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Il know how flegreo sull’allevamento delle ostriche è una forma di conoscenza ben nota, praticata e consolidata sin dall’Antica Roma e, grazie alle testimonianze di Plinio il Vecchio, possiamo evincere quanto il concetto di merroir e di oyster sommelier fossero già stati enunciati all’epoca. Dallo stesso autore del “De Naturalis Historia” si apprende molto del primo ostrearum vivarium, installato proprio nei Campi Flegrei, dai seguenti versi:

le ostriche del Mar di Marmara sono già più grosse di quelle di Lucrino, più dolci di quelle della Bretagna, più gustose di quelle di Medoc, più piccanti di quelle di Efeso, più piene di quelle spagnole… più bianche di quelle del Circeo; di quest’ultime è assodato che non ve ne sono di più dolci o più tenere”.

Sergio Orata fu il primo in assoluto che ideò nella sua residenza di Baia dei vivai per le ostriche, al tempo dell’oratore Licinio Crasso, prima della guerra contro i Marsi; spinto non tanto dalla gola quanto dalla sua brama di denaro, poiché sapeva trarre dal suo fertile ingegno grossi profitti… Lui per primo ottenne un ottimo  sapore dalle ostriche del Lago Lucrino, poiché gli animali acquatici, anche se sono della stessa specie, sono migliori o peggiori a seconda del luogo in cui vengono catturati”.

Quindi il territorio, anche nella forma di “agricoltura marittima”, così come metaforicamente può definirsi la pratica dell’ostricultura, diventa per neologismo merroir: esso costituisce l’insieme completo delle condizioni di un dato luogo in cui vengono allevati i frutti di mare ed altre specie ittiche, cioè quelle caratteristiche totali o il fenotipo di un organismo, attribuibili a tecnica di raccolta e coltivazione, salinità, maree, fonti alimentari locali, stagionalità e clima.

Purtroppo, nei secoli successivi, fu l’eruzione vulcanica del 1538 a ridimensionare drasticamente la superficie del Lago di Lucrino, rendendolo poco fruttuoso per l’allevamento dei preziosi bivalvi. Si dovette attendere fino al 1764 perché si muovesse qualcosa: Ferdinando IV di Borbone infatti ripristinò l’ostricultura nell’area flegrea in quell’anno, riavviandola però presso il Lago Fusaro, già riserva di caccia e pesca; lo specchio d’acqua lacustre venne acquistato nel 1752 da Carlo III dalla Real Casa dell’Annunziata.

Qualche anno più tardi vennero avviati i lavori di bonifica per conferire il giusto bilanciamento tra acqua dolce e salata, oltre che per favorire il ricambio delle acque, e Ferdinando volle venisse edificata la Casina Vanvitelliana e la villa detta L’Ostrichina. Intanto, nel 1853 Napoleone redisse un importante editto marittimo, riguardante tutte le attività attinenti al mondo della navigazione, del demanio marittimo e lungo le coste, commissionando una vera e propria legislazione sull’ostricultura. Il governo francese commissionerà in quell’epoca le ricerche che sortiranno la visita del naturalista Maurice Coste presso il Lago Fusaro, il quale avvierà uno studio meticoloso sulle tecniche di allevamento avviate anticamente dai Romani e ben consolidate dai regnanti borbonici, così come riportato nel Manuel Pratique d’Ostréiculture di Arnould Locard, importandone la conoscenza sulla sponda atlantica della Francia, fattore determinante per il successo odierno dei cugini d’Oltralpe in questo settore economico.

Insomma, la Campania, per quanto oggi resti ben poco degli antichi fasti, ha fatto scuola e oggi va ammesso che la Francia ne ha saputo cogliere il testimone, evitando che la conoscenza accumulata nell’arco di qualche millennio andasse irrimediabilmente persa. Vanto di questa regione resta l’Irsvem, tra i maggiori stabilimenti italiani di stabulazione.

Forti di questo antico retaggio e della tradizione familiare dell’azienda Mare sud srl, con oltre 50 anni di esperienza nel settore ittico, le cugine Claudia e Rossella Migliaccio hanno fondato recentemente una boutique online, in onore del nonno salvatore e per avvicinare le persone al gusto dei prodotti della pesca e dell’agricoltura marina, ribadendo le loro origini flegree e la loro passione per le ostriche: Migliaccio storie di Mare.

Un sodalizio tutto territoriale non poteva che portare a una partnership con una cantina altrettanto flegrea: il Quarto Miglio di Ciro Verde, fiera realtà vitivinicola fondata dal dott. Raffaele Verde e che vede una produzione di grandissima caratterizzazione di vitigni prefillosserici locali ed una rigorosa disciplina enologica.

Nella serata di venerdì 17 novembre le due realtà familiari hanno voluto cimentarsi in una bella prova: sfatare il mito dello Champagne, quale unico abbinamento con le ostriche, e tentare il match col vino ricavato dalla Falanghina allevata nei crateri della Caldera dei Campi Flegrei. Naturalmente, vista la meticolosità e la cura per le cose ben fatte delle due famiglie, l’evento non poteva che svolgersi alla presenza di estimatori di ostriche, enogastronomi e giornalisti, tutti riuniti per l’occasione nel ristorante della cantina.

Ad orchestrare la serata e tenere le redini di un dibattito di grande erudizione Adele Munaretto, comunicatrice e sommelier competente, unitamente alle cugine Migliaccio, Ciro Verde e Vania Barthelemy, importatore di prodotti di eccellenza tra cui le ostriche francesi, di cui si occupa personalmente della selezione, dimostrando l’importanza della figura del negociant d’huîtres per tutta la filiera. Il dibattito ha avuto luogo partendo anche dalla considerazione che per quanto l’Italia produca soltanto 200 tonnellate, rispetto alle 120 mila tonnellate in Francia, è il secondo consumatore europeo. Tecniche di allevamento, caratteristiche organolettiche e accorgimenti su come aprire questo cibo prelibato dal suo scrigno naturale, sono i temi affrontati unitamente agli aneddoti sulla Napoli borbonica, raccontati anche da Giuseppe Del Ponte, erede diretto dell’ostricaro del re Ferdinando ed ostricaro fisico a sua volta… eh sì, grosse com’erano al tempo, parliamo del tipo ostrea edulis, ci voleva proprio il fisico per aprirle.

Gli assaggi proposti per l’occasione erano tutti con la specie crassotea gigas, ergo l’ostrica concava: la Gold Beach abbinata alla Falanghina spumantizzata in versione extra dry “Momenti”, la Friandise con Falanghina Campi Flegrei Doc 2021 e la Mont St. Michel con la Falanghina riserva “Macchia Bianco” 2017, tutte del calibro 3. Infine, a sorpresa, una Gillardeau calibro 2 abbinata al Gragnano, sempre del Quarto Miglio. Il primo abbinamento, tutto giocato sulla contrapposizione tra sapidità del bivalve, tra l’altro premiata dal ministero dell’agricoltura francese, e morbidezza delle bollicine, ha visto prevalere in persistenza il frutto di mare, non senza piacevolezza palatale. Più bilanciato invece il secondo abbinamento e perfetto il terzo, che ha decisamente evidenziato tutto il potenziale della falanghina flegrea. Sfizioso e sorprendente il pairing con il frizzante e popolare Gragnano. Prodotti ittici eccellenti e falanghina dalle note di iodio, agrume, macchia mediterranea ed idrocarburo in crescendo.

Da settembre 2023 Migliaccio storie di Mare, giovanissima start up tutta al femminile, si prefigge di portare in tavola il gusto più autentico delle ostriche ed elevare la cultura del frutto di mare tra i consumatori: indicazioni sul calibro e tecniche di allevamento, tracciabilità del prodotto e descrizione, sono soltanto alcuni degli aspetti finalizzati a stimolare la curiosità e favorire un approccio al consumo consapevole del prodotto.

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