La televisione
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Il 3 gennaio del 1954 iniziavano le trasmissioni della RAI. Un viaggio lungo sessant’anni di progressi che hanno accompagnato la crescita del nostro Paese. Una delle più grandi imprese di comunicazione pubblica a livello europeo e mondiale. La RAI è un patrimonio pubblico non solo nazionale, si occupa di diffondere la cultura e l’informazione italiana nel mondo, di fare progetti e cooperare con altri paesi per la reciproca diffusione della cultura.

Nonostante l’ascesa della rete possa minare il predominio della TV, questo mezzo di comunicazione detiene ancora il primato del controllo dell’informazione, della comunicazione politica. Il business che sta dietro ai grandi gruppi editoriali televisivi continua a permettere questo predominio, anche se la crisi investe anche questo settore, in particolare le TV locali.
La televisione, come la rete, risponde all’esigenza di diventare globale e al contempo mantenere le tradizioni locali, anche la TV deve trovare una formula glocal per sopravvivere. Ci sono progetti molto belli, come il programma della Rai Mediterraneo. Da molti anni racconta il meglio e il peggio delle storie che ci appartengono, con uno sguardo al mondo che ci circonda. Viaggi nei meandri della cronaca economica, artistica, sociale. Uno sguardo che rispetta il passato per affrontare meglio anche il futuro.

Quali sviluppi per la tv del futuro?

Nell’epoca di internet che peso ha la TV nei paesi mediterranei? Quale futuro e quale giro d’affari occupa, quale potere politico e sociale gli possiamo attribuire? Al netto delle trasformazioni tecnologiche del mezzo, che però ne trasformano anche la sostanza, la tv ha ancora il potere di condizionare una società?

Un grande fenomeno, forse troppo avanti con i tempi, è Current tv, la televisione online. Un progetto che ancora non decolla davvero, la colpa è da attribuire alla resistenza delle grandi aziende della TV tradizionale. La piattaforma internet è però la condizione ideale per uno sviluppo di un progetto televisivo. Il problema, a mio parere, è simile a quello delle grandi piattaforme editoriali online di informazione: si può creare un pubblico globale?

Si può fare l’esempio del Marocco, (che somiglia a tutti i paesi arabi in questo aspetto), dove la tv satellitare è stata, e continua ad essere, una rivoluzione sociale fortissima. Avendo a disposizione più canali non esiste più la sottomissione ad una sola offerta, ognuno trova il canale che soddisfa il suo bisogno. Se i tetti delle case sono pieni zeppi di parabole, – e mai nome fu più appropriato-, è perché ogni componente della famiglia possiede una tv dove guardare i suoi programmi preferiti. La libertà di scelta ha i suoi vantaggi sulla soddisfazione personale, ma porta in essere anche dei problemi, addirittura distruggendo i legami familiari: all’ora di cena ognuno si rintana dove può a guardare le telenovela, lo sport o i dibattiti politici. Sta diventando un fenomeno sociale, che tende a parcellizzare la comunità. Chi ci guadagna sono le aziende. Wuelle che vendono le parabole (anche nel senso letterale…), quelle che fanno pubblicità, avendo un mercato più facile da individuare.

Ma anche l’aspetto opposto al globale è un po deludente, ossia localizzare ogni cosa. Tv locale, giornali locali, informazione di quartiere, testate super personalizzate. Forse la quantità abnorme di canali e informazione rispecchia la mancanza di grandi idee?

Ci sono tanti aspetti della televisione quanti sono quelli della vita di ogni persona: amore, morte, lavoro, informazione, economia, spettacolo, soprattutto intrattenimento. E’ facile, ma non scontato, dire che la televisione, almeno da quando la tv commerciale ha eguagliato quella pubblica, che ogni cosa è diventata “spettacolarizzabile”, oggetto di marketing. L’ultimo programma sui provetti scrittori della Rai è un esempio palese di come un aspirante scrittore possa fare spettacolo, favorendo solo l’odiens del programma.

La tv punta molto, troppo, al guadagno facile.

Da sempre l’editoria in genere deve rispondere ai problemi della trasparenza e indipendenza dall’economia. L’Italia è un “caso scuola”, la commistione tra controllo delle televisioni, politica ed economia, è un cancro difficilmente risolvibile. La malattia ormai non dipende più da chi l’ha iniettata nella società.

Un aspetto che manca totalmente nelle nostre tv italiane è la sezione Esteri. E’ completamente scomparso l’interesse per l’estero, come se quello che succede fuori non condizionasse anche la vita di ogni Paese. Si fanno servizi superficiali sulla questione mediorientale, la primavera araba, la corona inglese, la mafia russa e via discorrendo. Sicuri che ogni canale rispecchia la posizione politica della testata, a favore o contro Israele, tanto per dirne una.

Ci sono anche aspetti positivi, in Italia la maggiore offerta di offerta di canali sul digitale terrestre sta dando i frutti sperati. Molto lentamente una fetta di popolazione si cimenta nei nuovi canali per trovare quello che manca in quelli tradizionali: la qualità.
Esiste la tv di grande valore culturale, quella che invece un progetto ce l’ha davvero. Le grandi biografie, la grande storia, i Philippe Daverio che trovano il modo di parlare di storia dell’arte, politica o filosofia senza perdere la precisione e l’importanza della materia trovando un passepartout ideale, con la tensione e il linguaggio di un discorso fatto di persona.
Abbiamo i grandi programmi di inchiesta giornalistica, che riparano in qualche modo i danni fatti dai tg quotidiani.

Nel Mediterraneo si stanno muovendo diverse iniziative, in particolare vogliamo parlare dell’associazione internazionale Copeam, che unisce molti paesi attraverso la cooperazione tra le TV nazionali, con l’obiettivo molto ambizioso di creare insieme una TV mediterranea. Nella sezione Storie Meridiane l’intervista al presidente Pier Luigi Malesani.

Il tema dell’informazione televisiva è molto vasto, noi proviamo nel nostro piccolo a dare un contributo.

Buona lettura!

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