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La vitivinicoltura è una branca complessa dell’agricoltura e costituisce un cluster economico di assoluto rilievo sia dal punto di visto agronomico che enogastronomico, oltre che un elemento trainante per il turismo rurale, colto ed itinerante, attraverso il paesaggio, un paesaggio che merita di essere protetto e preservato poiché in esso si determina il grado di civiltà di chi lo abita e lo vive.

Più certo è che la millenaria coltura della vite riveste un ruolo importante nella salvaguardia e nel rispetto del territorio per sostenibilità agricola, preservazione paesaggistica, rivalutazione di zone marginali e recupero di quelle tradizioni che hanno fatto e fanno tutt’oggi dell’Italia la figlia prediletta di una grande Civiltà Contadina e di una straordinaria biodiversità, unica nel suo genere, senza contare che il vino è stato per i nostri nonni ed i nostri padri protagonista di una delle forme più colte ed ordinate di anarchia: l’autoproduzione.

Lavorare in perfetta coerenza la vite significa saper ascoltare ed interpretare le sue esigenze, creando un punto di mediazione tra un modello agricolo sostenibile, l’evoluzione delle pratiche nel vigneto, il progresso scientifico e le richieste di un mercato a fasce di clientela trasversali e sempre più competitivo. Insomma un esercizio di virtù e di conoscenza applicata alla pratica, ponderazione, equilibrio e capacità di fare impresa.

Il comparto viticolo e la scienza enologica sono pertanto componenti dinamiche dell’economia del Made in Italy, un volano per la promozione di prodotti tipici e per la valorizzazione delle Eccellenze Italiane, attività produttive in costante evoluzione e ad altissima competitività sia sul mercato nazionale che su quello globale.

Viticultura Sostenibile ed Enologia Coerente non possono che essere frutto di un intreccio tra Valore Umano, Senso Etico ed Agricoltura di Precisione.

Da questo punto di vista il mondo non è soltanto bianco e nero, la Natura è in costante mutamento e le logiche dietro le umane attività sono molteplici e tutt’altro che immutabili… ce lo spiega il prof. Leonardo Valenti.

Nato a Corniglio e classe del ’56, il prof. Valenti proviene da una famiglia contadina da sempre dedita alla terra nell’Alta Val Parma; col trasferimento della famiglia a Milano e l’apertura di un ristorante si appassiona al vino mentre è di aiuto a sua madre nell’attività; i genitori gli insegnano a fare sacrifici e provano a sottrarlo al richiamo della terra, pensando per lui ad un’altra carriera, ma alla fine degli anni ’70 entra all’Università di Milano per laurearsi nel 1981 in Scienze Agrarie. Da allora quel forte richiamo si è trasformato in un impulso costante ad acquisire sempre maggiore conoscenza, portandolo dapprima a vincere concorso come Ricercatore Universitario presso l’Istituto di Coltivazioni Arboree della Facoltà di Agraria dell’Università di Milano, a ricevere il premio dell’Associazione Italiana Enologi per la ricerca scientifica e, successivamente, insignito del titolo di Enologo direttamente dal Ministero delle Risorse Agricole Alimentari e Forestali nel 1994 ed Ambasciatore delle Città del Vino nel 2013. Il curriculum vitae del prof. Valenti, visibile qui, è la traduzione di un impegno e di una abnegazione costante che dimostra come la sua passione non si sia mai arrestate, né con le innumerevoli specialistiche conseguite in materie come la frutticultura, l’orticultura e l’arboricoltura con uno studio assiduo sulla vite a 360°, né tanto meno con il ruolo di Docente nel Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia della Facoltà di Agraria dell’Università degli Studi di Milano.

Una delle frasi che maggiormente lo contraddistingue è “volere è potere” anche perché in maniera esemplare ha saputo dimostrare che è importante conseguire il risultato dando tutto sé stesso ed è quello che cerca di trasmettere amorevolmente ai suoi studenti. Prova una forte ammirazione per la sagacia di suo nonno, maestro di vita, e per il suo professore in arboricoltura Marco Marro. Ama leggere i romanzi storici, le pubblicazioni scientifiche e tutto quel che attiene allo studio sulle popolazioni antiche, inclusi i documentari.

Il prof. Valenti, nel suo carattere, nel suo comportamento e nei suoi valori, presenta tutto il retaggio di concretezza e dedizione al lavoro degli uomini dei primi del ‘900 ed insegna ai suoi studenti da buon padre di famiglia, con l’approccio che risulta scientifico ed umanista al tempo stesso.

La viticultura di ieri e di oggi. Ce ne parlerebbe?

Plinio il Vecchio, Virgilio e Columella erano cronisti e storici della quotidianità, la loro letteratura è la dimostrazione di un’auto erudizione sulla esperienza derivata che è arrivata ai giorni d’oggi, con tutta una serie di prove tangibili che derivano da epoche ancor più remote e che ricostruiscono il percorso millenario della vite. Poi è arrivata la Rivoluzione Industriale, non è arrivata contemporaneamente ovunque e neanche nella stessa forma e misura. È bene considerare che la vera rivoluzione inizia dopo il ‘900 con tutto ciò che influenza l’agricoltura e, fondamentale elemento in tutto questo, la catena sociale assume un ruolo determinante in questa fase, estromettendo il coltivatore dall’attività di vendita e dal ricatto del commerciante, portandolo quindi a fare viticultura individuale. Prima della guerra infatti erano in pochi a fare la bottiglia. La cantina sociale ha svolto appunto un lavoro sociale ma c’era molta viticultura promiscua, legata all’autoconsumo, e cioè a quello in cui il vino era visto come un alimento. Il processo del materialismo storico, l’intreccio dei valori e delle necessità della popolazione al tempo, hanno la loro rilevanza nel configurare i costumi e la maniera di bere del tempo.

Col dopo guerra e le grandi migrazioni a carattere nazionale, si assiste ad uno svuotamento di specializzazioni, di persone operose e di mani che sapevano. Un tempo veniva mantenuta l’erba, il letame, la rotazione ed il vigneto viveva in simbiosi con l’uomo. Si assiste purtroppo ad un passaggio dalla Cultura Contadina e quindi ad una presenza assidua, intelligente e sensibile verso la pianta alla perdita di forza lavoro. La soluzione alla perdita di forza lavoro ha portato alla ricerca della meccanizzazione per la gestione del suolo, creando un’alternativa credibile. Lo sbaglio iniziale però è stato quello di adeguare i vigneti alla macchina, mentre in Francia si adeguavano le macchine ai vigneti. Al Sud, per certi versi ancora oggi, si è più approcciati al modello agricolo. Va comunque ribadito che la meccanizzazione ha portato con sé generazioni di viticultori meno sensibili a prevenire le necessità delle singole piante all’interno di un filare.

Bisogna considerare che nel togliere la competizione con le erbe la lavorazione in vigna è diventata meno ragionata: dapprima il vignaiolo in condizioni di terreno asciutto e bagnato faceva un lavoro corretto, mentre la macchina entra a prescindere, influenzando i sesti di impianto, i portainnesti, la concimazione minerale, senza accorgerci dei disastri di cui siamo stati fautori. Chi è rimasto nei territori invece ha potuto proteggere un certo modo di fare vino, rispettando le tradizioni.

Che possiamo fare per salvare il buono della viticultura di un tempo?

Intanto bisogna avere comprensione del fatto che noi abbiamo perso dall’agricoltura della piccola azienda la capacità di valutazione di ogni singolo vigneto e di ogni singola pianta: l’agricoltore di un tempo si sforzava di fare questa valutazione, intuendo persino dove la concimazione dovesse essere diversificata proprio per obbedire alla necessità della vite; questi uomini vocati all’agricoltura avevano la capacità di conoscere e chiamare per nome le piante, erano di una precisione ed una consapevolezza del vigneto straordinaria. Oggi, quel che non facciamo più attraverso l’indagine del viticultore accorto, lo rileviamo da tutta una serie di logiche che attengono agli automatismi ed alla tecnologia in uso.

Bisogna comunque recuperare la conoscenza del vigneto.

Il viticultore di allora gestiva 4 ettari, quello moderno almeno 20. Dagli anni ’80 il vigneto è stato allevato in maniera standard. È irrinunciabile il valore fondamentale dell’uomo per il mezzo dell’osservazione al fine di discriminare tutte le fonti di informazione in suo possesso e compararle sullo stato effettivo delle piante in campo ed in prima persona. I mezzi moderni danno una lettura del vigneto che il vignaiolo che deve saper interpretare ed adattare. Questo è ciò che bisogna recuperare: la capacità di interpretazione e di adattamento, conoscere meticolosamente la configurazione del terreno e del vigneto ed avere l’intelligenza e la sensibilità di dare alla pianta ciò di cui ha effettivamente bisogno e quando ne ha bisogno.

Cosa aborrire della moderna viticultura?

Dunque nella vita purtroppo a volte si va avanti per una strada incaponendosi, sbagliando, l’importante è tornare indietro al bivio di partenza in cui si è andati ad operare una certa scelta. Ciò che va evitato è perseverare negli errori ed essere testardi. La Natura è in costante mutamento e noi dovremmo imparare ad adattarci ad essa senza forzature e testardaggine.

Cosa ne pensa della biodinamica?

Sostengo che se l’agricoltura biologica debba essere la condizione a ciò che l’agricoltura biodinamica ottenga il sostegno politico-economico, ciò non può che essere un bene in quanto la seconda, checché se ne possa dire, sarà irrimediabilmente vincolata alla prima. Trovo pertanto che garantire che il suolo verrà lavorato in maniera corretta in termini agronomici e che altrettanto si faccia sull’apparato radicale, non può che essere un bene e da questo punto id vista trovo corresponsione tra questi due modelli di gestione agricola, tanto più che la biodinamica, la quale non è soltanto cornoletame, è appunto gestione e rispetto del suolo.

Infatti, se la gente andasse al di là delle parole si scopre che le persone che fanno biodinamica non fanno pratiche esoteriche ma gestiscono il suolo nella stessa misura del biologico: la biodinamica riconosce che il primo cervello dell’agricoltura è il terreno ed il cervello della pianta è il suo impianto radicale immerso in un ambiente che dà dei risultati ottimali tali che la pianta possa esprimere le sue massime caratteristiche. Biologico o biodinamico va bene purché si rispettino questi parametri e ci sia una codifica nitida ed accurata dei risultati.

Il biologico dovrebbe costituire la normalità in quanto a sostenibilità ambientale, il biodinamico, al netto di certe pratiche, costituisce uno sforzo maggiore che deve poter comunque passare attraverso l’applicazione del biologico. Indipendentemente dall’uso di cornoletame o dell’ortica, il modello biodinamico condiziona positivamente l’atteggiamento del viticultore, stabilendo quelle azioni che, prima, durante e dopo, giovano all’ecosistema vigneto.

Occorre però fare una rivisitazione del concetto di Rudolf Steiner, andare oltre certi dogmi che lasciano il tempo che trovano, soprattutto in termini ideologici, non avere paura di certe culture, superare le parole e vedere ciò che di propositivo si vede in termini pratici. Se però la biodinamica è sostenibilità deve poter essere innanzitutto sostenibilità economica, oltre che ambientale. È tutto sommato una pratica buona al netto di certi enunciati, ma dovrebbe essere gestita con certificazioni ancor più solide, magari passando prima per una condotta biologica concreta, come si intende fare, ossia avere un livello culturale ed una conoscenza superiore, una consapevolezza di ciò che le scelte effettuate hanno in termine di impatto sul vigneto anche nel lungo termine.

È più biologico chi è biodinamico o è più biodinamico chi è biologico?

Con il cornoletame hai una logica di approccio di tecnica agronomica non tanto in sé ma per tutto quello che è preparatorio, come ho anzidetto. Le cose fatte bene in biologico e fatte bene in biodinamico non differiscono nei risultati, poiché sono pratiche quasi equiparabili ed infine possono essere reputate corrette entrambe. È il modo di operare della biodinamica che va premiato non la mentalità esoterica e filosofica, cosa buona è quindi ragionare a beneficio dell’ambiente, come entrambi i criteri agronomici si prefiggono di fare.

Varrebbe dunque la pena di assegnare dei soldi a chi investe in biodinamico?

Passando attraverso il biologico e facendo anche in più certamente. Se le persone portano avanti delle pratiche entro l’egida della certificazione biologica non vedo perché non debbano acquisire dei fondi… con le dovute attenzioni per garantire che i soldi non siano spesi inutilmente ed istituendo un ente controllore.

Piwi, ibridi di sesta generazione e vitigni resistenti. Giusto parificati ad ogm ed introgressione genetica come sancito dalla Corte di Giustizia Europea in materia di new breeding tecniques? Non vorrei facessimo la fine dei salmoni norvegesi!

Sarebbe più corretto dire vitigni tolleranti piuttosto che resistente, per quanto questa definizione è la più diffusa. Più certo è che questa tipologia di piante necessita di un minor numero di trattamenti e questo, per quanto non sia l’unico mezzo, dà una risposta reale sull’ambiente. Ci deve essere comunque una presa di coscienza da parte del viticoltore: si possono portare avanti delle informazioni genetiche senza che essa stravolga. Si tratta semplicemente di assolvere a delle necessità legate all’eccessivo uso di prodotti chimici, il riscaldamento globale eccetera.

Nella maggior parte dei casi, quando parliamo ancora di piante che appartengono al genere Vitis Vinifera, ci attestiamo su una differenza di materiale genetico del 3% rispetto alla Vitis tipica. Comunque non esiste un’uniformità di ragionamento in queste cose e bisogna riconoscere che si va avanti anche per compromessi perché purtroppo il mondo ragione anche in base a regole di natura economica.

Occorre salvare la genetica diretta, gestendo attentamente la situazione e prevedere dei salti genetici che la natura avrebbe fatto più avanti ma che oggi non si ha più tempo di attendere, fare informazione seria e trasparenza. Soprattutto, occorrono regole. Non si può fare a meno però di fare un passaggio condiviso e che il viticultore venga evinto appieno di ciò che si accinge a fare, abbracciando o meno questo tipo di scelta con consapevolezza e conscio di alcuni rischi, cercando di evitare situazioni che potrebbero diventare ingestibili. Bisogna evitare ad ogni modo di assumere posizioni totalitaristiche nell’uno e nell’altro senso, poiché la vita e la necessità ci porta sovente a cambiare idea.

Le tolleranze di questo tipo di vite possono causare delle resistenze più gravi in natura

Il tollerante ha una risposta al patogeno, piccolo o grande che sia, quando quel patogeno non fa nulla è la pianta ad essere resistente. Non dovrebbe succedere ma non abbiamo certezze a riguardo, siamo davanti a una natura in continuo mutamento e non codificata. Le situazioni non permangono.

Cambiamento climatico come rispondere…

Innanzitutto sarebbe bello poter avere a che fare con una diversificazione territoriale, altimetrica ed espositiva, purtroppo nella maggior parte delle aziende non è così. Lavorare con la chioma, certo ma ci sono altre considerazioni da fare: bisognerebbe recuperare tutti quei genotipi di vitigni che sono stati scartati in precedenza perché avevano meno prestanza dal punto di vista polifenolico e zuccherino, per esempio, e strutturarsi in vigna con la variabilità. E così che la genetica si adatta al cambiamento climatico e si ritorna ad essere resilienti rispetto alla natura mediante la scelta dei cloni e quindi prestazionali in vigna. Occorrerebbe una inversione di tendenza rispetto alle scelte del passato, tutte rivolte ad ottenere dei vini strutturati, e prendere in considerazione genotipi di viti più prestazionali rispetto all’odierna situazione.

L’Agricoltura di precisione nel Vigneto. Fattori umani e fattori tecnologici…

Se torniamo ad oltre 30 anni fa la viticultura si rifaceva all’uomo presente nel territorio e nel vigneto, ponendo estrema attenzione alle esigenze della pianta, avendo la capacità di mettere insieme le problematiche di ogni singola pianta, interpretarle e risolverle, attuando tutta una serie di accorgimento che andassero a mitigare le situazioni negative, con interventi estremamente puntuali: questo è proprio ciò che si intende riprodurre nella viticultura di precisione, evincendo le peculiarità di una data zolla di terreno e di gruppi di piante. Per avere il quadro scientificamente probante della situazione oggi abbiamo a disposizione sistemi di lettura quali assistenza alla guida dei trattori, criteri di georeferenziazione, sonde di lettura della vegetazione capaci di interpretarne le esigenze, raccolta dei dati per ottenere i risultati programmati a monte, incluse le fotocamere ad infrarossi, di valutazione del colore e dello spessore. Ciò che conta è la capacità di applicare gli strumenti alle varie situazioni, saper discriminare le diverse fonti da cui pervengono le informazioni di vario tipo e modularle con coscienza e raziocinio.

L’identikit del futuro viticultore, umanità e scienza assieme possono coesistere?

L’agricoltura di precisione ha lo scopo di valorizzare la conoscenza e la praticità delle nuove generazioni in quanto all’uso delle risorse tecnologiche, che certo concede ai giovani un grosso vantaggio rispetto alle generazioni del passato. L’umanità del futuro viticoltore sta nel concepire che chi lo ha preceduto ha trovato risposte efficaci senza il supporto di studi ed attrezzature, affidandosi ad una pratica consolidata per millenni. Questa figura deve poter riunire in sé la sensibilità che un tempo si aveva nel captare la necessità della singola pianta con la perizia nel saper impiegare ed interrogare le più moderne tecnologie.

Incendi di chi è la colpa…

I boschi sono un monumento dell’umanità e causare incendi è come sfregiare un’opera d’arte e ferire un vivente. È un crimine sotto ogni punto di vista, una vera pugnalata.

Penso non si faccia abbastanza per la prevenzione e neanche per essere tempestivi, si fa anche meno per creare una formazione ed una cultura di base tra la popolazione, poiché bisogna considerare che il cittadino dovrebbe essere il primo custode e difensore del suo territorio. È troppo facile, per quanto legittimo, puntare il dito contro i politici, ma cosa facciamo noi come persone? È il territorio ad alimentare anzitutto la prima forma di turismo nella bellezza del suo paesaggio, della biodiversità e di tutto quel che contiene, quindi è come lo trattiamo che determina la reputazione di un luogo, di una regione o di un intero Paese. Ecco perché tutto il territorio va difeso, ma bisogna farlo per davvero ed in maniera proattiva.

Cosa deve attendersi uno studente al suo corso e cosa si attende lei da un nuovo studente?

Penso che i giovani siano molto meglio di come li si descriva e bisogna dare intanto lor fiducia. Gli studenti sono una vera potenzialità e vorrei che loro vivessero sempre il corso come qualcosa di effettivamente dedicato a loro e che si emozionino interagendo con la viticultura. Credo che ci voglia sempre una grande disponibilità verso di loro per risvegliarne la maturità e la capacità di emozionarsi suscitando in loro attenzione costante. Deve aspettarsi di capire quale sarà potenzialmente il suo ruolo e comprendere quali sono le effettive necessità da cogliere per diventare un buon tecnico e per essere sinceramente di aiuto in questo comparto molto complesso. Io mi attendo che si interessi alla materia e non la prenda come una delle infinite materie obbligatorie da superare per conseguire un risultato necessario, pertanto io mi aspetto che lo studente sia innamorato e si avveda durante il corso che è felice di aver scelto proprio la strada giusta che fa per lui.

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