giovanna mulas
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Di Giovanna Mulas

“…Bisogna seguire la via dell’acqua che va sempre all’ingiù

se si vuole riportare alla luce il tesoro, preziosa eredità del Padre.

Ma la perla giace nella profondità delle acque;

laddove è possibile perdersi.”.

(Jung)

L’irrimediabile condizione di esseri individuali come origine primordiale del dolore umano?.

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“…Ecce Homo, Ecco l’Uomo; e che questo titolo oggi così oltraggioso per noi ci coprisse d’obbrobrio e d’umiliazione, svelando i frutti amari che il crimine ha seminato in noi, al centro della gloria di cui avremmo brillato, se il nostro nome avesse conservato il vero carattere.”, scrisse Louis Claude de Saint-Martin.

Un delizioso poema persiano racconta che gli uccelli, venendo a conoscere lo splendore del ‘Simurgh’, lo eleggono Re e si accordano per cercarlo. Soltanto 30 sopravvivono al lungo viaggio e, raggiungendo la sua montagna, si accorgono di essere un’unica entità col Simurgh. ‘Simurgh’, simbolo sufico dell’unione col divino, in persiano significa 30 uccelli. “…e sola e senza il nido dovrà volare l’aquila nel sole.”, scrive il Gibran ne The Prophet: “And alone and without is nest shall the eagle fly across the sun.”. L’aquila che ritrovo nel Blake in The Book of Thel (Thel’s Motto), seppure indicativa di una conoscenza volante, mediata, astratta, fuggevole dell’abisso/esistenza: “Does the Eagle know what is in the pit; Or wilt thou go ask the Mole? (…)”. “L’aquila sa cosa c’è nell’abisso; o lo andrai a domandare alla Talpa?”. Ecco la conoscenza della talpa, legata ai sensi: profonda, istintuale (forse più vicina ad una Verità?). 

Opinione frequente è che il tema di ‘The Book of Thel‘ riguardi la pre-esistenza dell’anima e il suo rifiuto, o la sua perplessità, ad entrare nella tomba vivente dell’esistenza terrena.

Durante la stesura del mio saggio ‘Oratio de Hominis Dignitate’ (Fontana Editore, 2019), ho riflettuto profondamente sull’esperienza emblematica di Magister Gregorius, un dotto, presumibilmente inglese, vissuto dopo l’inizio del XII secolo, autore di un’opera giuntaci incompiuta.

Maestro Gregorio scrisse di una emozione intensa che s’impadronisce di lui quando dalle alture di Monte Mario gli si presenta all’improvviso la vista di Roma; meraviglia che, in lui, si sostituisce alla razionalità della comprensione storica. Davanti all’immagine della statua di marmo di Venere, l’uomo cerca una spiegazione magica a tanta bellezza e, disorientato, scrive che la statua è animata, “…Quasi vergognosa della sua nudità ha il volto imporporato”.

L’irrazionale della persuasione magica interpreta e risolve il disagio imprevisto del dotto; la chiave magica si rivela vibrazione sistematica alla quale l’uomo del tempo può ricorrere per proteggersi, capace di assorbire il turbamento e, allo stesso tempo, in grado di provocarne altro. Bellezza, in fondo, è dare illusione di vita; è contraddire la morte certa con la vita apparente. Altra testimonianza fondamentale per questo nostro viaggio interiore, la trovo in Goethe nel Viaggio in Italia, realizzato nel 1786 all’età di 39 anni. “…Se non avessi preso la risoluzione che ora sto mettendo in pratica (rif. il viaggio, N.d.A.), mi sarei irremissibilmente perduto; a tal punto di maturità era arrivata nel mio spirito la smania di vedere coi miei occhi tutte queste cose”. L’emozione estetica si trasmette a Goethe tramite un’idea preesistente della classicità e che, proprio in virtù di una sua autonoma esistenza mentale, diviene forte e struggente movente epifanico per l’uomo e la sua opera.

E’ quanto già si porta dentro che fa lievitare l’immagine, donando potenza alla visione.

Trovo indubbio che sia l’elemento cultura a svolgere, anche in questo caso, la funzione di esaltare la tensione della scoperta, mettendo il soggetto al riparo dall’estraniazione. La mente vigile scandisce l’esperienza del viaggio in sequenze di tempo che ne permettono l’assimilazione: i luoghi passano la porta della coscienza, ritornano come immagini interiori prima di essere superati nella progressione dell’itinerario, affinché non restino residui estranei. L’individualismo rigoroso, spinto fino all’accettazione della solitudine, è la struttura su cui s’incardina l’azione dell’apprendere.

L’ isolamento come capacità di separazione da un contesto famigliare, protettivo (Maestro Gregorio e Goethe viaggiarono soli) è condizione dell’esperienza emotiva dell’oggetto estetico, in quanto permette un esporsi più ricettivo, uno protendersi oltre gli schemi che, mentre svolgono funzione difensiva, attutiscono assieme intensità e fecondità nell’impatto col nuovo.

Dunque, amico e fratello di cammino impervio, l’ossatura culturale interiore dona sicurezza al viaggiatore: egli non sente il bisogno di aderire al guscio esteriore costituito dalla partecipazione ad un proprio gruppo, o ai proprii abiti mentali. Anche per il Schiller, fattore d’integrazione tra sensibilità e razionalità è la cultura. Essa assume il compito di “…Sostenere l’istinto razionale contro l’istinto sensibile, ma anche questo contro quello (…), consegue il primo fine attraverso l’educazione della facoltà del sentimento, il secondo attraverso l’educazione della facoltà della ragione. (…) Quanto più variamente si sviluppa la ricettività, quanto più essa è mobile e quanto maggiore superficie essa offre ai fenomeni, tanto più mondo l’uomo coglie, tante più attitudini sviluppa in sé, quanta più libertà ha la ragione, tanto più l’uomo comprende, tanta più forma egli crea fuori di sé (…). Dove queste due attitudini si uniscono, l’uomo conquisterà con la somma pienezza di esistenza e, anzi che buttarsi nel mondo ed in sesso smarrirsi, lo attirerà in sé con tutta l’infinità dei suoi fenomeni, lo assoggetterà all’unità della sua ragione (…).” Certamente doveroso ritenere Jan Amos Comenius, discepolo ed amico di Johann Valentin Andreae, autore dei Manifesti Rosacroce del XII secolo; il padre della pedagogia moderna.

Durante la sua esistenza viaggiò per l’intera Europa al fine di effondere le semenze del modello educativo universale da lui proposto (“Insegnare tutto a tutti interamente”), e del suo progetto più importante; la Riforma Universale delle Realtà Umane, che prevedeva la creazione di una scuola di sapienza universale, in grado di favorire il raggiungimento di pace e conoscenza ai popoli del mondo. Una delle grandi sfide dell’Umanità è stata quella della conoscenza.

Fin dall’inizio dei tempi l’uomo si è caratterizzato per quella capacità di apprendimento che gli ha consentito di sviluppare diverse facoltà d’intendere e la divulgazione di conoscenze sempre più compiute; conducendo l’Umanità ad avanzamenti straordinarii. Senza dubbio, all’inizio del XXI secolo, il progresso scientifico ha posto l’umanità di fronte ad un dubbio impenetrabile: come programmare l’enorme mole di informazione messa a nostra disposizione affinché la si possa trasformare in vera conoscenza?.

Secondo il Centro Studi Rosacroce, il cui scopo è promuovere tutto ciò che può favorire la conoscenza dell’essere umano, approfondendo in modo particolare il patrimonio di saggezza contenuto negli scritti Ermetici e Gnostici (parte del progetto internazionale che ha visto nascere diverse fondazioni rosacrociane senza fine di lucro, attive da oltre 20 anni nel panorama culturale europeo: la Fundación Rosacruz con sede in Spagna, la Stiftung Rosenkreuz in Germania, la Fondation Rose-Croix in Svizzera, la Bibliotheca Philosophica Hermetica di Amsterdam, seguite da molte altre nel mondo), occorre sviluppare una nuova intelligenza spirituale sulla base dell’integrazione tra intelligenza scientifica e la mistico-religiosa.

Grazie al metodo razionale, scientifico, analitico ed empirico, si è assistito ad una espansione straordinaria, in tutti i settori, della conoscenza umana. Ma è durante questo cammino che è andato perduto uno degli elementi fondamentali che ha dato origine a questa conoscenza. Il Centro Studi si riferisce all’idea ermetica espressa nella Tavola Smeraldina, la cui più antica versione -Tabula Smaragdina- fu pubblicata intorno all’825 d.C., sotto il Califfato Abbaside di al-Ma’mūn.

“…Si trovava alla fine del Kitāb Sirr al-halïqa un testo arabo che, tra il 1140 e il 1250, fu tradotto in latino con il nome di Liber de secretis naturae, (il Libro dei Segreti della Creazione), da due studiosi operanti in Spagna, Giovanni di Siviglia e Ugo di Santalla.”.

Il vero autore della Tabula e il presunto originale greco-siriano restano a tutt’oggi sconosciuti, anche se la Tradizione ne attribuisce la scoperta ad Apollonio di Tyana, un filosofo greco Neopitagorico del I secolo d.C., che gli Antichi consideravano un Santo Pagano e gli arabi chiamavano Bālinūs.

“Ciò che è in basso è come ciò che è in alto, e come ciò che è in alto è come ciò che è in basso.”.

Sulla base di tale idea, i Rosacroce testimoniavano al mondo tramite Fama Fraternitatis (Manifesto che faceva appello ad una Riforma universale in campo religioso, politico, filosofico, scientifico, economico.

Si ricorda che Fama Fraternitatis fu seguita da altri due Manifesti: la Confessio Fraternitatis e Le nozze chimiche di Christian Rosenkreutz, pubblicati rispettivamente nel 1615 e nel 1616) che come in ogni seme è racchiusa la totalità di una pianta o di un frutto, l’intero grande mondo è racchiuso in un piccolo essere umano: religione, politica, salute, membra, natura, linguaggio, parole ed opere, vibrano armonicamente –all’unisono e secondo la stessa melodia- con Dio, il cielo e la terra.

Comenius afferma, in Didactica Magna: “…L’essere umano è stato chiamato dai filosofi microcosmo, compendio dell’universo, poiché racchiude in tutto se stesso quanto appare separato nel mondo (…) Nulla, dunque, l’essere umano ha bisogno di afferrare all’esterno, ma unica cosa necessaria è sviluppare ciò che racchiude celato all’interno, e portare alla luce, distinti, ognuno dei suoi elementi.”.

“Il fermento è l’Anima…”, riporta Arnaldo da Villanova nell’incantevole Libro del perfetto Magistero, “…E il corpo umano, senza il suo fermento, ovvero, senza la sua Anima, non vale nulla, ed è così anche per noi, perché il fermento è il corpo, come già prima si è spiegato, e converte le altre cose alla sua natura.
Sappi anche, che sono fermento soltanto il Sole e la Luna, ossia l’oro e l’argento, che sono appropriati a questi pianeti.
Infatti, così come il Sole e la Luna dominano sopra gli altri pianeti, allo stesso modo questi due corpi dominano sopra gli altri e li convertono alla loro natura, ed è per questo che da molti sono chiamati Fermento. Bisogna dunque che si introduca il Fermento nei corpi, perchè è la loro anima.

E questo è ciò che disse Morieno: <<Se non monderai il corpo immondo e non lo farai bianco, ed in esso non metterai l’anima, non avrai realizzata cosa alcuna in questo Magistero>>.

Si fa dunque la congiunzione del fermento con il corpo mondo, ed allora lo spirito, quando si congiunge, si rallegra con quelli, perchè sono mondati della loro natura grossolana e sono divenuti sottili. E questo disse Ascano nel libro della Turba: <<Lo spirito non si congiunge con i corpi sino a che non siano perfettamente purgati delle loro immondizie>>.
E nell’ora della congiunzione si vedono le massime meraviglie, perchè tutti i colori del mondo appaiono nell’operare; tanti, che mai si possono immaginare.

Ed il corpo imperfetto, si colora di una colorazione ferma mediante il fermento; ed il fermento è l’Anima.
Lo Spirito, si congiunge con il corpo mediante l’Anima, e si lega e si converte insieme con quello nel colore del fermento e diviene una sola cosa con quelli.
Dalle cose suddette appare, a chi guarda sottilmente, che i Filosofi con le loro oscurissime parole hanno detto cose vere. Gli stessi Filosofi, dicono infatti nei loro libri che il nostro Lapis è di quattro elementi, perchè agli stessi elementi lo hanno comparato…”.

Penso ai Sileni di Alcibiade. Si dice fossero immagini ad intaglio, fatte in modo da poter essere aperte e dispiegate. Quando erano chiuse riproducevano la simpatica immagine deforme di un flautista, aprendosi rivelavano lo splendore e la purezza di un’immagine divina. “Avendone fatto esperienza, anche lo stolto sa”, dichiarava Omero.

Dico, gl’impedimenti basilari per farsi un’idea della realtà sono imbarazzo e paura che, ostentando i pericoli, distolgono dal prendere iniziative. Erasmo avrebbe scritto che la follia libera magnificamente da entrambi. Fra gli uomini si è in pochi ad ascoltare il suo richiamo, a comprendere per quanti altri vantaggi riesca utile non vergognarsi ed essere pronti al vivere, non sopravvivere. E del resto cosa è la vita degli uomini se non un gran teatro in cui diversi attori recitano la propria parte fino a che un regista (IL Gran Regista? Natura o Dio Burlone) chiede loro di uscire dalla scena.

Alexander King e Aurelio Peccei, fondatori del neo-malthusiano Club di Roma, nella prefazione al quinto rapporto al Club intitolato ‘obiettivi per l’umanità’ avvertivano: “…Si può applicare la logica soltanto quando la gente è culturalmente preparata ad accettarne le severe necessità”.

Riflettevo ancora sui viaggi di Magister Gregorius e Goethe, quando ebbi un interessante scambio di opinioni con un amico fraterno. Mi si parlò del geronticidio che, anticamente, i figli praticavano verso i padri settantenni in quella Barbagia che è autentico cuore della Sardegna; eutanasia primaria che, a mio parere, getta le basi della più civile ‘accabadura’ di cui scrivo, romanzando, in ‘Nessuno doveva Sapere, Nessuno doveva Sentire’.

Pratica che riporta alla greca Sparta di cui, in Sardegna, sono storicamente indubbie le influenze . Il vecchio capo clan o il disabile, comunque colui/colei non autosufficiente pertanto di peso nei confronti della propria comunità; veniva caricato sulle spalle di un figlio o di una persona particolarmente amata, e trascinato per uno stretto, lungo sentiero che, ad oggi, è possibile valicare se la clemenza della stagione lo permette, tra rocce impervie e strapiombi che fanno corona ai paesi di Jerzu e Gairo (NU). Il cammino, autentico rito iniziatico, sarebbe durato giorni; il portatore poteva fermarsi soltanto per dissetarsi in fonti stabilite e ritenute sacre, oggi se ne contano tre. Anche al povero derelitto era concesso bere prima di morire: l’avrebbe fatto utilizzando lo stesso contenitore del portatore, e la stessa acqua. L’anziano avrebbe bevuto per primo. Lungo il cammino, il portato raccontava l’intera sua vita a chi l’avrebbe sostituito: se figlio, il futuro re doveva essere in grado di comprovare un primo, attendibile atto di coraggio, gettando l’amato padre dal dirupo, e senza piangerlo.

“…Il vecchio, mentre il figlio camminava lento, impedito ma fiero, si guardava attorno per l’ultima volta e forse piangeva ciò che era stato, o forse no; forse dignitoso e muto stava, nonostante l’impedimento di età o malattia, fiero di quel figlio così forte, sangue del suo sangue suo respiro senza lamento, che ora nell’ultimo viaggio doveva trovare (avere) il coraggio di accompagnarlo fino alla cima del sentiero e allo strapiombo e accabare totu: finire tutto. Come suo padre prima, e prima suo nonno, e prima di ogni tempo conosciuto dall’uomo; come prima avevano fatto. 

Lo vedo parlare il vecchio, mentre il figlio lo trascina.

Parla, forse gesticola stanco, mugugna dei tempi passati e di ciò che sarebbe stato, forse o forse no, e venuto. O forse no. Parla di ciò che non ha detto mai ma che ora trova risposta. E ogni fonte che spilla dalla roccia grezza, ai lati del sentiero, antica ed eterna quanto il Re spossato, è per i due momento di pausa, di ulteriore riflessione. È bere l’acqua (tornare all’acqua), e contemporaneamente battezzarsi al proprio destino, abbandonarsi allo stesso senza combattere, in accettazione ora che, in quell’età, non più rabbia e passione tengono le membra all’erta, ma consapevolezza.

Ed ecco che si arrivava alla fine dello strapiombo, alla punta, alla cima frastagliata. Il sentiero finiva e il Grande Padre, l’Aquila Ardente, volgeva l’ultimo sguardo al figlio. Pregava il futuro Re, se di carne e sangue e coraggio vero era fatto, gli stessi suoi, di buttarlo di sotto. Accabaeminci, finiscimi. 
E l’Aquila, al momento del volo, forse gridava. 
Ma sono certa di no…”. (Cfr. da ‘Nessuno doveva Sapere, nessuno doveva Sentire’).

Invito il Lettore a porre particolare attenzione, in questo racconto trasmessomi dagli anziani del luogo e che fonde fantasia con realtà; ai dettagli legati all’elemento acqua: bere dalla stessa fonte che la Terra Madre partorisce, ovvero dalla Natura che ci ha partoriti entrambi, dallo stesso contenitore: feto che ci pasce, e sostiene. Condividere con chi ci ha amato fino all’ultimo giorno della sua vita (il presente) la purezza d’intento, la verità, una nuova nascita per entrambi. In Sardegna il brindisi più popolare si pronuncia, da sempre, in occasioni da imprimere nella memoria, e soltanto coi più cari: “A chent’annos cun saludi e trigu”. Sarebbe un “Che ci si possa ritrovare qui tra ‘cento’ anni con salute e fertilità, amore, con la stessa trasparenza e l’affetto dell’oggi”.

I due e non più di due che principiano una via che condurrà, in un modo o nell’altro, ad una evoluzione –annullamento del portato, maturazione del portatore – li vedo attraversare una montagna che ci rappresenta quella Torre di Babele ch’è la vita stessa, un ‘lasciate ogni speranza o Voi ch’entrate’ e, se entrate, proseguite fino alla cima; questo è il vostro compito.

Dunque camminare, tra gli ostacoli posti dal destino e i momentanei riposi nelle fonti, fino all’altezza di un dio: quello Spirito che accoglie svegliando il dormiente. Simbolicamente, i due viaggiatori mi sono uno: androgino ermetico da sempre delineato iconograficamente sotto la forma di creatura umana bisessuale, Rebis nasceva dall’unione tra il sole e la luna o, in termini alchemici, tra zolfo sofico e mercurio sofico. In Sardegna, un chiaro esempio di utilizzo in epoca contemporanea del termine androgino, è possibile notarlo in riferimento a Su Componidori della Sartiglia di Oristano. La natura androgina è marcata in relazione a maschera, abiti ed accessori, per le peculiarità del rito di cui si rende protagonista.

Dualità del e nell’uomo, quei bene e male in ognuno di noi?.

Androgino ermetico, pure detto, per gli iniziati, Pietra filosofale: nulla o quasi del dato in pasto attraverso i secoli ad un suscettibile immaginario collettivo. L’operazione alchemica preliminare alla preparazione della pietra filosofale era l’unione tra il principio maschile e il principio femminile; grazie a questo nesso, l’uomo otteneva –e otterrebbe- quel paradosso capace di ogni tipo di creazione. Il Rebis (lett. due cose) realizzava lo stato primordiale quindi ‘perfetto’, tramite l’atto di creazione: tutto sarebbe divenuto possibile; come la sapienza del Sempre. In un frammento de Il Vangelo degli Egizi, testo apocrifo conservato da Clemente Alessandrino (Stromata, III, 13, 92) si riporta che il Redentore, interrogato su quando sarebbe venuto il suo Regno, avrebbe risposto: “Quando quei due (maschio e femmina) saranno uno solo, nell’esterno come nell’interno, e il maschio con la femmina non sarà né maschio né femmina”. Dal testo si evince che l’uomo non potrà essere perfetto se non quando conseguirà la condizione androginica, ideale che ci rapporta inevitabilmente ai romantici tedeschi.

Rivediamo i nostri viaggiatori, lì a seguire il sentiero attorno alla montagna. L’attraversavano rasentando gli strapiombi, zigzagando in salita, il più debole fisicamente e più saggio –ché già preparato ad affrontare la morte o cambiamento-, sulle spalle del giovane. In diverse leggende dell’isola vengono descritti spiriti inquieti che infestano chiese campestri sconsacrate.

Queste anime inquiete, apparentemente uomini e donne normali, sembra abbiano la lieta abitudine di danzare a cerchio e cantare festosamente ad ogni tramontare del sole e fino all’alba. Se un vivo capita nei paraggi, viene attirato dalla festa all’interno della chiesa e invitato ad unirsi alla festa, ad entrare nel cerchio. Si narra che tanto grande sia la festa dei morti, che il passante dimentichi la realtà per unirsi a loro. E’ in quel momento che i morti lo trattengono all’interno del loro cerchio: il disgraziato si ritrova a dover girare a vuoto per l’eternità. Solo un soffio di vento divino, mi raccontano, potrebbe distrarre le anime inquiete e lasciar fuggire il vivo dal cerchio; ma uno degli spiriti gli salirebbe in groppa non visto -soltanto sentito dalla vittima- permettendogli di ritornare si tra i vivi, ma condannato a caricare, e fino alla fine dei suoi giorni, la morte sulla schiena.

I commentatori del Faust hanno sempre messo in rilievo, come un particolare fondamentale per la comprensione del pensiero goethiano, la curiosa indulgenza e, per qualcuno, la simpatia mostrata da Dio verso Mefistofele: “Non ho mai odiato quelli della tua specie…”, dichiara il Signore nel celebre passaggio del Prologo in Cielo, rivolgendosi a Mefistofele, “…Fra tutti gli spiriti che negano il Beffardo (Schalk) è quello che mi dà meno fastidio”. Goethe si sforza di giustificare questa simpatia divina verso il demone nei versi successivi: “L’attività dell’uomo troppo facilmente inizia a languire, se appena potesse, l’uomo non farebbe più nulla. Perciò volentieri gli do un compagno che lo stimoli, e faccia così il suo dovere di diavolo.”.

Sappiamo che il sentiero non si mostra, a quanti temono di spostare gl’intricati arbusti che lo celano.

Dico, se non espandiamo in noi l’intimo sentire che esiste
qualcosa di superiore all’uomo, non scorgeremo la forza per
accrescerci fino a qualcosa di più elevato; ché non è possibile raggiungere la giusta conoscenza, se non si ha appreso a rispettarla.

Si acquisisca che, nella vita spirituale, vi sono leggi come nella materiale. Rudolf Steiner: Una bacchetta di vetro, strofinata con una stoffa adatta, diventa elettrica, cioè acquista la forza di attirare corpuscoli; ciò corrisponde a una legge di natura, basta conoscere un poco di fisica per saperlo.

Ogni impulso di effettiva dedizione sviluppato nell’anima umana plasma una energia che, prima o poi, condurrà al progresso nella conoscenza; l’uomo ha certamente il diritto di puntare gli occhi verso la luce, ma questo diritto è da conquistare.

Entriamo in noi e, volgendoci verso la nostra pietra grezza, ammiriamo il Luogo Santo, il Templio, il calice sull’altare, la luce nel cuore. Quel Maestro che abita il tempio della nostra anima è l’autentico spirito divino, la cui coscienza è basata sulla mente e deriva unicamente dalla mente. Il nostro intelletto ha compiuto cose enormi (Roger Bacon, conosciuto anche col nome di Ruggero Bacone, alchimista finito in carcere per eresia, scrisse: “Arriveremo a costruire macchine capaci di spingere grandi navi a velocità più forti che un’intera schiera di rematori e bisognose soltanto di un pilota che le diriga. 

Arriveremo a imprimere ai carri incredibili velocità senza l’aiuto di alcun animale. 
Arriveremo a costruire macchine alate, capaci di sollevarsi nell’aria come gli uccelli”), ma nel frattempo abbiamo lasciato crollare la dimora spirituale. Esumiamo la saggezza di Popoli e Storia, per capire che tutto ciò di più saggio è già stato detto, e ritorniamo bambini bramosi davanti al negozio di giocattoli, spalmando le dita sulla vetrina convinti che, oggi o domani, convinceremo qualcuno a comprarci ciò che ci è dovuto…Possedere, solo questo conta per l’uomo. Ma una volta tenuto il gioco tra le mani, constateremo che un compagno ne ha di più belli, e un altro pure. Ovunque gireremo lo sguardo, ci troveremo circondati da giocattoli meravigliosi.

Ma tutto andrà in fumo nel momento stesso in cui non riusciremo più a spostare gli arbusti che celano il cammino, nell’istante in cui non distingueremo la saggezza buona dalla saggezza cattiva.

Il sentiero; la via dell’anima che cerca il padre perduto, come Sofia (in greco Σοφία, ‘sapienza’)  cerca Bythos -Gli eoni, in molti sistemi gnostici, rappresentano le varie manazioni del Dio primo, noto anche come l’Uno, la Monade, Aion Teleos (l’Eone Perfetto), Bythos (greco, per Profondità)-, porta verso l’acqua, nell’oscuro specchio che poggia sul fondo.

Spesso faccio un sogno. 

C’è un mare, uno spicchio di mare dentro un altro mare più grande. Voglio sentirlo attorno, addosso, mi tuffo e annaspo, non so più nuotare. Affondo, ma non mi manca l’ossigeno…no. Mi spaventa la tenebra attorno, l’acqua è gelida. Mi spaventano gli anfratti tra le rocce, laddove immagino si nascondano creature minacciose.

Ma poi, in un istante di coscienza, quando il mio sentire il mare scivola al temerne il buio, una forza invisibile mi raccoglie dal fondale, mi sospinge in fretta su e su, veloce fino alla luce, fino all’uscita dall’acqua fredda, quindi dal buio. Un mare-Dio.

L’ho conosciuto davvero vedendolo come oceano Atlantico: quella rabbia costante, un ruggire di leoni in corsa è la spuma, potenza, per me, sinonimo di passione e ribellione al Tutto. Grido dell’indomabile che ho fatto mio.

E sopra noi rammento la cascata accesa della Via Lattea, il vento fresco la notte, nonostante i quarantatre gradi all’ombra durante le ore diurne, la fragranza degli eucalyptus e della stessa terra che si fanno più intense al calare del sole. L’uomo dovrebbe imparare nuovamente a odorare la terra, lasciarsela scivolare tra le dita come un bambino curioso: è come nascere una seconda volta. La vita e il suo senso stanno in quelle zolle rafferme.

L’odore del mare italiano lo avviso diverso, forse più pacato, come le sue onde. Te lo porti appresso sempre, quando hai imparato a conoscerlo, a parlargli, a sentirlo come Lui vuole che tu lo senta, e non soltanto attraverso il timore.

Rifletto sovente sul miracolo della piscina di Betsaida (in ebraico: בית-חסדא, letteralmente: Casa della Misericordia), a Gerusalemme. Nel Vangelo secondo Giovanni è luogo in cui Gesù sana un paralitico. Un affresco  situato su uno dei muri rappresenta un angelo che scende e agita l’acqua, conferendole un potere risanatore:

“1 Vi fu poi una festa dei Giudei e Gesù salì a Gerusalemme. 2 V’è a Gerusalemme, presso la porta delle Pecore, una piscina, chiamata in ebraico Betzaetà, con cinque portici, 3 sotto i quali giaceva un gran numero di infermi, ciechi, zoppi e paralitici.4 [Un angelo infatti in certi momenti discendeva nella piscina e agitava l’acqua; il primo ad entrarvi dopo l’agitazione dell’acqua guariva da qualsiasi malattia fosse affetto.] 5 Si trovava là un uomo che da trentotto anni era malato. 6 Gesù vedendolo disteso e, sapendo che da molto tempo stava così, gli disse: «Vuoi guarire?». 

7 Gli rispose il malato: «Signore, io non ho nessuno che mi immerga nella piscina quando l’acqua si agita. Mentre infatti sto per andarvi, qualche altro scende prima di me». 8 Gesù gli disse: «Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina». 9 E sull’istante quell’uomo guarì e, preso il suo lettuccio, cominciò a camminare…”

Occorre che l’uomo discenda nell’acqua perché questa si animi?.

L’alito spirituale che guizza sopra l’acqua oscura è però inquietante come tutto ciò di cui non conosciamo la causa. E’qui che ci si fa percepire una presenza invisibile, un numen, potenza divina al quale non è stato dato calcolo arbitrario. L’orrore coglie l’uomo; per il quale spirito è soltanto ciò che egli vede e crede, conosce, ciò di cui parla la massa, quello che si studia nei libri. Ma quando, finalmente, la presenza si manifesta, è trasformata dalla mente terrorizzata in un’apparizione spiritica; e un timore primigenio la vince sulla mente ingenua.

Anima che si scava e guarisce, anima che non teme (solo chi conosce, non teme) Arte Anima, dunque. Come i miei lettori sanno, tra i miei libri uno in particolare occupa quella parte più segreta, amata nonostante. E’ Lughe de Chelu e Jenna de Bentu (Bastogi, 2003), autobiografia romanzata scritta in tre mesi, di istinto puro, sopravvivenza. 
il romanzo ha visto una sua felice terza edizione ne gli States, per La Case; oggi è ripubblicato da AGBook Publishing come ‘I Cancelli del Cielo’, in quinta edizione. 
L’ ho scritto nel momento più difficile della mia esistenza, quando pensavo convinta, da donna e madre prima che scrittrice, che non sarei più stata in grado di scrivere, di vivere. 
Ed una sorta di pudore innocente, figlio di retaggio culturale prisco, ancorato alla pelle sarda prima che alla mente, mi ha accompagnata per tanto, forse troppo tempo prima di riuscire a parlare del libro con la libertà che merita, prima di comprendere io stessa, autrice, che la mia libertà poteva divenire col tempo, tramite maturità ed esperienza, libertà di altre libertà. Il libro è “(…) sgocciolato da una mente ad un foglio, da un cuore ferito nell’ intimo e, perciò, autentico. E’ sin troppo facile precipitare nelle profondità della propria psiche; impresa ardua è risalirne sani, l’uscirne indenni. E’ un viaggio…” . E ogni volta che una donna, una sorella, muore per mano di un amore malato, la mia ferita grida ancora.

Griderà tutta la vita, lo so. A volte vorrei che smettesse, qualche volta io stessa ho voluto smettere. Ma il richiamo alla vita è sempre stato più forte e maledetto, istintuale. La vita mi ha chiamato quando pensavo di non avere più nulla da darle né da risponderle, e forse è anche per questo che io, oggi, sono qui a raccontarlo. 
La verità è che a scrivere queste righe è una donna diversa: forse più forte o forse no ma che in un capitolo nuovo, questa nuova vita, vive l’amore amata di stesso amore. Ciò che ogni donna è portata fisiologicamente a vivere e dovrebbe vivere: in piena libertà di scelta, in dignità, in purezza. Curioso che, ad oggi, si debba rimarcare che a una donna la libertà spetta di diritto, per nascita.  

Lughe de Chelu è una storia come tante, e per raccontarla volo indietro nel tempo, al 2001, in un’apparentemente tranquilla piccola città di provincia, la mia Nuoro: una richiesta di divorzio dall’uomo che era mio marito, tre tentativi di omicidio dei quali l’ultimo, per strangolamento ed accoltellamento, avvenuto davanti agli occhi dei nostri quattro figli, allora tutti minori…i miei agnelli. Sospesa tra la vita e la morte. Il limbo. Di quei giorni ‘non miei’ porto, voglio portare, il ricordo nebuloso, incerto. Gli infiniti perché, il pozzo profondo della depressione quindi il buio, la crisi artistica: perché ero viva, perché io, perché a me, perché i nostri bambini avevano dovuto assistere a tutto questo, perché lui aveva tentato il suicidio, perché lui a me, proprio a me, dove avevo sbagliato, come e ancora perché…e lui, che fino al giorno prima aveva ripetuto di amarmi alla follia. Ecco, questa è probabilmente la parola magica: follia. Ma non rappresenta IL Tutto: sarebbe riduttivo parlare solo di follia, e offensivo nei confronti di quelle sorelle che, per mano di un amore deviato, hanno perso, perdono la vita o il sorriso o la speranza…donne che, in ogni modo, si sono perse dentro e non sempre riuscendo a ritrovarsi. Lughe de Chelu è il diario di un viaggio, il mio, ma che è anche quello di Marina, Anna, Sarah, di…e di… . Troppi nomi, e croci. Viaggio nell’ipocrisia, nei tristi, malsani pregiudizi di donne nei confronti di altre donne, noi che dovremmo essere sorelle e unite di quella forza che la Natura già ci dona semplicemente perché donne, creatrici, mestruate sempre, portatrici partorienti di energia.

Viaggio in una chiesa misogina, potere al servizio del potere, in uno Stato che tenta di curare la donna vittima di violenza ma, paradossalmente, lo fa senza intaccare la radice della violenza, senza punire severamente chi la attua. Perché?. Se un perché esiste, forse, sta nascosto negli occhi chiusi di una donna, una delle tante senza medaglia, da Eterno Riposo. O di quell’altra, proprio quella che ti vedi passare accanto, magari ogni mattina all’uscita dal panettiere Gino, e lei non solleva gli occhi da terra e tu pensi “Ma questa chi si crede di essere per passarmi accanto senza salutare… “. 

Lei, forse, da un lettino di obitorio domani ci dirà che il suo perché era nascosto nell’aver troppo creduto nell’amore. La violenza si nutre di omertà, di mala cultura, di informazione perversa, di Non legge. Denunciamo la violenza: oggi, domani e sempre. Insegniamo la Non violenza. E che finalmente, in questa Italia da emergenza femminicidio si faccia una Legge, giustizia vera contro la violenza.

Heidegger, nel saggio Chi è lo Zarathustra di Nietzsche? Ci significa il vero compito di Zarathustra, che è parlare: «Zarathustra parla. È un parlatore». Nella lingua tedesca la parola che indica il carattere orale dello Zarathustra è Fürsprecher, cioè portavoce o avvocato. Nel brano Il convalescente, Zarathustra dice «Io, Zarathustra, l’avvocato della vita, l’avvocato del dolore, l’avvocato del circolo».

Chiarisce Heidegger: “Zarathustra parla a favore della vita, della sofferenza, del circolo, e questo egli proclama. Questi tre termini; vita – sofferenza – circolo sono connessi, sono la stessa cosa”.

Dire che tutti e tre questi termini sono la stessa cosa vuol dire che si alimentano reciprocamente.

La vita per Nietzsche è sinonimo di volontà di potenza, ma ogni cosa che vive soffre, o anche tutto ciò che soffre vuole vivere. Il mondo di Nietzsche è un insieme di forze che si contrastano, si urtano, tutte spinte dalla stessa tendenza, appunto la volontà di potenza. In tal senso: “Il circolo è simbolo dell’anello (Ring) il cui lottare (Ringen), ritorna su se stesso e così ottiene (erringt) sempre il ritorno dell’uguale”. Zarathustra è l’avvocato di tutto, l’essente che, spinto dalla volontà di potenza, soffre: auspica questa volontà nell’eterno ritorno dell’uguale.

Cfr. Francesco Cardone: Ne Del grande anelito, Zarathustra intrattiene un colloquio con la sua anima: “Anima mia, io ti insegnai a dire “oggi” come se fosse “un giorno” e “un tempo”, e a danzare al di sopra di ogni “qui” e “lì” e “là” la tua danza circolare”. Con le parole “oggi”, “un giorno” e “un tempo” Nietzsche indica le dimensioni fondamentali del tempo, ossia il presente, il futuro e il passato. Nella metafisica occidentale queste tre dimensioni vengono raggruppate in un unicum mediante il concetto di eternità, ossia dell’”ora” eterno.

Anche Nietzsche parla di eternità, solo che per quest’ultimo l’eternità non consiste in uno stare, quello dell’”ora” eterno, ma in un “eterno ritorno dell’uguale”. La metafisica fondando l’eternità – ad esempio l’essere eterno di Parmenide – pone un contrasto insolubile tra questa dimensione ed il divenire; Nietzsche invece, facendo sua la lezione del divenire eracliteo, vuole porre l’eterno nel divenire stesso. Ma in che modo è possibile fondare questo nuovo senso dell’eterno?

Tutto ciò che si inoltra nel divenire non è destinato al suo successivo tramonto, senza più farvi ritorno? Come può l’ente e in particolare l’uomo ritornare eternamente?

La risposta a questa domanda si trova in un brano della seconda sezione dell’opera intitolato Delle tarantole. Il passo che ci interessa dice: “Giacché: che l’uomo sia redento dalla vendetta – questo è per me il ponte verso la speranza suprema e un arcobaleno dopo lunghe tempeste».

La redenzione dallo spirito di vendetta indica il ponte verso questo nuovo luogo, altrimenti inaccessibile. Ma perché questa redenzione rende possibile il passaggio? E cosa intende Nietzsche per vendetta?

In Della redenzione, dice Zarathustra: “Lo spirito di vendetta: amici, su nient’altro finora gli uomini hanno meglio riflettuto, e dov’era sofferenza, sempre doveva essere una punizione”. Da questi due brevi passi si comprende che l’ostacolo a partire dal quale è possibile il passaggio verso la meta dello Über-mensch, è lo spirito di vendetta.

Bisogna allora capire cosa Nietzsche intende per vendetta. Da questo chiarimento si comprenderà qualcosa in più sul perché Zarathustra è sia l’avvocato della vita, del dolore e del circolo, sia il maestro dell’eterno ritorno e del superuomo.

In primo luogo, lo spirito di vendetta non è qualcosa che riguarda un particolare tipo d’uomo, ma riguarda la totalità dell’uomo fino adesso esistito, dice infatti Zarathustra nel brano Della redenzione: «Lo spirito di vendetta: amici, su nient’altro finora gli uomini hanno meglio riflettuto; e dov’era sofferenza, sempre doveva essere una punizione».

Heidegger nota che il rapporto che si instaura tra l’uomo e l’essente, mediante la vendetta, non riguarda un particolare essente, ma l’essente nella sua totalità, ossia l’essere dell’essente. La vendetta è quindi intesa non in termini etico-morali, ma metafisici. Ma cosa significa precisamente vendetta (Rache)? La parola tedesca per dire vendetta è Rache, dal verbo rächen (vendicare), che a sua volta rimanda a wreken, urgere, col significato di urtare, spingere, inseguire, dare la caccia. Questi significati indicano una contrapposizione tra colui che si vuole vendicare e ciò di cui ci si vuol vendicare. La vendetta per sua natura è ispirata dal sentimento di colui che si sente vinto, che ha subito un danno; questo comporta che chi si vuol vendicare, vuole abbassare il suo avversario ad un livello di subalternità, vuole cioè rovesciare il rapporto dato dal danno ricevuto.

Si è detto però che la vendetta nel linguaggio nietzschiano ha una portata metafisica, non si esaurisce cioè nella semplice vendetta di un individuo nei confronti di un altro. Ora, nell’epoca moderna la struttura dell’essere dell’essente ha assunto una dimensione differente rispetto alla struttura antica, questa struttura, che parte dal cogito cartesiano fino all’idealismo tedesco, è caratterizzata dalla volontà.

La volontà qui – in particolare nell’idealismo tedesco – non è semplicemente una facoltà dell’uomo, ma indica lo stesso essere dell’essente nella sua totalità: l’essere dell’essente si determina nell’epoca moderna come volere. Questo comporta anche che il pensiero, pensando l’essere dell’essente, conformandosi ad esso, è il pensiero della volontà.

Visto in questi termini, il pensiero di Nietzsche non si distanzia dal pensiero moderno, anzi porta a compimento l’essenza dell’essente come volontà. Eppure Nietzsche afferma che il pensiero degli uomini è condizionato dallo spirito di vendetta, che si esprime come: «l’avversione della volontà contro il tempo e il suo ‘così fu’». Nella vendetta la volontà è in conflitto, ed è in conflitto proprio col “tempo”, espresso dal “così fu”. Il tempo diveniente, come si è accennato, è caratterizzato da tre dimensioni: il passato, il presente ed il futuro. Ogni cosa immersa nel divenire è condizionata dal suo passare, dal suo schiudersi nell’apparire per rimanervi per un certo lasso di tempo e poi svanire.

Ciò che svanisce è ciò che passa, ciò che esce fuori dal presente. Nietzsche quando mostra cosa sia la vendetta indica una doppia avversione della volontà quella nei confronti del tempo e quella nei confronti di una specifica dimensione del tempo, il “così fu”, il passato. La volontà nella vendetta è avversa nei confronti del passare del tempo, ossia di quella dimensione del tempo di cui la volontà non può far nulla. E non può far nulla perché il tempo è irreversibile, ciò che passa non può tornare. L’ente che nel suo divenire passa, passa nel non essente, in quello che la metafisica greca chiama μὴ ο̉́ν, il ni-ente. La volontà non ha potere nei confronti di ciò che passando diventa ni-ente. Eppure l’uomo sta per entrare nella fase in cui dominerà l’essente nella sua totalità, questo significa che per fare ciò, per essere veramente pronto per questo destino, deve superare questa avversione, redimersi dallo spirito di vendetta. Senza questo passo l’uomo non potrà mai oltrepassare se stesso.

Rammento che, ancora bambina, divorai un libro; La Perla (The Pearl), romanzo dello scrittore statunitense John Steinbeck, pubblicato nel 1947. Si parla di Kino, un povero pescatore indio che vive con Juana, la sua compagna, e il loro bambino Coyotito.

Coyotito viene punto da uno scorpione e, portato da un dottore, questi si rifiuterà di curarlo, dopo aver appurato che Kino non è in grado di pagarlo. I giovani con il bimbo si recano in spiaggia dove Kino possiede una piccola canoa, lì Juana prega perché possano trovare una perla con cui pagare il medico.

E Kino trova la perla perfetta, luminosa e splendida come la Luna, grossa come un uovo di gabbiano. Il bimbo, che giaceva febbricitante fino a poco prima, comincia a stare meglio; il veleno lascia il suo piccolo corpo. La voce del ritrovamento della perla si sparge: tutti, in poco tempo, cominciano a interessarsi a Kino (“…gente con cose da vendere e favori da chiedere”) perché sua è la perla più grande del Mondo.

Il pescatore tenta di vendere la perla a un gioielliere senza scrupoli, che ne sminuisce il valore e gli offre di comprarla per un prezzo irrisorio, proposta che Kino rifiuta.

Juana, di fronte alle manifestazioni di invidia e di cupidigia, si convince che la perla è maledetta e durante la notte tenta, non vista dal compagno, di rigettarla in mare. Viene scoperta da Kino che litiga furiosamente con lei, abbandonandola sulla spiaggia. Sulla strada del ritorno, Kino viene assalito da uno sconosciuto. I due lottano e Kino uccide lo sconosciuto, accoltellandolo. Kino è convinto che lo sconosciuto gli abbia rubato la perla, che invece è restata nella mani di Juana. Al rientro, trovano la loro capanna in fiamme e si rifugiano con Coyotito nella capanna di Juan Tomás, il fratello di Kino.

Kino, Juana e Coyotito si mettono in cammino verso la capitale, dove il pescatore spera di poter vendere la perla per un prezzo adeguato al suo valore, ma ben presto si accorgono di essere inseguiti da un gruppo di uomini e si rifugiano in una grotta.

Kino si prepara a difendersi, ma uno dei presunti inseguitori, udendo un pianto di bimbo scambiato per un ululato di coyote, spara in direzione del suono. Kino risponde al fuoco, uccidendoli tutti, ma Coyotito è stato colpito a morte dalla fucilata dell’inseguitore. Il mattino dopo, Kino e Juana ritornano a casa col corpo di Coyotito.

Kino, recatosi in spiaggia, ributta in mare la perla maledetta.

Il tesoro trovato ché voluto avidamente e conservato avidamente,

quindi perduto.

L’anima animale istintiva è l’autentico vivaio di quelle passioni che alcuni imprudenti addormentano invece di uccidere; ma come può l’armonia trionfare se l’anima è distratta dai sensi?

E’ come l’uomo e la sua ombra, che lo segue ovunque e comunque, servile, meccanica, legata alla materia: “Stretta è la Porta ed angusta la Via che porta alla Vita”.

L’umanità cercava e attendeva, e fu il Pesce, -levatus de profundo (che vien su dalla sorgente, Cfr. Agostino, Confessioni) che si fa simbolo del Salvatore.

Secondo Jung l’acqua rimane il simbolo più ricorrente dell’inconscio; il lago della valle è l’inconscio che giace al di sotto della coscienza, indicato come subconscio. L’acqua è lo spirito dell’inconscio, quel drago acquatico del Tao che in Cina non ha mai assunto le caratteristiche bellicose conferitegli dai nostri artisti, lì ad opporlo a San Giorgio o a un San Michele. In Cina il drago è benevolo, spesso scherza con un compagno nel rincorrere una perla infiammata o rubino magico, sorta di pallina irta di una voluta, che si riteneva richiamasse la folgore e il rombo del tuono.

Per altri, questa perla lucente rappresenterebbe la luna o il sole, perfino l’uovo cosmico che si ritiene contenga tutta l’energia umana condensata.

Per gli adepti della setta buddistica contemplativa Chan (o Zen in Giappone), il drago simboleggia la visione fugace, istantanea, evanescente e illusoria della Verità,ed è quindi equiparato a una manifestazione cosmica.

D’altra parte, per i taoisti il drago era il Tao stesso incarnato, cioè la Via, la forza onnipresente che si rivela a noi in un baleno per svanire immediatamente. Un drago si mostra soltanto in modo fugace, in una frazione di secondo e soltanto parzialmente; non lo si coglie mai nella sua interezza. Animale fantastico (di natura yang) abitualmente vive nascosto negli abissi, nelle viscere della terra o nelle nubi vaganti (di natura yin). Simboleggia lo slancio spirituale, la potenza divina. 

Al collo dei draghi era spesso rappresentata una perlaappesa, che ricordava il fulgore e la perfezione delle parole dell’imperatore, la precisione del suo pensiero e l’assennatezza degli ordini. “Non si discute la perla del drago” soleva ripetere lo stesso Mao Zedong.

Psicologicamente, dunque, l’acqua significa spirito divenuto inconscio. La discesa nel profondo sembra precedere sempre l’ascesa, la necessità di sprofondare in un baratro oscuro è condizione indispensabile per una nuova risalita o nuova nascita.

La coscienza resiste: per l’uomo lo spirito è solo qualcosa che proviene dall’alto. Apparentemente lo spirito viene sempre dall’alto (mente?) mentre proviene dal basso (carnalità, debolezza sensuale, passione,bestialità, sangue…) tutto ciò che è tacciato, almeno nell’immaginario collettivo, come torbido.

“Per me si va nella città dolente

per me si va nell’eterno dolore

per me si va tra la perduta gente”,

scrisse il Dante.

Presto o tardi siamo costretti a confessare a noi stessi che esistono problemi insolubili per le nostre sole forze; ammissione che permette onestamente di porre la base di una reazione compensatoria dell’inconscio collettivo. L’incontro con se stessi significa incontro con la propria ombra: dobbiamo conoscere noi stessi per sapere chi siamo, sprofondare nell’acqua angusta e sconosciuta dove tutto è tutto e niente ché, in base al grande assioma ermetico, l’Esterno è come l’interno, il piccolo è come il grande, ciò che è in basso è come ciò che è in alto.

Fonti di approfondimento consigliate:

‘Oratio de Hominis Dignitate (ai figli di una nuova Umanità)’,di Giovanna Mulas,

‘Il Superuomo e la volontà di potenza’, di Toni Llàcer

‘Alchimia asiatica’, di Mircea Eliade,

‘L’equazione ellenistica Logos-anthropos in ‘studi e materiali di storia delle religioni, di Maryla Falk,

‘Faust’ (Traduzione di), di Guido Manacorda,

‘L’analisi dei sogni – gli archetipi dell’inconscio – la sincronicità’, di C.G.Jung,

‘Il velo di Maya, un’invenzione dell’Occidente’, di Alessandro Grossato

‘Avere o essere?’ – ‘Personalità, libertà, amore’, di E.Fromm,

‘Riflessioni sull’Alchimia’, di Elena Frasca Odorizzi,

‘Il concetto di tempo’, di Amir D. AczelMultiverso, rivista,

‘Il mito dell’analisi’, di J.Hillman, 

‘Labor’s Untold Story, United Electrial, Radio & Machine Workers of America’, di Richard O. Boyer e Herbert M.Morais

‘I benandanti. Stregoneria e culti agrari tra Cinquecento e Seicento’, di C.Ginzburg,
‘Sciamanesimo in Sardegna’, di Dolores Turchi, 
‘I balcani senza Milosevic’, n. 5/2000, LiMes rivista
‘Guerres contre l’Europe’ di V.A. Del Valle
‘Le viol des Foules par la propagande politique’ di Serghei Ciacotin
‘Massoneria e sette segrete –la faccia occulta della storia-‘ Ed. Controcorrente,
‘Bewildered Herd’, di Walter Lippmann
‘Media Control: the spectacular achievements of propaganda’, di Noam Chomsky,
‘Fama fraternitatis’, di J.W.Andreae

‘Introduzione allo spirito della liturgia’, di Joseph Ratzinger

‘Elogio alla follia’, di Erasmo

‘Un mazzo di fiori scelti’, di Helena Blavatsky

‘Sessualità e vita amorosa’, di S.Freud

‘Il Dialogo’, Rivista di dialogo interreligioso, fondato e diretto da Giovanni Sarubbi,

‘Il Timone’, Mensile di apologetica 

Vita professionale di Giovanna Mulas (Nuoro, 6 maggio 1969)

Membro onorario della Giornalisti Specializzati Associati (GSA), Milano. Membro del World Poetry Movement (WPM).

Pluriaccademica al merito, tradotta in 5 lingue, numerosi premi letterari internazionali vinti, tra i piu’ recenti voglio ricordare:
nel 2008 Premio Internazionale per l’Arte e la Cultura Giosuè Carducci, Roma (Associazione Culturale La Conca),
nel 2009 il Premio Mimosa d’Argento-Donna Sarda dell’Anno (da La Corte del Sole, in collaborazione con API Sarda -associazione Piccole e Medie industrie della Sardegna-, con la Commissione Pari Opportunità Provincia di Cagliari, con F.I.D.A.P.A. Distretto Sardegna, l’organizzazione a cura di Full Media Service),
nel 2010 il Premio alla Carriera (Corona d’Alloro) dalla Regione Sicilia e l’ EuropClub (premiati anche Ennio Morricone, Histvan Horkay e la giornalista opinionista RAI Barbara Carfagna).
Nel 2011 il Premio Internazionale alla Cultura dalla Citta’ di Ostia (ricevuto da Vittorio Gassman, Paola Borboni, Arnoldo Foa’). Oltre 20 libri pubblicati ad oggi tra romanzi, poesia, saggistica.
Nel 2011 ho presenziato, ufficialmente per l’Italia e prima artista sarda nella storia dell’evento, al Festival Internazionale di Poesia di Medellin, Premio Nobel, primo d’importanza al mondo.
Nel 2012 mi e’ stata conferita la Laurea Honoris Causa in Lettere, cerimonia ufficiale alla Certosa di San Lorenzo (Patrimonio UNESCO).
Tra gli insigniti italiani degli anni scorsi dalla Constantinian University (Stati Uniti), associata alla Johnson & Wales University, voglio ricordare il Prof. Giulio Tarro (candidato al Premio Nobel per la medicina nel 2000), il Prof. Giacomo Borruso (Rettore dell’Università di Trieste), Massimo Andreoli (Presidente del CERS, Consorzio Europeo Rievocazioni Storiche), Massimo Magliaro (Direttore di RAI International).
Nel 2013 la Giuria del prestigioso Sirmione Lugana/Circumnavigarte ha voluto onorarmi col Premio Arte & Cultura.
Nel 2014 l’Accademia Internazionale Costantina di Arte & Cultura, in occasione dell’annuale Gran Galà di Natale, premia il mio lavoro al Ministero della Difesa.
Novembre 2015: nello storico Palazzo San Bernardino, a Rossano Calabro, vengo onorata col Riconoscimento Speciale “All’Impegno Civile e Culturale”, grazie alla Fondazione Roberto Farina ONLUS (quindi al Prof. Antonio Farina), all’Organizzazione tutta del Premio Internazionale di Poesia ‘Dal Tirreno allo Jonio (in viaggio con Giosuè Carducci)’. Patrocinio dell’Evento a cura del Comune di Rossano Calabro, sodalizio culturale della prestigiosa Società Dante Alighieri e de I Parchi Letterari, L’Ateneo Tradizionale Mediterraneo con la collaborazione del Museo delle Conchiglie di Roseto Capo Spulico.
Sempre nel 2015, Nell’affascinante cornice dell’antico protoconvento Francescano di Castrovillari, sono Testimonial del ‘Focus Sardegna’ legato al I Festival Antropologico dei Popoli – XI Festa delle Culture.
Designata al Titolo Onorifico di Dama dall’ OSJ Ordine Cavalleresco dei Cavalieri di Malta. 
Già direttore dei periodici di Poesia ‘Isola Nera’ (in lingua italiana) e ‘Isola Niedda’ (in lingua sarda).
Sono stata direttore artistico degli stages di Scrittura/Teatro al Castello di Govone, Piemonte, Patrimonio UNESCO (ha diretto gli stages di teatro l’attore e regista statunitense Michael Margotta, membro dell’Actor’S Studio di New York).
Agenda culturale in aggiornamento costante anche sul Blog ufficiale.
Nominata per l’Italia all’Accademia dei Nobel per la Letteratura.
Per il Laboratorio di Narrativa e Poesia mandato avanti (anche in lingua spagnola) con mio marito, il poeta e giornalista argentino Gabriel Impaglione:
Universita’, Biblioteche, Caffe’ Letterari, Associazioni e Circoli Culturali…: si scriva per i dettagli al: mulasgiovanna@ymail.com
Per il Reading ‘Mulas Legge Mulas (io, le Parole, un leggio)’:
Teatri, Universita’, Biblioteche, Caffe’ Letterari, Associazioni e Circoli Culturali…:
si scriva per i dettagli al: mulasgiovanna@ymail.com

Titoli pubblicati ad oggi:

*Passaggi per l’anima, romanzo, (Montedit, 1998)

*La Musa, Novella, (Montedit, 1998)

*Barchette di carta, racconti, (Montedit, 1998)

*Il Tempo di un’Estate, romanzo (Firenze Libri, 1998)

*Il rumore degli Alberi, Novella, (La Conca, 1999)

*Dei Versi, Poesia (ALI, MI, 2000)

*Canticum Praesagum, poesia (ALI, MI, 2000)

*In Our Own Words, poesia, (Marlow Peerse Weaver, USA, 2000)

*La Stanza degli Specchi, saggistica (Metatron, USA, 2000)

*Lughe de Chelu e Jenna de bentu, autobiografia romanzata (pubblicato da Bastogi in I e II Edizione, 2003, ristampato da Neuma Ed. nel 2010, ripreso e Pubblicato da La Case per gli States nel 2012 )

*A Silent Refuge, poesia (El Taller del Poeta, España, 2003)

*Racconti Fantastici, d’Amore e di Morte, racconti, scritto a quattro mani con Gabriel Impaglione (El Taller del Poeta, España, 2004)

*Mater Doloris, romanzo (UNIService Editrice, 2004)

*Delle Trascorse Stagioni, romanzo (UNIService Editrice, 2004)

*Penelope che parlava alle Pietre, saggistica (UNIService Editrice, 2006)

*Domo del viento –cartas de amor all’essenza di Rosa, romanzo (Il Melograno, 2007)

*Acta Est Fabula, romanzo (Palomar Ed., 2008)

*El tiempo de un Verano, romanzo (Ayeshalibros, Argentina, 2009)

*Pot Pourri d’Oltre, estratti della mia letteratura, (Libertà Edizioni, 2009)

*Dannati (Caronte), romanzo (Iris Edizioni, 2009)

*Storie di Donne, di Lupi, di Amore e Dolore lavato con il sangue, racconti, (Espresso Ed., distr. Feltrinelli Libri, 2010)

*Alla Corte dei Miracoli, estratti della mia letteratura (Espresso Ed., distr. Feltrinelli Libri, 2010)

*Nemos Deviat Ischire, Neune Deviat intendere, romanzo in lingua sarda (trad. al sardo del poeta e scrittore Prof. Bruno Sini, Espresso Ed., distr. Feltrinelli Libri, 2010)

*Nessuno doveva Sapere Nessuno doveva Sentire (accabadora), romanzo (Il Ciliegio-Acco Ed., 2010)

*Mandinga, romanzo (Giovane Holden Edizioni, 2010)

*Mosaico di Emozioni, racconti, vario. Con collaborazioni del Presidente Emerito della Repubblica Carlo Azeglio Ciampi, Don Mazzi, Tania Cagnotto, Antonio Rossi e altri personaggi della cultura, della politica e dello sport. (Aliberti Editore, 2010)

*Di Carne Assente o il Monologo della Candela, monologo teatrale a tema sociale e politico, in quattro atti (Edizioni La Gru, 2011)

*Malanimamia, romanzo, scritto a quattro mani con Patrizio Pacioni (Melino Nerella Edizioni, 2011)

*Sardinien. Insel und Leute im Frühjahr 1965, per il Maestro della fotografia Alois Ottiger, racconti
(Fink Kunstverlag Josef, Deutschland, 2014)

*Di anime, di Pene, racconti (Ferrara publishers, Australia, 2015)

*Nocturno Oltre Confine, diario di viaggio in America Latina, Amazzonia, Isole Canarie (Octopus Ed.-Cultura CircumnavigArte, 2015)

*Memorie di Villa Pedrini, romanzo (Rupe Mutevole Edizioni, 2015)

*Fecondatio Animae, riflessioni, pensieri a tema sociale e politico (Angelo Mazzotta Editore, 2015)

*Quella Casa nel Vento, romanzo, (Edizioni IlViandante, 2015)*raccolta di racconti ‘Vite Accidentali’ (Les Flaneurs, 2017)2019: ‘Oratio de Hominis Dignitate’, saggio (Fontana Ed.) – ‘I cancelli del cielo’, autobiografia romanzata (AGBook Publishing) – ‘La Consistenza dell’acqua’, romanzo (Gruppo Ed. Bonanno) – ‘La teoria delle cento scimmie’, romanzo (Ciesse Ed.) – ‘diario di viaggio di una scrittrice’, reportage (Catartica Ed.)

*Autrice di prefazioni e note critiche.
*Presente in numerose antologie internazionali con racconti e poesia.

2 thoughts on “Arte come specchio, Arte salvifica: Essere, per l’Uomo, significa Soffrire?

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