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Il grano come fonte di ricchezza e misuratore del grado di benessere. Il grano, ieri come oggi, è al centro di importanti decisioni geopolitiche mondiali, che interessano i maggiori consumatori al mondo, ossia l’area mediterranea. Abbiamo intervistato Sébastien Abis, (di origini sarde) a proposito del suo nuovo libro “Géopolitique du blé. Un produit vital pour la sécurité mondiale” edito in Francia da Armand Colin/IRIS. Sébastien Abis è un  importante ricercatore del settore agroalimentare dell’area mediterranea, amministratore al CIHEAM, ricercatore associato preso IRIS.

abisNegli ultimi anni si parla sempre più di agricoltura e alimentazione come settore strategico per lo sviluppo nazionale. Il tasso di crescita demografica nella sponda sud del Mediterraneo impone diverse necessità: quantità di cibo, energia, abitazioni. Tutte queste cose necessitano di abnormi quantità di ettari di terra. Per contro, nella sponda nord, esistono milioni di case disabitate, quantità inutilizzata di energia sostenibile e migliaia di tonnellate di cibo sprecato. Solo nella sponda sud si calcola che la popolazione triplicherà nel giro di 30 anni e si arriverà più o meno a 600 milioni di abitanti. Tutto questo obbliga a ripensare il modello di consumo del suolo e dell’organizzazione delle città, che diventeranno metropoli complicate da gestire, affamate di cibo ed energia.

Quali sono le sfide della geopolitica nel Mediterraneo, nel settore specifico dell’agricoltura?
Se il cuore geoeconomico del pianeta si è spostato verso l’area dell’Asia-Pacifico, il polmone dell’attualità geopolitica mondiale resta localizzato nel Mediterraneo dove, tuttavia, persistono numerose le incertezze geostrategiche. I processi di transizione politica e sociale avviati in molti Paesi mediterranei al principio del decennio 2010 saranno lunghi, complessi e molto variegati. Ogni Stato, in una fase post-rivoluzionaria, passa attraverso una transizione specifica, col coinvolgimento di attori locali dai volti più diversi. E’ giunto il momento di destagionalizzare questa «primavera» araba, modificando un sintagma entrato nell’uso comune in Europa e negli Stati Uniti, ma per nulla confacente ai movimenti che scuotono la geopolitica. Malgrado la complessità dell’attuazione di nuove costituzioni e dell’organizzazione del potere, noi dobbiamo continuare a scommettere sulla democrazia nell’intera regione mediterranea, ricordando quanto questo richieda tempo e perseveranza. Non siamo più in grado di valutare lo scenario di uscita dalle crisi che dominano ancora il Vicino Oriente.
Nel Sud dell’Europa, le società versano in uno stato di malcontento e frequenti sono le proteste di piazza. Permane lo stallo economico e le risposte dei governi paiono insufficienti agli occhi di gran parte della popolazione. Il Mediterraneo rimane al centro dei giochi geopolitici, ma non è più il baricentro dell’economia mondiale. L’Europa non è sola. Vi sono gli Americani, i Russi, i Cinesi, i Brasiliani. Non possiamo più immaginare un Mediterraneo rivolto unicamente all’Europa. Il commercio mondiale passa per Mare nostrum. Petrolio e gas, ma anche il grano dato che rappresenta un terzo delle importazioni mondiali dei paesi Nord-Africani e Mediorientali. Circa il 30% del traffico commerciale marittimo passa per il Bacino Mediterraneo. Ma questo Mare nostrum è diventato un murus noster. Negli anni si sono innalzati sempre più muri, ne è l’emblema la frontiera di 1600 kilometri tra Algeria e Marocco che è chiusa dal 1994. Il Mediterraneo è un centro del Mondo. Non è al centro del Mondo. Non è più al centro. Ma è un centro geopolitico, geoeconomico, commerciale, turistico, migratorio.

Tutto lascia presagire che a Novembre di quest’anno, non festeggeremo col sorriso il XX anniversario della dichiarazione di Barcellona. Gli obiettivi prefissati per il Partenariato euro mediterraneo non sono stati realizzati. La regione non ha raggiunto una più ampia pacificazione sul fronte strategico né una maggiore prosperità sul versante economico e tantomeno un’accresciuta tolleranza sul terreno culturale.
L’attuale contesto di mutamenti sociopolitici nel bacino mediterraneo ci induce a interrogarci sullo stato delle economie dei paesi che lo circondano e sulle potenziali leve di sviluppo per la regione. Il tema dell’occupazione, in particolare delle giovani generazioni, è centrale. Il miglioramento delle condizioni di vita è tra le principali rivendicazioni delle popolazioni afflitte da una precarietà multidimensionale che le espone quotidianamente a una situazione di estrema vulnerabilità. L’accesso all’alimentazione costituisce una variabile determinante in quest’equazione. L’inflazione dei prezzi agricoli sui mercati internazionali e locali pesa sulle finanze pubbliche e sul potere d’acquisto delle famiglie. Così la preoccupazione di assistere alla graduale riduzione della sicurezza alimentare nella maggior parte dei paesi mediterranei non è mal riposta, a maggior ragione se si considera che il commercio mondiale agricolo è sempre meno stabile in un’era di nervosismo ricorrente, che la dipendenza di alcuni paesi della regione è in ascesa e che il mutamento climatico può avere ripercussioni sulle potenze esportatrici. Ma non tutte le aree sono interessate in egual misura dall’insicurezza alimentare e dalla pauperizzazione. In effetti il divario della ricchezza è spesso notevole fra le città globalizzate, situate per lo più lungo il litorale e quindi aperte alle dinamiche dell’internazionalizzazione degli scambi economici e le zone rurali dell’interno dove predomina il sottosviluppo. Le ineguaglianze sociali e spaziali, laddove si combinano, non conducono ad una stabilità sociopoliticia, anzi. E’ la ragione per la quale la costruzione di una crescita che sia socialmente e territorialmente più inclusiva appare una priorità assoluta per i paesi del bacino mediterraneo. L’agricoltura, la sicurezza alimentare, i territori rurali e la sostenibilità delle risorse naturali si pongono al centro del dibattito contemporaneo a livello mondiale e, senza dubbio alcuno, in modo ancor più evidente, al centro delle sfide mediterranee. Inoltre è messa in discussione anche la sostenibilità dei modelli di sviluppo agricolo. Imparare a produrre diversamente significa produrre nel contempo meglio e con minor dispendio di risorse, ma anche produrre di più qualora questo sia possibile.

Infine si conferma una certezza: l’era dell’abbondanza è oramai alle nostre spalle. Viviamo ora in un mondo di scarsità. Consumiamo troppo e consumiamo male. Produciamo sempre di più in agricoltura, ma il cibo è ripartito in modo ineguale ed è oggetto di immensi sprechi. Tali perdite sono intollerabili. A ciò si sommano le perdite di acqua e suolo e l’erosione della biodiversità che costituiscono un ulteriore ostacolo per la sicurezza alimentare mondiale e aumentano la pressione sulle risorse. Se non si progredisce sul versante della lotta quotidiana allo spreco, l’insicurezza alimentare è destinata ad accrescersi. E abbiamo visto precedentemente che le dinamiche geopolitiche all’opera nel Mediterraneo hanno contribuito ad amplificare il rischio alimentare e lo squilibrio dell’attività agricola nei paesi della regione.

Che peso ha il cambiamento climatico per il Mediterraneo agricolo?
Innanzitutto, ricordiamo che l’agricoltura è un settore d’attività vitale e che dipende completamente (o quasi) dal clima! L’aumento della frequenza con cui si manifestano eventi meteorologici estremi, come le inondazioni e la siccità, minacciano la sopravvivenza e la biodiversità delle specie animali e vegetali. Questi cambiamenti, annunciati da tempo, sono effettivamente diventati realtà. L’agricoltura è sempre esposta ai rischi e ai capricci climatici. Da qui deriva che l’insicurezza climatica amplifica l’insicurezza alimentare. Tutto è collegato. Anche le insicurezze idriche, terriere o economiche sono influenzate da queste dinamiche. Questo rappresenta il lato sia interessante che preoccupante del settore agricolo: tutto si incastra, tutto si combina. Bisogna quindi analizzare questi problemi con un approccio olistico e far si che l’agricoltura trovi il suo posto nell’analisi strategica e geopolitica.
Gli impatti del cambiamento climatico si mostrano maggiormente nelle regioni più vulnerabili. In particolare nel Mediterraneo. L’adattamento al cambiamento climatico è un fattore cruciale in queste regioni dove le insicurezze climatiche, idriche e alimentari si accumulano.

Il caso della Siria è emblematico. Il paese è stato colpito, tra il 2006 e il 2010, dalla siccità. A questa si è sovrapposto un aumento del prezzo dei prodotti alimentari e una cattiva gestione del pompaggio d’acqua da Damasco, che hanno generato delle conseguenze disastrose per l’agricoltura. Circa 300.000 agricoltori si sono spostati dalle campagne ai centri urbani. La crisi climatica e le sue conseguenze socio-economiche hanno sicuramente giocato un ruolo fondamentale in relazione alle rivolte del 2011 e che hanno portato alla guerra in Siria. Le stesse regioni dove una volta vi era metà della concentrazione della produzione nazionale di cereali, si ritrovano devastate dalla guerra, dalle loro infrastrutture fortemente danneggiate e dalla loro popolazione in fuga. Quindi, non è sorprendente che la produzione di grano si ritrovi, storicamente, ai suoi livelli più bassi: le urgenze alimentari e umanitarie si amplificheranno. Il caso siriano mostra bene, purtroppo, come si possano sovrapporre le tensioni geopolitiche, climatiche, socio-economiche e alimentari. Ma questo è il problema del Mediterraneo in generale. La questione della produzione agricola e della sicurezza alimentare, in un contesto dove vi sono vincoli climatici e geografici, devono essere compresi in una chiave geopolitica. La regione è storicamente caratterizzata dall’aridità e dalla scarsità dell’acqua. I sistemi di produzione innovativi che sono stati utilizzati per lungo tempo nell’agricoltura mediterranea oggi sono messi a dura prova. Imparare a lavorare l’acqua e la terra, condividere esperienze di adattamento ai cambiamenti climatici, trovare delle soluzioni per rendere più sofisticate le prestazioni sul piano ecologico ed economico dei sistemi agricoli, sono tra i grandi obiettivi dei paesi del Mediterraneo. Ad esempio, il grano, è fortemente influenzato dai cambiamenti climatici. Lo scenario più negativo per il futuro, prevede una diminuzione del 25% della produzione mondiale di grano tra il 2030 e 2049 e, al contempo, la FAO e l’OCDE prevedono che, per nutrire il mondo, la produzione agricola dovrà aumentare del 60%! Inoltre, con la crescita demografica e un’urbanizzazione che provoca grandi transizioni alimentari, la domanda è in aumento, superando di gran lunga l’offerta interna. L’impatto del cambiamento climatico sulle precipitazioni e le temperature va ad aggiungere tensioni supplementari sulle prospettive di produzione dei cereali e complica le strategie di sicurezza alimentare. Una prima leva di questa strategia è quella di massimizzare la produttività agricola per la ricerca, l’innovazione tecnologica e la lotta contro lo spreco. In un contesto di vincoli economici e di budget, la buona gestione delle risorse e la loro razionalizzazione sono fondamentali. Ridurre le perdite, ottimizzando le rotte commerciali e le infrastrutture andrebbe a colmare meglio il divario tra domanda e offerta del grano. Troppa quantità di grano viene sprecata. Una seconda leva della strategia di sicurezza del grano è la lotta contro la speculazione e gli shock di prezzo sui mercati internazionali.

L’IPCC (International Panel on Climate Change) nel suo quinto rapporto del 2014, ha ribadito con forza l’allarme che la maggioranza degli scienziati di tutto il mondo lanciano ormai da decenni: dobbiamo drasticamente ridurre l’utilizzo di fossili combustibili se vogliamo proteggere il nostro pianeta. Proprio in questo contesto di incertezza e preoccupazione, in occasione del G7, tenutosi il 7 e l’8 Giugno di quest’anno in Germania, i sette paesi si sono impegnati a ridurre le emissioni di gas serra per contrastare il cambiamento climatico. Soprattutto in vista della conferenza mondiale sul clima che si terrà a Dicembre a Parigi, è stata sottolineata la necessità di un’azione urgente e concreta. Ma queste ambiziose dichiarazioni delle economie più ricche del mondo saranno veramente realizzate? Le parole spesso non finiscono in nulla. Possiamo solo sperare che queste decisioni si trasformino in fatti.

Qual è il ruolo del grano, e degli altri cereali, nella strategia economica e politica del bacino del Mediterraneo?
Il grano è potere. È un punto cieco delle ricerche strategiche e pesa tantissimo nell’intreccio delle grandi questioni politiche della globalizzazione. I giochi politici gravitano attorno al grano e chi lo controlla ha un ruolo strategico. Le sua domanda è sempre in crescita, lo consumano 3 miliardi di persone nel mondo e si produce solo in una decina di paesi. L’antica Atene, culla della democrazia, aveva liberalizzato tutti i commerci, tranne quello del grano. Roma ha inventato l’Annona, e dal medioevo alla rivoluzione francese, l’accesso e la disponibilità di questo cereale hanno fatto la storia. Ancora oggi è cosi, si pensi a Gheddafi che distribuiva ingenti quantità di grano a sostegno della sua azione diplomatica in Africa. Anche i rapporti tra Russia ed Egitto hanno iniziato ad intensificarsi proprio a partire dalla fornitura di cereali. Se la sua cultura è diffusa nello spazio e nel tempo, la sua produzione rimane concentrata in pochi paesi. Tutti gli stati dove esiste il consumo di grano, cercano di produrne un minimo nel loro territorio. D’altra parte, sono pochi i paesi che possono nutrire la propria popolazione e, contemporaneamente, esportare il grano. Come nell’epoca antica, bisogna fare appello agli scambi commerciali per permettere alla maggioranza dei paesi di ricoprire il loro fabbisogno interno. A livello geopolitico, questa constatazione è estremamente importante.
Oggi, 160 Mt di grano si trovano sui mercati internazionali e la maggioranza serve per nutrire l’uomo. Quindi si parla principalmente di grano alimentare. Il suo commercio rappresenta in totale 50 Miliardi di dollari e se ne deduce che il grano è, tutt’ora, il prodotto agricolo ed alimentare più scambiato al mondo.

Rispetto alla situazione di vent’anni fa, 60 Mt di grano in più vengono immessi ogni anno sui mercati. Questo guadagno non proviene dagli Stati Uniti, che assicurano tuttavia ancora tra il 20 e il 25% dell’esportazione mondiale; risulta dall’attività dell’UE, quindi l’allargamento ad Est ha rinforzato un potenziale agricolo che ha, essenzialmente, dopato le sue capacità d’esportazione. Il grano, essendo un prodotto vitale, è una risorsa che genera seri disequilibri strategici. La sua produzione è ripartita inegualmente sul pianeta. Di fatti, bisogna comprendere una semplice equazione: i territori ove il consumo di grano e pane sono più forti (Africa del Nord e Medio-Oriente) o in crescita (Africa, Asia del Sud-Est) corrispondono ai paesi anche più instabili. Se esiste una regione al mondo dove l’espressione “sete di grano” trova tutta la sua pertinenza è l’Africa del Nord e il Medioriente. Allora, se la nozione di “iperpotenza” utilizzata da Hubert Védrine, l’allora ministro degli affari esteri francese, per indicare la forza degli Stati Uniti sulla scena internazionale, è possibile parlare di un’ “iperdipendenza dai cereali” da parte di queste regioni. Per i paesi della regione ANMO, sarà necessario trovare delle quantità colossali di grano all’estero. Le conseguenze economiche sono molteplici. Più cresce l’esigenza di importare, maggiore sarà l’attenzione nei confronti del prezzo del grano. In questo contesto, gli operatori promuovono la concorrenza su tutti i fronti. È quindi necessario essere competitivi a tutti i livelli. La psicologia e il comportamento degli attori sui mercati del grano costituiscono parametri essenziali sia per i produttori/esportatori che per gli importatori. Inoltre, si aggiungono anche i problemi legati al prezzo, all’origine e al trasporto. In sintesi, è necessario essere dei veri e propri strateghi per operare nel settore del grano in questi paesi. Anche se le politiche di sviluppo dei cereali sono state attuate dalla maggior parte dei governi per mezzo secolo, è da constatare che oramai tutti i paesi della regione sono importatori di grano. Nonostante sia necessario l’uso di forniture esterne, si dovrebbe far leva sulla produzione nazionale e sull’efficienza della filiera del grano. Ad esempio, il dibattito sull’uso o meno delle nuove tecnologie per ottimizzare i rendimenti è fondamentale. È assolutamente doveroso ridurre le perdite e produrre di più per far si che questi paesi si riapproprino di un pezzo di sovranità alimentare. Se l’autosufficienza alimentare ora è irraggiungibile, l’ottimizzazione delle filiere e il rafforzamento delle capacità di stockage possono contribuire a migliorare la sicurezza alimentare in questi paesi. Ma la filiera d’importazione del grano rimane ostacolata dalla mancanza di efficienza logistica. L’elevato costo dei trasporti interni é uno dei fattori responsabili dell’aumento del prezzo del grano. Un collegamento migliore di questi paesi con il mondo e tra le proprie zone interne permetterebbe di ridurre considerabilmente il costo dell’importazione. Abbiamo bisogno di mercati e di scambi più aperti. Il Mediterraneo può essere il luogo della diplomazia del cibo, a partire dalla condivisione delle informazioni.

In questo contesto, qual è il ruolo del CIHEAM?
Il 21 maggio 2015, il CIHEAM ha celebrato il 53° anniversario della sua creazione. La storia dell’organizzazione è legata a quella dell’Europa e del Bacino mediterraneo ed è andata delineandosi progressivamente e pazientemente in contesti politici, sociali e economici in continua effervescenza. Puntualmente il CIHEAM ha dovuto affrontare eventi regionali che andavano oltre la sua sfera di competenze, ma che, seppur indirettamente, si ripercuotevano sull’organizzazione. È stato necessario negoziare dei cambiamenti difficili per portare avanti la nostra azione senza compromettere il mandato del nostro statuto. Mantenere quest’aspirazione e tradurla in strategia è stato possibile grazie alla determinazione degli stati membri, delle donne e degli uomini che hanno contribuito a forgiare questa storia. Attraverso le sue attività di formazione, ricerca e assistenza tecnica, il CIHEAM contribuisce all’elaborazione di una visione globale, strutturante e attrattiva dello sviluppo nel Mediterraneo. Questa diplomazia scientifica opera a favore del multilateralismo in quanto il CIHEAM ritiene che solo la cooperazione regionale e il partenariato possano consentire di far fronte alle sfide della regione. E questa diplomazia scientifica intende peraltro combattere ciò che definiamo «lo spreco di conoscenza». Ebbene, al CIHEAM spetta il compito di produrre conoscenza utile, innovativa e di ausilio ai governi e agli operatori dello sviluppo. MED-AMIN (Mediterranean Agricultural Market Information Network), ad esempio, è un’iniziativa lanciata dai ministri dell’agricoltura dei 13 paesi membri del CIHEAM in occasione della loro decima riunione (Algeria, 2014). Coordinato dal CIHEAM, in particolare da parte dal nostro Istituto di Montpellier, questo network lavora in relazione con il segretariato di AMIS (Agricultural Market Information System) basato a Roma, dove si terrà il prossimo incontro ad Ottobre 2015, la FAO e la Commissione Europea. MED-AMIN è volto a favorire la cooperazione e la condivisione di esperienze tra i sistemi d’informazione nazionali sui mercati agricoli. Il network è principalmente dedicato ai cereali (grano, mais, orzo e riso), strategici per la sicurezza alimentare dei paesi del Mediterraneo. È volto anche a sviluppare un meccanismo di comprensione dei paesi del Mediterraneo, al fine di fornire una più grande trasparenza ed un’informazione di qualità sui mercati alimentari. La cooperazione Mediterranea è un progetto geopolitico a lungo termine ed ogni passo va verso una più grande solidarietà multilaterale. Un altro programma centrale è quello di “Feeding Knowledge” , coordinato dall’Istituto di Bari, volto a produrre conoscenza e saperi, condividendo e proponendo la loro applicazione ai decisori politici ed economici della regione mediterranea e che sarà eredità intangibile di Expo 2015.

Continueremo a scrivere questa storia, ad attuare i nostri strumenti di cooperazione, a lavorare per l’agricoltura, la sicurezza alimentare, i territori rurali e la pesca. Malgrado le difficoltà del contesto regionale, nonostante le numerose incertezze, lo faremo con la stessa convinzione dell’importanza del dialogo regionale e la stessa passione per il Mediterraneo. È questo il messaggio che noi sosteniamo quotidianamente da anni e che continueremo a portare avanti nei mesi a venire. Non dobbiamo dimenticare i settori come l’agricoltura, riconsideriamo le nostre priorità. Mettiamo l’accento sull’educazione, la formazione e adattiamole ai bisogni e all’impiego dei giovani. Non investiamo solo nelle città, ma anche nelle zone rurali perché senza queste non ci sarà sviluppo urbano sostenibile. Valorizziamo la conoscenza. Nel Mediterraneo c’è spazio per tutto questo.

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