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La pandemia si accanisce sugli anziani. Se i dati dell’Iss parlavano di 9/10mila morti nella prima ondata, nonostante il sistema sanitario abbia imparato a reggere meglio l’urto e il fattore numerico dei decessi sia in calo, nella seconda fase l’età media dei pazienti deceduti e positivi a SARS-CoV-2 è di circa 80 anni. Più alta di 30 anni rispetto a quella dei pazienti che hanno contratto l’infezione. Oltre ad essere i principali bersagli del virus, gli anziani ne subiscono le conseguenze peggiori in termini di disuguaglianza sociale e peggioramento della qualità complessiva della vita. La solitudine è per gli anziani uno tra i più gravi effetti collaterali della pandemia.

“La diffusione del virus SARS-CoV-2 ci ha posti innanzi il dilemma morale tra tutela e isolamento – precisa Sara Palermo, ricercatrice in neuroscienze sperimentali, esperta di neuropsicologia, psicologia biologica e psicofisiologia dell’Università degli Studi di Torino e vicedirettrice della rivista scientifica internazionale “Frontiers in Psychology-Neuropsychology – con l’interruzione pressoché totale delle relazioni familiari e amicali. Da marzo si discute il tema della dolorosa e spesso inevitabile decisione di interrompere i cosiddetti “contatti con l’esterno” e si pone alla ribalta la necessità di quarantene selettive per fasce di età come estremo provvedimento per scongiurare la diffusione del virus fra gli anziani. C’è la necessità – continua la neuroscienziata – di controbilanciare l’isolamento imposto dal Covid-19 con misure che favoriscano l’interazione con familiari e amici. Ciò è particolarmente urgente per gli anziani che vivono da soli, per quelli che vivono in case di riposo e per gli anziani affetti da declino cognitivo che più degli altri sono soggetti a stati di ansia, stress e agitazione durante questo periodo di quarantena”.

Sara Palermo

Qual è la condizione che rende gli anziani più vulnerabili?

E’ la fragilità, intesa come sindrome geriatrica che consiste in uno stato di maggiore vulnerabilità ai fattori di stress attribuito a una minore riserva omeostatica dovuta a un mutamento fisiologico multisistemico legato all’età. Ciò ha importanti conseguenze per la salute pubblica e la pratica clinica. Persone con più di 60 anni, e soprattutto con più di 80, sono particolarmente vulnerabili a infezioni gravi o fatali. La questione è di fondamentale importanza. Fragilità e solitudine costituiscono un binomio significativo, specialmente se considerate nella prospettiva della terza età. La solitudine rende vulnerabili. È dovere di una società civile comprendere dove si situa il confine tra una vulnerabilità che caratterizza l’essere umano e quella che può travolgerlo, per poi intervenire di conseguenza.

Di solitudine si può morire?

La solitudine, se non è una scelta, può divenire mortale. Dati sociologici, psicologici e clinici confermano senza incertezze questa realtà. Dopo i 75 anni quattro persone su dieci non hanno accanto né parenti né amici. Il mondo affettivo-relazionale risiede in alcune delle parti più antiche e profonde del cervello, sede dell’elaborazione delle emozioni e delle loro memorie. Le esperienze relazionali strutturano e modificano costantemente l’assetto morfologico e funzionale cerebrale. L’azione della solitudine si sviluppa sul confine delicato tra la percezione corporea dell’essere soli e gli effetti che questa percezione ha sul cervello e che a loro volta comportano reazioni neurotrasmettitoriali che si riflettono a livello somatico. La solitudine può avere un effetto molto simile a quello dello stress cronico, può compromettere l’apparato endocrino e il sistema immunitario. Il processo si accompagna nel tempo a una riduzione della qualità della vita e dell’autonomia personale, fino alla comparsa di depressione e gravi malattie che possono condurre alla morte.

Il Covid ha solo accelerato questo rischio…

Esatto. Un anziano su 5 in Italia viveva già prima dell’arrivo del Covid-19 in una condizione di isolamento sociale. Si stima che il 10% degli anziani soffra di una solitudine che potremmo definire “maligna”, in quanto compromette la salute fisica e psicologica. Un 70% di questi anziani svilupperebbe gravi patologie. La solitudine sembrerebbe associata a un aumento del 29% e del 32% del rischio di sviluppare una malattia coronarica o un ictus. E’ inoltre associata ai meccanismi fisiopatologici del disturbo neurocognitivo maggiore. La malattia di Alzheimer, per intenderci. I ricercatori hanno da tempo scoperto un legame tra depressione maggiore e un elevato carico di beta-amiloide nel cervello: il marker più noto di questa malattia.

Una delle preoccupazioni maggiori in questa fase pandemica?

L’aumento dell’incidenza della depressione nella popolazione anziana. Solitudine e deflessione del tono dell’umore (la depressione appunto) sono intimamente associate. Solitudine che può essere reale (anziani che vivono da soli) oppure percepita (legata alla mancanza di relazioni significative). Ma non solo. La situazione è aggravata dal senso di disvalore che costantemente proviene dalla società e che incrina il senso di sé. Da qui anedonia, avolizione, apatia, perdita di speranza, il lasciarsi andare.

Dunque esiste un’evidenza scientifica che la solitudine possa condurre alla morte?

La solitudine è associata nella popolazione generale ad una riduzione della durata della vita simile a quella provocata dal fumare 15 sigarette al giorno e superiore a quella associata all’obesità. Tornando alla terza età, gli anziani che sperimentano maggiore solitudine sono quasi due volte più esposti alla possibilità di morire prematuramente rispetto a quelli che non si percepiscono soli. Solitudine, isolamento sociale e il vivere da soli inducono un aumento della mortalità anche del 29%, 26% e 32% tra gli anziani. La solitudine aumenta inoltre drasticamente il rischio di ideazioni di suicidio-morte.

Come possiamo aiutare gli anziani a vivere più felici?

Spesso gli anziani non sono stati risparmiati dalla vita, molti di loro sono segnati dal rifiuto e dalla paura, ma – come ha sottolineato splendidamente Danielle Quinodoz – “per loro invecchiare è come continuare la loro avventura. Sembrano conservare sotto forma di ricchezze interiori quelle esteriori che hanno perso, e anche scoprire nuove libertà”. È nostro dovere investire su queste ricchezze per promuovere un invecchiamento sano e attivo, una vita piena e appagante non solo dal punto di vista funzionale, ma anche relazionale e sociale. La salute non è assenza di malattia, è tensione verso la felicità completa.

La solitudine, in epoca social, non sembra risparmiare nessuno, neanche i giovani, è così?

E’ evidente che la mancanza di risorse personali, relazionali e sociali quali la solidarietà fra generazioni, la fiducia, la vita di comunità ed una cultura della speranza, hanno portato la solitudine a rappresentare un fattore di rischio per il benessere, la salute e la sopravvivenza di milioni di persone, non solo degli anziani. Pensiamo spesso alla solitudine degli anziani soli, abbandonati, chiusi nelle RSA, ma non dobbiamo dimenticare tutte quelle persone che, pur vivendo tra la gente, pur con centinaia di “amici” di Facebook, followers e like, soffrono di solitudine.

Nel concreto, come si può mettere in atto un mutuo soccorso intergenerazionale contro la solitudine?

Dobbiamo investire in generosità e supporto sociale. Quest’ultimo deve essere oggettivo e soggettivo. Il supporto sociale oggettivo riguarda l’aiuto concreto che viene elargito a chi è in difficoltà (assistenza domiciliare, aiuti economici, informazioni utili alla risoluzione di problemi, reti di prossimità, gruppi di sostegno, centri diurni, servizi di accompagnamento, infrastrutture digitali e telefoniche di monitoraggio e supporto). Quello soggettivo riguarda lo sviluppo di un approccio empatico alle persone, il senso di vicinanza psicologica vissuta e percepita da chi riceve il nostro aiuto. È lo stupore di fronte alla presenza dell’altro, la riscoperta di avere valore come individuo, il senso di appartenenza ad una comunità. Non dimentichiamo poi l’intervento più semplice di tutti: un sorriso, uno scambio di parole, una piccola gentilezza durante la giornata aiutano a superare il senso la solitudine e a migliorare la propria qualità di vita.

Intravvede qualche passo istituzionale in questa direzione?

In Italia iniziano a muovere i primi passi in tal senso gli enti e le amministrazioni più sensibili e attenti. Il presidente Mattarella nel discorso della fine dell’anno 2018 ha ricordato la solitudine di un’anziana portata ad esempio di una condizione pervasiva che deve richiamare l’attenzione di tutti. A febbraio di quest’anno, per iniziativa della sindaca e di una ex assessora alle Politiche Sociali di Villa del Conte (Padova), è stata prevista l’istituzione di un “assessore alla solitudine” con il compito di prendersi cura in particolare dei bisogni delle persone sole. E ancora, ad oggi si contano in tutta Italia più di 40 assessori con delega alla gentilezza. Il caso zero è stato il Piemonte che, con quattro comuni che hanno istituito la “delega alla gentilezza”, si è proposto come capofila di un progetto che vuole diventare virale in tutta Italia. I tempi sono maturi per un assessorato con delega alla salute e felicità.

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