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Secondo Bauman1, la seconda modernità sarebbe caratterizzata da una incertezza profonda, che il teorico della modernità liquida rappresenta attraverso la metafora delle sedie musicali: come quel gioco, cioè, dove al termine della musica i partecipanti devono affrettarsi ad occupare ognuno una sedia rimasta. Peccato, però, che una mano invisibile sottragga, ogni volta che la musica parte, una delle sedie, e che quindi mano a mano che il gioco va avanti i giocatori saranno eliminati dalla progressiva mancanza di sedie. La crudeltà insita in questo gioco, il cui vincitore sarà quello che riesce ad occupare più velocemente le sedie rimaste, sta nel fatto che sembri cozzare con un’altra delle caratteristiche della seconda modernità, quella secondo cui ad un aumentare della complessità della vita sociale corrisponde un esponenziale aumento delle possibilità di scelta, come se nella nostra vita non dovessimo fare altro che scegliere e mettere in pratica: uno stile di vita, un lavoro, un certo livello di consumo, un partner, più partners (se non insieme, almeno del corso della vita), una famiglia, più famiglie, affiliazioni, amicizie, lavori, sogni. Ma questa sovrabbondanza di scelte si sovrappone, in qualche modo, alla dura legge delle possibilità che sembrano essere lì, apparentemente disponibili, ma spesso accaparrate da altri. Come, allora, prendere queste scelte? E quali i meccanismi della classe media in questi processi? E in particolare, come si sceglie un percorso professionale quando si è giovani e si ha ‘tutta la vita davanti’? La sociologia ha negli anni elaborato degli strumenti ormai divenuti classici per esaminare questi percorsi di scelta, che tipicamente vengono interpretati come vincolati a situazioni sociali di appartenenza, a svariate condizioni di radicamento legate al capitale sociale, culturale ed economico.

Ma veniamo a nuovi spunti sul ruolo che il ceto medio, accusato di essere in via di scomparsa, sembra avere in ricerche in corso. In un progetto di ricerca condotto all’Università di Cagliari2, è stato chiesto ad un campione di 341 studenti del penultimo anno di diversi istituti superiori di Cagliari e Nuoro di raccontare, in forma scritta, il loro futuro. Nello specifico, per dare una forma più concreta possibile ad una attività di immaginazione, di per sé non necessariamente predittiva, è stato chiesto agli studenti di immaginare di avere 90 anni e di ripercorrere attraverso la forma scritta la propria vita dal momento dell’esame di Maturità. Il futuro è qui concettualizzato all’interno di un’’etica della possibilità’3: gli studenti vengono interpellati su cosa sembri loro possibile, o forse giusto e adeguato riuscire ad ottenere. La scelta di interpellare studenti 18enni, che si approcciano alla fase di completamento degli studi ma sono ancora ‘liberi’ di decidere se fare l’università o cercare un’occupazione, e in quale direzione immettersi, è ovviamente deliberata. Due sono gli aspetti che mi interessa sottolineare dal ricchissimo materiale raccolto, e che possono fornire degli spunti in relazione alla questione della presupposta scomparsa della classe media.

In primo luogo, l’assoluta vaghezza che circonda tutto ciò che riguardi la sfera lavorativa e il ruolo che si immagina di assumere in questo ambito. Sembra che gli studenti 18enni abbiano grosse difficoltà ad immaginare il loro futuro lavorativo. Vediamo alcuni esempi tratti dai saggi:

Non fu per niente facile trovare un posto, perché in quegli anni c’era una forte crisi in Italia ed era molto diffusa la disoccupazione. Nonostante tutto, dopo un po’ di tempo, ho finalmente trovato un impiego adatto a me’ (studentessa)

O ancora:

‘….cercai lavoro inizialmente nella mia città “cagliari” ma a causa delle poche opportunità di lavoro cercai anche nelle altre città italiane trovando uno studio a Roma che accettò la mia proposta di lavoro.

Mi sono trasferito lì, lasciando la mia famiglia e i miei amici e inziato una nuova vita e carriera’. (Studente)

A questa vaghezza fa da contrasto un’enfasi forse esagerata sulla professione medica come possibile e desiderabile sbocco lavorativo. E veniamo qui al secondo aspetto da sottolineare. La via della medicina catalizza fortemente l’interesse e lo sforzo immaginativo degli studenti di classe media4, e in condizioni di generale incertezza, diventa uno strumento narrativo che rende possibile immaginarsi nel futuro. Tuttavia, dal modo in cui questo mestiere viene raccontato, è lecito pensare che diversi di questi studenti immaginino che diventeranno medici non tanto perché interessi loro fare i medici ma perché immaginarsi medici permette loro di immaginare uno status da classe media, che sembra, in ultimo, la loro vera aspirazione:

Circa ottant’anni fa, non avevo la minima idea di cosa avrei fatto e cosa avrei voluto fare nella mia vita. Un po’ per influenza dei miei genitori, un po’ per mia volontà, ho scelto di fare l’Università e nello specifico ho voluto intraprendere la facoltà di Medicina’. (Studentessa)

La ‘scelta’ di un percorso in medicina, apparentemente argomentata attraverso i classici ‘buoni motivi’ – perchè tiene al sicuro dalle oscillazioni del mercato (dei medici c’è sempre bisogno!), perchè rimanda ai buoni valori e alla cura del prossimo- ma anche perché molto vista in tv e quindi più facile da immaginare, diventa però un pretesto per una enunciazione di sé: potrebbe infatti voler significare semplicemente voler raggiungere un certo status. La classe media, verificata questa ipotesi, non sarebbe in queste immaginazioni del futuro che una protezione sociale, un guscio che mette al riparo dai rischi, un meccanismo di continuazione all’interno di un tracciato già visto, un’assicurazione di continuazione di chiusura sociale, per dirla con Weber. Ancora, un adeguamento a dei clichè che hanno sostituito i contenuti di professionalità e servizio che l’hanno contraddistinta in passato con uno stile di vita, o per meglio dire, con un livello di consumo (almeno medio), che sembra più importante di orientamenti contenutistici sul proprio lavoro futuro. In questo senso, orientarsi verso una professione tipica di classe media non significa necessariamente voler fare quel lavoro, svolgere quella missione, ma piuttosto assicurarsi di poter essere incasellati in un certo strato sociale agli occhi della società, e quindi di guadagnarsi una certa rispettabilità sociale. In questo elaborato, la studentessa sembra animata da una vivace voglia di vivere e scoprire, che però si arresta nel momento in cui le scelte non possono più essere rimandate, e si attesta su toni sempre entusiastici, ma molto più convenzionali e convergenti con quelli della classe media:

Ho sempre sognato di cantare per tutta la vita e di recitare: la musica è la forma di comunicazione più bella che esista, altro che telefoni cellulari. Interpretare la parte di uno psicotico, di un malato terminale, di una vittima, di un carnefice, di un essere soprannaturale è davvero emozionante, ti fa viaggiare entro un’altra dimensione, alla quale non appartieni; osservare e sentire e provare dal punto di vista di un personaggio la cui personalità non si identifica per niente con la tua è un’esperienza unica, ti aiuta a vedere con occhi diversi il mondo e le persone che lo popolano e annulla ogni pregiudizio. Ho sempre desiderato fare l’avvocato per difendere i deboli e i poveri onesti che subiscono i soprusi da chi è convinto di poter approfittare di loro. La domanda “Allora che cosa hai deciso che farai?” mi terrorizzava perché avevo così tanti sogni e speranze che non sapevo scegliere. Non riuscivo mai a dare una risposta ben delineata e decisa ma la ornavo sempre di “forse”, “ma”, “non lo so”, “magari”… Sì, ero anche la persona più indecisa del mondo. Il mio maestro di canto desiderava tanto che andassi al conservatorio e imparassi a suonare il pianoforte e a cantare, come professione. Sebbene mi attizzasse tanto l’idea, non ne ero convinta, volevo una formazione personale più completa e soddisfacente. Così ho dovuto scartare delle idee per cedere lo spazio alla realizzazione di altre.

Avvocato penale? No. Avvocato divorzista? No. Giornalista? No. Notaio? O santo cielo, no. Dentista? Mm forse. Ho iniziato il dictatum discere nell’estate 2013 e non ho passato il test di Medicina al primo colpo. Maledizione, dopo tanta fatica. Ma non mi sono data per vinta, nel frattempo ho fatto qualche provino per recitazione e canto nella mia città e in altre regioni italiane. Un mese sono persino partita da mio cugino a Londra e ho tentato pure lì ottenendo buoni risultati e piccole soddisfazioni. Mi piaceva l’avventura, l’insuccesso alimentava la mia ambizione e mi spingeva a puntare sempre più in alto.

Tornata nella mia città, sono riuscita a entrare in Medicina e insieme a me la mia compagna d’avventure.

[…] Con lui ero fidanzata sì ma uno spirito libero: avevo il mio spazio e lui il suo e non intendo dire che la nostra era una relazione aperta!! Non era un rapporto vincolante, insomma, semplicemente questo. Lui si era appena laureato in giurisprudenza. NOTAIO! Il padre era un notaio conosciutissimo e molto competente. La sua famiglia era accogliente e molto calorosa nei miei confronti. I pranzi e le cene con loro sono memorabili!

Io nel frattempo proseguivo con il mio cursus vitae e nel gennaio 2020 mi sono laureata; continuavo anche a inseguire i miei sogni e come hobby facevo qualche recita non rilevante e cantavo per i locali.

Nel 2025 mi sono trasferita con il mio fidanzato a Firenze e lì ho trovato lavoro come dentista’. (studentessa)

Se tra le tante passioni a prevalere è la tensione verso una collocazione di classe media, a colpire sarebbe soprattutto il fatto che da dei 18enni ci immagineremmo forse un afflato più entusiastico e più positivo rispetto alla possibilità di cambiare in meglio la società, anziché uno sforzo ad assicurarsi un posticino tranquillo all’interno di un cantuccio protetto. Inoltre, se la classe media è di fatto scomparsa, non sembrerebbe esserlo nell’immaginazione di questi giovani, e nel loro modo di guardarsi nel futuro. O forse le aspirazioni sul futuro sono più radicate nel passato di quanto immaginiamo.

1 Bauman, Z., Liquid Modernity, 2000, Cambridge, Polity Press.

2 Dipartimento di Scienze Sociali e delle Istituzioni. Il progetto si chiama ‘Giovani, Cittadinanza, Capacità di Aspirare’, è coordinato da G. Mandich e finanziato dalla Regione Autonoma della Sardegna attraverso L.7/2007.

3 Appadurai, A. The Future As Cultural Fact: Essays on the Global Condition, 2013, London, Verso.

4 Si tratta di una approssimazione che possiamo fare poiché le scuole a cui appartengono questi studenti sono frequentate tipicamente da studenti di classe media, inoltre spesso questi studenti menzionano il lavoro dei genitori nella narrazione.

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