trenta voglio aver raggiunto il mio radioso scopo quale è quello di creare da me sola una letteratura completamente ed esclusivamente sarda», scriveva, in una lettera del 1890, a Maggiorino Ferraris, direttore di una delle riviste culturali più importanti d’Italia: la “Nuova Antologia”, sulla quale pubblicò più volte. Ebbene, nel 1901, allo scoccare del suo trentesimo anno, Grazia aveva effettivamente raggiunto tutti i suoi obiettivi. A quell’età, la sua opera già includeva poesie, novelle, fiabe e racconti per ragazzi e ben sette romanzi, tra i quali ‘Cenere’ (interpretata al cinema da Eleonora Duse), ‘Canne al vento’, ‘Marianna Sirca’ e ’Elias Portolu’ che l’aveva definitivamente accreditata tra le maggiori autrici italiane e tra le più apprezzate all’estero dopo il successo, soprattutto in Francia, de ‘La via del male’, pubblicato nel 1896, a 25 anni, e apprezzato anche da Luigi Capuana.

Casa natale di Grazia Deledda ora Museo Daleddiano

La casa era semplice, ma comoda: due camere per piano, grandi, un po’ basse, coi pianciti e i soffitti di legno; imbiancate con la calce; l’ingresso diviso in mezzo da una parete: a destra la scala, la prima rampata di scalini di granito, il resto di ardesia; a sinistra alcuni gradini che scendevano nella cantina. Il portoncino solido, fermato con un grosso gancio di ferro, aveva un battente che picchiava come un martello, e un catenaccio e una serratura con la chiave grande come quella di un castello”. L’abitazione della Deledda fu venduta nel 1913; dichiarata monumento nazionale, fu acquistata dal Comune di Nuoro nel 1968 e, dal 1983, è divenuta il Museo Daleddiano dove è possibile ritrovare, fin nei minimi particolari, quanto ricordato dalla scrittrice nel suo ‘Cosima’: il cortile interno, le stanze, soprattutto la camera da letto e la cucina, arredate come un tempo nonché i profumi, ricordo di quei tempi lontani. Manoscritti, fotografie, documenti vari, oggetti personali e materiali acquistati nel corso degli anni mettono in evidenza il legame tormentato della scrittrice con Nuoro e nel contempo le vicende personali e letterarie seguite al tanto desiderato trasferimento a Roma. Nel talento di Cosima, infatti, non erano in molti a credere e questo la allontanò dai suoi familiari e compaesani e dalla sua città. Fermatasi alla quarta elementare -ripetuta pur di non lasciare i libri che continuò a leggere durante i successivi anni della sua formazione da autodidatta- più avvezza al dialetto che ad un italiano che, a pochi anni dall’unità d’Italia, restava quasi una lingua straniera, la ragazza troverà solo nel fratello Andrea un fervido sostenitore. Grazie a lui, potrà continuare a coltivare la sua passione di scrittrice, attività iniziata già a 13 anni, anche contro le malelingue che circolavano in paese sulle donne che si dedicavano ad una simile attività, barriere ideologiche ancora oggi difficili da abbattere. Amica del pittore e letterato Antonio Ballero che prese le sue parti, Grazia Deledda apprezzò il lavoro di Giuseppe Biasi che la ritrasse in uno scherzoso disegno e illustrò sia la prima versione de ‘L’incendio nell’oliveto’ sia la novella ‘La festa del Cristo’. Attraverso Biasi, Grazia conoscerà e sosterrà un’altra grande sarda, Adina Altara.

Deledda/Biasi, L’incendio nell’oliveto
Deledda/Biasi, La festa del Cristo

Giuseppe Biasi, Grazia Deledda

Pur amandola profondamente, la Sardegna andava stretta ad un’anima forte, determinata, libera, inconsapevolmente moderna, non femminista come l’intendiamo oggi, ma con uno spiccato senso del femminile (che la portava a denunciare la condizione delle donne d’allora “sopraffatte e maltrattate o tenute lontane dall’istruzione”) nonché della salvaguardia delle tradizioni (scrisse, tra l’altro, anche per la “Rivista delle Tradizioni popolari italiane”), seppur severa e schiva quale la Deledda era. Quando, nel 1900, la lasciò insieme al marito per recarsi a Roma, da lei chiamata “la Gerusalemme dell’arte” e da dove non sarebbe più tornata, per lei si avverò un sogno.

Roma le spalancò le porte del mondo. Donna di primati, oltre a quello di essere l’unica scrittrice italiana ad aver vinto un Nobel, fu la prima donna italiana candidata al Parlamento. Venne anche effigiata su un francobollo del governo turco di Gemal Pascià, nel 1936, nell’ambito della serie filatelica dedicata alle donne celebri di tutto il mondo, comprese Madame Curie e Selma Lagerlöf. Ancora oggi continua a mietere primati: in un Paese come il nostro, dove raramente le donne vengono fatte oggetto di monumenti, ne può annoverare ben sette che ne perpetrano il ricordo. In un recentissimo censimento appena conclusosi, condotto dall’associazione ‘Mi Riconosci? Sono un professionista dei beni culturali’ in tutta Italia, sono risultati essere solo 148 i monumenti e le statue dedicati a figure di donne realmente esistite; Grazia Deledda è quella che, insieme ad Anita Garibaldi, è la più rappresentata!

Il primo di tale elenco di monumenti ad essere realizzato, fu inaugurato il 5 dicembre 1947, a Roma, al Pincio e rappresenta un altro record. Tra i 225 busti di letterati, politici, storici, scienziati, tutti uomini, infatti, venne scoperto un busto in marmo di Grazia Deledda, il terzo femminile esposto in quel luogo. Fino a quella data nei vialetti della splendida passeggiata romana, si potevano ammirare solo il volto di Santa Caterina da Siena, la patrona d’Italia e poi d’Europa, e quello di Vittoria Colonna, la grande poetessa nobildonna, amica di Michelangelo.

Il ritratto della Deledda fu eseguito da Amelia Camboni (1913-1985), una scultrice sarda, nata a Villamassargia, trasferitasi, nel 1946, a Roma. Allieva di Francesco Ciusa, uno degli esponenti, ad inizio ‘900, della così detta “Atene sarda” come Nuoro venne battezzata in quegli anni, sorta di Grazia Deledda della scultura per la sua forza nell’affermarsi a livello internazionale malgrado fosse pressoché misconosciuta in Sardegna, la Camboni aveva rigore e semplicità di modellato nonché acuta capacità di penetrazione psicologica. Aperto un atelier a Porta Pinciana, vi eseguì per vari enti pubblici commissioni di grande rilievo tra le quali il busto della scrittrice sua conterranea rimane sicuramente tra le sue opere maggiori.

Amelia Camboni, Busto di Grazia Deledda, Pincio, Roma

Nel 1956, in occasione del ventennale della scomparsa di Grazia Deledda, il 9 settembre, Cervia celebrava il ricordo della scrittrice sarda, dedicando a lei un monumento bronzeo, opera dello scultore Angelo Biancini, posto al centro di una rotonda del lungomare a lei intitolato. Biancini, allievo di Libero Andreotti, era nato a Castel Bolognese nel 1911 ed era famoso per sculture eseguite, tra l’altro, per la chiesa dell’Autostrada del Sole e l’Ospedale Maggiore di Milano nonché per una scultura di Don Minzoni. Dal 1921, Grazia Deledda aveva scelto di trascorrere le vacanze estive a Cervia dove trovò ispirazione per alcuni dei suoi romanzi: ‘Il paese del vento’, ‘Fuga in Egitto’, ‘Il segreto dell’uomo solitario’ oltre a vari racconti. A Cervia aveva trovato la pace e la serenità e una intima comunione fra le due anime, quella sarda e quella cervese, un vincolo di amore e fratellanza, una intima corrispondenza fra la terra antica e quella nuova. La bellezza di quella terra evocava in lei antiche emozioni che si mescolavano a quelle sprigionate dalla bontà della gente che tanto amava, sentimenti ricambiati con amore e ammirazione non soltanto per la sua umiltà, riservatezza e dignità, ma anche per l’arte e la scrittura. Il monumento fu dedicato da Biancini non solo alla Deledda scrittrice, ma anche a colei che, nel 1927, divenne cittadina onoraria della città. L’opera rappresenta due figure femminili, unite tra loro dall’attività quotidiana, una portatrice d’acqua e una pescivendola. Significativo è il tentativo di mettere in luce analogie e differenze tra le due donne, una sarda e l’altra romagnola, e due realtà diverse tra loro. All’inaugurazione del monumento erano presenti l’allora Presidente del Consiglio Antonio Segni, numerosi esponenti regionali e nazionali della politica, delle istituzioni e della cultura – presente anche il segretario reale dell’Accademia Svedese – e i premi Nobel per la Letteratura Roger Martin Du Gard (1937), Pearl S. Buch (1938), Hermann Hesse (1946), François Mauriac (1952) e Halldór Laxness (1955).

Angelo Biancini, Monumento a Grazia Deledda, Cervia

Incredibilmente, si dovrà attendere fino al 1981 per vedere finalmente realizzato un monumento alla Deledda nella sua città natale. A novant’anni dalla sua nascita, fu finalmente posto un busto bronzeo, anonimo, di fronte al Palazzo del Municipio, relegato in uno spiazzo verde dei giardini pubblici di Piazza Italia, a Nuoro. La scultura, sistemata su una colonnina in granito sormontata da un parallelepipedo dello stesso materiale, a tutt’oggi non reca il nome della scrittrice, ma, solo, all’altezza della spalla destra, la firma dell’autrice, Lucia Caggiari Guiso e la data di esecuzione: 1981. Nota soprattutto come scrittrice, Lucia Caggiari Guiso, nata a Bortigali in provincia di Nuoro nel 1909, fu anche pittrice, ceramista e scultrice. L’austero volto della Deledda rimane una delle sue opere più note.

Lucia Caggiari Guiso, Grazia Deledda

Nel 2019, l’artista nuorese Gianfranco Nonne, emigrato anni prima nelle Isole Fær Øer (Faroe), un arcipelago situato tra l’Islanda e la Norvegia dove tutt’ora vive, decise di celebrare la scrittrice barbaricina attraverso ciò che più l’ha rappresentata nel mondo: il suo volto. Concepito il progetto nel 2016, in occasione dei novant’anni dall’assegnazione del Nobel e presentati i modelli dell’opera a varie personalità ed istituzioni nuoresi, Nonne non riusciva a trovare nessuno interessato alla sua realizzazione. A sue spese, ha fatto egualmente fondere la statua nella città sarda di Monserrato. Malgrado l’innegabile bellezza dell’opera – un’enorme testa che emerge dalla terra in tutta la sua maestosità, che nella visione dell’artista avrebbe dovuto rappresentare una sorta di rivalsa della Deledda dopo anni di dure battaglie e forti discriminazioni – questa non sembrava poter trovare posto a Nuoro. Esposta temporaneamente nell’ampia e lussuosa hall di un hotel 5 stelle di San Teodoro in Gallura, si pensava, quindi, di trasportarla alle Isole Faroe dove, per volontà del sindaco della città in cui lo scultore vive, un forte estimatore della Deledda, avrebbe dovuto essere installata in un ampio spazio per essere apprezzata dal grande pubblico. Dopo una mostra che ha riscosso molto successo, organizzata a Nuoro nel 2020 presso la galleria “Spazio Sintesi”, si spera di riuscire a far rimanere la scultura in città, dandole degno collocamento.

Gianfranco Nonne (sulla sinistra), Testa di Grazia Deledda

Intanto, sempre nel 2020, in agosto, un’altra scultura in bronzo di Grazia Deledda veniva inaugurata sul monte Ortobene. L’opera è stata realizzata dall’artista Pietro Longu, nativo anche lui, come Lucia Caggiari Guiso, di Bortigali. La collocazione sul monte Ortobene della statua non è casuale, visto il forte legame che la scrittrice aveva con quel luogo, descritto amorevolmente nel suo romanzo più famoso ‘Canne al vento’ e citato durante il discorso pronunciato al ricevimento del Nobel. “Ho progettato l’opera di Grazia Deledda ispirandomi all’amore della scrittrice per la natura, evocata e descritta nei suoi libri con colori e profumi, e in sintonia con il paesaggio del Monte Ortobene, unico e suggestivo, a lei tanto caro” ha affermato lo scultore che ha anche aggiunto: ”Ho rappresentato Grazia Deledda con il costume di Nuoro di fine Ottocento per rendere omaggio alle sue origini, alle tradizioni nuoresi e al forte legame con la città. L’opera è una dedica all’eccezionalità della donna sarda, forte, saggia, discreta, paziente e coraggiosa, dall’animo orgoglioso, colonna portante della famiglia e della società”.

Pietro Longu, Grazia Deledda, Monte Ortobene

Nel 1954, dopo la morte avvenuta per un tumore al seno nel 1936 e la tumulazione nel cimitero romano del Verano, la famiglia decise di riportare Grazia Deledda a Nuoro. Si decise di inumare le spoglie in un sarcofago posto nella piccola Chiesa della Madonna della Solitudine, ai piedi del Monte Ortobene, a 700 metri da quella che era stata l’abitazione della scrittrice. Grazia Deledda aveva parlato di quella chiesa nell’ultimo romanzo pubblicato mentre era in vita: ‘La Chiesa della solitudine’, la storia poetica e appassionata, piena di riferimenti autobiografici, di una donna, Maria Concezione, malata di cancro, in procinto di dare l’addio al mondo. Costruita nel Seicento, la chiesa della Madonna della Solitudine aveva le fattezze tipiche delle chiesette campestri sarde con facciata a capanna, campanile a vela, navata unica, decorazione scarna, forme pulite e semplici, ma versava in avanzato stato di abbandono. Per restaurarla, nel 1947, fu bandito un concorso, vinto dall’artista nuorese Giovanni Ciusa Romagna che si ispirò sia alla vecchia costruzione sia alla descrizione fatta dalla Deledda nel suo libro. Ciusa Romagna invitò a collaborare gli scultori Gavino Tilocca ed Eugenio Tavolara, autore quest’ultimo dello splendido portale di bronzo, ancora oggi considerato una delle opere più importanti dell’artista.

Eugenio Tavolara, Portale in bronzo

Chiesa della Madonna della Solitudine dopo il restauro

Nel 2011, due anni prima della sua morte, Maria Lai volle rendere omaggio a Grazia Deledda, realizzando un monumento, l’ultimo della sua carriera, a un centinaio di metri dalla chiesetta della Solitudine, lontano dal frastuono urbano, nel silenzio che tanto piaceva alla scrittrice. Concepita come luogo di sosta e meditazione, l’opera si apre, stando all’artista, al cielo e alla terra. È realizzata interamente in cemento, bianca di luce, contenuta in un’abside rocciosa. Un grande portale quadrangolare immette nell’area occupata da colonne bianche su cui, stilizzate, sono riportate in nero immagini di personaggi della vita nuorese, figure di donne e pastori, di capre e telai frammiste a scritture. Superare il portale è un invito a lasciarsi le ansie alle spalle e a spaziare in un’altra dimensione. “Andando via” è il titolo scelto dalla celebre scultrice di Ulassai che, dopo averla compiuta, raggiunse Grazia Deledda in quell’altra dimensione che, con quest’ultima opera, aveva voluto evocare.

Maria Lai, Monumento a Grazia Deledda

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