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Ci sono delle dichiarazioni che vengono scambiate per affronti o provocazioni, quando esse in realtà hanno per obiettivo esclusivamente ciò che realmente vi si afferma, senza altre finalità. Generalmente ciò avviene per errata interpretazione, fraintendimenti più o meno voluti, oppure quando ciò che si afferma o si richiede lede diritti e interessi altrui.

Il dato di fatto è che in Irlanda l’alcolismo è un problema sanitario nazionale!

Pertanto il diritto alla salute e il dovere di una Nazione a garantirla, fatte salve le aberrazioni cui abbiamo assistito nell’era della pandemia virale, sono inalienabili e la sovranità di uno Stato nell’applicare le debite contromisure non deve essere per niente scambiata per affronto da chi deve tutelare i suoi interessi. In una nota alla Commissione Europea dello scorso giugno, sic et simpliciter, Dublino aveva notificato la richiesta di adottare una normativa che prevedesse, sia su alcolici che su superalcolici, le dizioni “il consumo di alcol provoca malattie del fegato” e “alcol e tumori mortali sono direttamente collegati”. Nella stessa richiesta il Governo Irlandese teneva a specificare che il consumo di alcol nel loro Paese è responsabile di un grande peso che grava sulla salute pubblica, causando il 4,8% di tutte le morti nel Paese. Nella stessa nota si evidenziava quanto i dati raccolti siano allarmanti: la popolazione irlandese, di fatto, ha scarsa conoscenza dei rischi per la salute derivanti dall’alcol e che la metà delle persone che ne fa uso beve in maniera smodata; si consideri che in Irlanda, sul campione di popolazione under 25, un bevitore su tre palesa una forma di alcolismo, soggetti questi ancora più inconsapevoli.

Ne è conseguito che, a causa del periodo di moratoria scaduto a fine dicembre dello scorso anno, Bruxelles ha concesso alle autorità nazionali irlandesi l’adozione di leggi, e quindi di nuovi criteri di etichettaggio, con le sopraccitate avvertenze sui rischi per la salute, la quantità di alcol in grammi, le calorie, il simbolo, uguale a quello già in uso, sui rischi per la gravidanza, e un link che rinvia a un sito web su alcol e salute. La crociata irlandese contro gli alcolici non si limita a ciò: a partire da gennaio infatti una contromisura governativa ha voluto l’inserimento di un prezzo minimo per l’alcol che, nel caso del vino, equivarrebbe a 7,40€, quindi a salire in misura della gradazione alcolica in un paese in cui, vale la pena di sottolinearlo, tra i giovani i superalcolici sono quelli maggiormente diffusi. Tutto ciò nel tentativo di dissuaderne l’acquisto, o quantomeno di limitarlo, soprattutto presso i supermarket e gli altri esercizi dove bere diventa una faccenda decisamente molto economica. Inoltre, sulle bevande alcoliche, pesa un’imposizione fiscale elevatissima: è la più alta tra i paesi dell’Unione Europea, a cominciare dall’imposta sul valore aggiunto che ammonta al 23%, cosa che favorisce il fenomeno dello scambio transfrontaliero tra il territorio della Repubblica d’Irlanda e l’Irlanda de Nord appartenente al Regno Unito e dove gli alcolici sono più a buon mercato poiché subiscono un’imposizione fiscale più ridotta. Ad ogni modo quando facciamo riferimento all’Irlanda del bere non si riesce a fare a meno di pensare alla birra e al whiskey: della famosissima Guinness gli irlandesi ne bevono parecchia, circa 86 litri annui pro capite, ma sono anche grandi consumatori di superalcolici come appunto il whiskey, attestandosi all’8° posto nelle classifiche mondiali di consumo con 1,25 litri a testa. Non poco se ragioniamo in numeri relativi e se teniamo a considerare l’esiguità della popolazione: L’Irlanda in fondo non è che un piccolo Paese con meno di 5 milioni di abitanti, che fa parte dell’Unione Europea e con un reddito pro capite attorno ai 44 mila € annui. Tendono a bere anche sidro e vino d’importazione, non avendo una produzione nazionale. Il consumo di vino degli irlandesi si attesta sui 17 litri annui a persona e rappresenta uno dei tassi più bassi in Europa. Si consideri inoltre che solo un terzo delle importazioni di vino proviene dai Paesi Europei mentre la parte più cospicua da Australia, Cile, Sudafrica, Neo Zelanda, Argentina e Stati Uniti.

Effetti dell’alcol sulla salute in Irlanda nel 2017

È comunque scontato che il via libera alla norma irlandese possa crear tuttavia quelle premesse a ciò che altri Paesi debbano in seguito adottare un’etichettatura del genere, come raccomandato da tempo anche dall’OMS. Non si tralasci di considerare però che, per le strategie per battere il cancro del 2021, la Commissione Europea aveva già annunciato proposte per ridurre il consumo dannoso di alcolici, tra cui l’etichettatura obbligatoria con note nutrizionali e avvertenze per la salute; proprio su quest’ultima questione, nel febbraio 2022 l’Europarlamento si è spaccato, ottenendo un faticoso compromesso dando il via libera a maggiori informazioni sulle bottiglie, senza riferimenti ad avvertenze sanitarie. Ciò non toglie che sono diversi i Paesi che si sono opposti alla misura, in quanto creerebbe frammentazione nel mercato interno ed appare sproporzionata, soprattutto in vista di un confronto a livello europeo in materia che oggi manca, senza considerare che, proprio perché l’Europa c’è piaciuta così tanto, va comunque considerato che…

Il diritto alimentare europeo purtroppo si fa diritto nazionale altrui!

E intanto cosa succede in Italia? Chi volesse dare un’occhiata ai dati statistici in merito al consumo di alcol nel nostro Paese può farlo da qui, ma è il caso di dare qualche anticipazione: i dati sono allarmanti in diverse regioni sia per il consumo generale che per il consumo binge, ossia quello finalizzato all’ubriacatura, mentre nell’area “profili” si evince sono ancora troppe le donne incinte e in fase di lattazione a consumare alcolici, per non parlare di un campione della popolazione troppo basso nell’essere consigliato a bere meno dal medico in quanto esposto ai rischi derivanti da abuso d’alcol. Non va dimenticato che viviamo in un Paese che le vittime del metanolo non le ha mai risarcite, dove la politica dell’informazione ha cercato di nascondere scandali tipo Velenitaly come fosse polvere sotto al tappeto e gli artefici di Brunellopoli, piuttosto che chiedere scusa, han fatto spallucce, giustificando di aver usato vitigni migliorativi, ergo sostitutivi, aggiungendoli all’unico e solo dichiarato in purezza.

Duas tantum res anxius optat panem et circenses… ecco cosa accade in Italia, sotto il segno della propaganda più becera, che al solito maschera le armi di distrazione di massa condendo notizie acchiappa-grulli con pseudo patriottismo, allontanando l’opinione pubblica dai problemi reali.

Notizie a orologeria, necessarie a convincere che lo Stato c’è, un po’ come l’arresto frutto di “coincidenze miracolose” di Totò Riina, piuttosto che quello di Matteo Messina Denaro, vaticinato mesi prima da tal Salvatore Baiardo durante una trasmissione di Massimo Giletti, praticamente un regalo fatto alla giustizia italiana pur esso per ribadire che grazie a questo governo, auto dichiaratosi atlantista, le cose tutto sommato funzionano e ce le dobbiamo far piacere così. Insomma è difficile creare un parallelo tra l’arresto dei criminali e il regalare al popolino chiassose crociate come quelle contro l’uso alimentare del forno a legna per la pizza e contro il più recente nutriscore, balorde intenzioni europeiste finite, sorte nostra in un nulla di fatto, per il momento… sempre che poi, parlare alla pancia degli italiani a parte e dargli il contentino, non vogliamo parlare seriamente di enomafia e incidenza della malavita sul comparto agroalimentare e sullaristorazione, armi di distrazione di massa a parte.

Il fatto è che nella nostra Italia sono in parecchi ad usare le scorciatoie del cervello, accusando chiunque affermi che qualsiasi tipologia di alcol sia tossica voglia demonizzare il vino, senza considerare che in realtà la frase “amo il vino ma l’alcol è tossico per l’organismo” è una frase decisamente coerente, proprio perché il vino esige verità e chi ama davvero il vino la verità la professa. Chi non possiede un codice deontologico e non sa cosa significhi onestà intellettuale un poco meno.

Intanto ci sarebbe da riconoscere che i cialtroni che tentano di difendere il vino attraverso le Sacre Scritture, facendo purtroppo l’effetto contrario e tanto “mumbo jumbo”, preoccupano meno di coloro che tirano fuori ancora il resveratrolo per discutere degli effetti benefici del nettare dionisiaco sulla salute, fingendo di non sapere che il french paradox è sempre stato una montatura pazzesca… poi se qualcuno volesse confutare questa affermazione riporti pure quanto resveratrolo c’è in un calice di vino e quanti litri di vino occorrono perché l’organismo ne accusi la presenza e si giovi degli indiscussi benefici.

In buona sostanza l’Italia del vino fa il suo mestiere, cioè difendere un asset strategico per la sua economia, spesso accusando la stessa Europa di aver fallito nell’intento di far funzionare l’unico mercato, verissimo,e anche su tutto il resto in fondo. Tutte le altre categorie invece il loro mestiere lo svolgono un po’ meno, rollando tra affermazioni che oggettivamente ed ingiustamente ledono l’immagine del vino, offendendo i consumatori, a quelle che mal celano un eccesso di buonismo con ragioni non supportate dalla scienza. Occorre una vera e propria campagna di informazione che abbia per obiettivo la transizione dal bere consapevole al bere responsabile e, una volta per tutte, che le associazioni di categoria la piantino di fare politica, assecondando esclusivamente l’economia del vino, e comincino a mantenere le promesse, cioè andando a fare campagne di sensibilizzazione presso le scuole di ogni ordine e grado e non con l’esclusivo interesse di attirare nuovi iscritti.

Bisogna discernere attentamente gli effetti benefici reali legati ad un consumo moderato rispetto all’effetto psicotropo derivante dall’abuso di vino, così come è corretto separare l’abitudine a bere dalla cultura del bere, restituendo il più possibile il vino anche alla sua dimensione di alimento e di elemento prezioso per la Dieta Mediterranea, facendo comprendere al consumatore che una vita attiva favorisce la metabolizzazione degli alcoli e che la presenza di cibo nello stomaco, rallentando lo svuotamento gastrico, riduce la velocità di assorbimento dell’alcol, dilazionando nel tempo gli effetti inebrianti della bevanda. D’altronde il vino, coadiuvante nell’assimilazione dei cibi e delle motilità gastriche, oltre che eccellente fautore della longevità di diverse popolazioni mediterranee, come dimostrano recenti studi in Sardegna, è appunto anche un alimento, no?

Sarebbe il caso di evitare quelle frasi feroci incorniciate come i manifesti da morto, ci sono ottime ragioni per ritenere sortiscano l’effetto contrario, oltre ad essere di pessimo gusto in quanto deturperebbero l’estetica di una bottiglia di vino buono, ma non c’è nulla di male ad adottare etichette che contengano informazioni circa il rapporto calice/indice alcolemico e le calorie che ne derivano, un po’ come si fa già su certi menu, prassi adottata negli Stati Uniti a partire dal 2018, che impone alle catene di ristoranti con venti o più locali l’obbligo di indicare sul menu appunto il contenuto calorico degli alimenti preparati.

Insomma, un sommelier che si rispetti e che ama il vino saprà come difendere il vino e saprà pure quando è il caso di sconsigliarne il consumo nei casi dove è eticamente e moralmente giusto farlo. Un albo professionale della Sommellerie sarebbe quello che ci vuole in Italia per tutelare questa professione, alla base della sana cultura del bere. In definitiva si abbia equilibrio tanto nel bere che nel parlare del vino, che per fortuna non ha bisogno di certi paladini e continuerà ad essere la parte intellettuale di un pranzo, come sosteneva Alexandre Dumas. E piantiamola con ‘ste manfrine, manco se l’Irlanda, o chi per lei, ci avesse imposto una buona volta di riportare tutti gli ingredienti con cui si è capaci di fare il vino! Quanto lunga sarebbe la lista che certi produttori sarebbero costretti a riportare?

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