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Soltanto un ammasso indefinito di emozioni e materia, cosi mi verrebbe da definire l’inizio di ogni essere umano nel seno materno, quel mistero del dualismo tra mente e corpo, soma e psichè che tanto ha intrigato la filosofia già ai suoi albori.

Cartesio (“Meditazioni metafisiche”) in età moderna con i suoi guanti asettici del razionalismo ha pensato bene ad una soluzione che a molti è parsa divertente, la ghiandola pineale come punto di incontro e di contatto tra res cogitans e res extensa, tra pensiero e corpo, però il grande furbetto ha lasciato incompiuta la parte relativa a quella sfera che tanto invece era piaciuta a Kant (“La critica della ragion pratica”), ossia l’agire morale dell’uomo il cui postulato essenziale è proprio la libertà.

L’uomo secondo la scienza è materia da studiare al microscopio, in effetti tutte le scienze positive dalla chimica, alla fisica, alla biologia lo hanno indubbiamente racchiuso dentro la gabbia rassicurante del meccanicismo. La medicina facilmente attribuisce un sintomo ad una malattia, cerca di ristabilire la salute del corpo con una pillolina frutto di relazioni definite di natura molecolare. Si lotta contro ogni sintomo ed il corpo diventa luogo perenne di battaglia. Eppure, proprio quando la malattia è incurabile o cronica si riapre il mistero dell’uomo, il tempo della scienza si ferma e si accede al tempo della vita di bergsoniana memoria (Bergson Henry, “Tempo e durata”). L’anima si siede ed è costretta a guardare il suo corpo malato, si ricorda che è dentro o forse fuori una materia che non risponde necessariamente ai suoi comandi, la malattia altro non è che una sosta obbligata che l’io deve decidere come affrontare e vivere. La dimensione delle attese interminabili degli esiti è simile a quella del deserto spirituale, tutto cessa di esistere nel suo carattere superfluo per lasciare spazio all’essenzialità della malattia.

Ma cos’è la malattia?

E’ interessante la visione orientale di cui l’India rimane un grande punto di riferimento con l’induismo e l’ayurveda secondo cui la malattia del corpo appare essere uno squilibrio dei tre elementi base di cui sarebbe costituito il soma. Secondo la teoria dei tre numeri (tridosa), il corpo dell’uomo sarebbe composto da vento (vata), bile (pitta), e flegma (Kapha), se subentra la malattia significa che è venuto meno l’equilibrio fra questi tre elementi. Ecco che nella medicina orientale prima, cosi come nella medicina cristiana poi, emergono delle figure religiose e sociali importanti che hanno la funzione di guarire con offerte votive alla divinità, riti di purificazione e orazioni che scacciano gli spiriti maligni ritenuti anch’essi responsabili dello squilibrio che ha causato la malattia.

Il problema è assai complesso, non basterebbe certo un solo articolo per esaurirlo, ma ciò che emerge oltre l’approccio diverso delle varie religioni verso la malattia è la visione del rapporto mente – corpo. Quando nessuno sciamano, nessun veggente o esorcista riesce a donare la salute all’uomo, la malattia diventa l’unico orizzonte di senso che chiede all’uomo, alla sua anima, alla sua mente di interrogarsi.

Le religioni

La religione cristiana interpreta la malattia come un dono per purificare l’uomo, fargli espiare i suoi peccati, la sua anima diventerà più bianca della neve ed egli sarà dopo la morte al cospetto della divinità immacolato. Addirittura la malattia del singolo individuo diventa strumento di salvezza per l’intera umanità, se il malato offre i suoi dolori a Dio per la salvezza di tutti gli uomini, ecco che allora altro non è che un nuovo Cristo che si immola sulla croce per il bene di tutti. L’ingrediente essenziale per vivere in totale accettazione la malattia per i cristiani è la fede, ma se non si possiede la fede come si può vivere la malattia? Come trovarvi un senso?

Nell’ambito della religione orientale Osho, mistico contemporaneo indiano prepara l’uomo, con la sua filosofia del risveglio verso la consapevolezza, a raggiungere l’equilibrio tra corpo, mente e anima ancora prima che sopraggiunga la malattia. E’ molto interessante come lo stress, l’infelicità dell’uomo influiscano sulla salute del suo corpo. Emerge un concetto essenziale che accompagna poi la meditazione, fulcro essenziale del pensiero mistico indiano, vale a dire la libertà.

Libertà di vivere le sensazioni e pulsioni del proprio corpo e le emozioni della mente e dell’anima senza giudizi ma con amorevole compassione. Se la religione cristiana afferma che bisogna lottare contro le pulsioni del corpo considerato come luogo di peccato, Osho suggerisce di vivere appieno tutte le sensazioni del soma al fine di ritrovare quell’amicizia perduta tra mente e corpo, superando quel dualismo che li pone in continua lotta fra loro. La meditazione è quel centrare mente, anima e corpo su se stessi al fine ritrovare l’illuminazione e di conseguenza la pace e la serenità. Partire dall’amicizia tra corpo e mente è allora essenziale perché il corpo non abbia bisogno di gridare per far sentire il suo malessere come accade per le malattie di natura psicosomatica e, di fronte a malattie incurabili, diventa l’amato da curare con compassione e pazienza. E’ come se l’anima nel deserto della malattia prendesse in braccio il suo corpo non sentendosi più sola.

La letteratura

“Il Piccolo Principe “di Saint Exupery in tal senso rivela a mio avviso l’essenzialità della malattia come momento necessario per ritornare al vero compito dell’uomo. L’aviatore è costretto a fermarsi nel deserto a causa di un ‘avaria al motore, è una sosta forzata che lo innervosisce, è un imprevisto. Sarà proprio questo incidente di percorso a fargli incontrare quel viso dolce del piccolo principe dalla sciarpa d’oro. L’uomo adulto ritornerà a meravigliarsi di fronte all’ovvietà dimenticata dell’esistenza. L’essenziale ritornerà a fare capolino nel cuore dell’aviatore, gli stereotipi del mondo degli adulti lo faranno stupire insieme al piccolo principe che si chiederà il perché un re continui a dare ordini pur non avendo più sudditi, o perché un uomo d’affari perda tempo a contare il numero infinito delle stelle scambiandole come oro di sua proprietà. Ma un pensiero preoccupa il piccolo principe, la sua rosa con quattro spine che lo aspetta nel suo pianeta. L’aviatore solo alla fine scopre che era necessario cadere nel deserto per poter riprendere quota nell’essenzialità della vita, e si innamora del sorriso dell’ometto dalla sciarpa d’oro. I viaggi però includono un arrivo e una inevitabile e dolorosa partenza. Il pilota raggiunge il piccolo principe mentre seduto sul muretto parla con qualcuno al quale chiede quanto durerà la sua sofferenza che lo aiuterà ad andare lontano, a tornare a casa. L’aviatore non capisce subito a livello razionale, anzi il dolore fisico, la fitta che sente al cuore anticipano la sua consapevolezza, il suo corpo ha sentito ciò che la sua anima intuirà solo dopo. Sarà l’attesa della fine per passare ad un nuovo inizio, ma da un’altra parte.

Soffrono entrambi, è il prezzo del prendersi cura uno dell’altro, perché in fin dei conti nei loro dialoghi entrambi si sono addomesticati.

I luoghi dell’anima

Mi viene da pensare che il deserto sia il luogo di incontro dell’anima con la malattia, il motore il nostro corpo che supporta la nostra anima che poi è l’aviatore. Secondo la tradizione orientale l’armonia si crea dall’unione di anima, mente e corpo nell’individuo ed è proprio dall’unione di questi tre stati che si raggiunge il quarto stato, il turiya che poi è il divino, l’intero. Il principe è il vero senso della vita, è un arrivo fatto di incontri ma sempre accompagnato dalla nostalgia di ritornare a qualcosa o qualcuno che è sempre stato importante. Affinché il tutto si completi occorre un’azione esterna e dolorosa, che nel caso del principe è il veleno del serpente, nel caso dell’uomo è l’epilogo della malattia. Siamo nel pieno delle doglie della vita dell’uomo che poi è la chiusura del cerchio della vita. Per atterrare nel nostro mondo abbiamo dovuto piangere per attivare i polmoni, per lasciarlo dobbiamo piangere per passare in una dimensione diversa, e l’anima ne è consapevole. L’aviatore ha paura e anche il principe, seppur ami tanto la sua rosa e voglia ritrovarla, in cuor suo soffre. Un dono prezioso allevierà la sofferenza di entrambi, il sorriso del bambino che stavolta non sparirà nel nulla ma rimarrà dolcemente intrappolato in ogni stella. Ogni volta che l’aviatore aprirà la finestra nel cuore della notte osserverà le stelle e dolcissime risate come tanti sonagli abbracceranno la sua anima colmando il suo cuore dalla nostalgia del suo piccolo amico incontrato in un deserto.

Armonia, equilibrio tra mente e corpo ritornano allora più che mai necessari nella dimensione dell’uomo che, come affermava Pitagora, dovrebbe ritornare a sentire quel suono armonioso prodotto dalle sfere celesti, udito soltanto da chi ha compreso che l’essenziale e invisibile agli occhi e visibile soltanto al cuore.

Immagine in evidenza: Vanni Masia

Bibliografia

“Osho, meditazione per chi ha fretta”, Oscar Spiritualità, edito da Mondadori.

“Le petit prince “ di Saint Exupéry.

2 thoughts on “L’abbraccio dell’anima al corpo

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