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Dopo 40 anni dal ritrovamento casuale dei Giganti di pietra a Mont’e Prama, la passione per l’archeologia del geofisico Gaetano Ranieri porta alla riapertura del cantiere archeologico del Sinis nel tentativo di ricostrure la memoria dimenticata che è alla base degli enigmi della civiltà nuragica e delle sue genti.

La storia della Sardegna antica, le tradizioni, i riti e le usanze dei popoli nuragici sono misteri di una memoria perduta nei millenni che ci separano dai nostri antenati.

Esiste una memoria da ricostruire, una memoria comune che ci porta a sentirci inconsciamente sardi, una memoria che potrebbe rivelare al mondo la grandezza di un popolo millenario, un popolo al centro del Mediterraneo crocevia di antiche culture. Le 38 statue, fra arcieri, guerrieri e pugilatori in mostra fra il Museo Archeologico di Cagliari e quello di Cabras raccontano una storia solo ipotizzata, è la storia dei guerrieri nuragici, delle tombe degli eroi, ma anche di città megalitiche in un immenso territorio ancora tutto da esplorare.

Mont’e Prama, il sito archeologico reso famoso dal ritrovamento dei Giganti, torna agli onori della cronaca nel suo quarantesimo anniversario. Nuove scoperte, fatte con le più moderne tecnologie in ambito geofisico, ipotizzano la presenza di un grande santuario o addirittura una metropoli.

Fotografie aeree e indagini del sottosuolo con metodi non invasivi sono alla base della ricerca condotta da Gaetano Ranieri Docente di Geofisica applicata all’Università di Cagliari con la passione per la storia dell’uomo, delle civiltà, delle nostre radici. La sua passione lo porta a scoperte sorprendenti grazie alla sapiente applicazione dei metodi geofisici all’archeologia. I metodi di ricerca vanno dalle indagini di tipo gravimetrico, cioè della variazione della forza di gravità a seconda di cosa c’è nel sottosuolo, alle onde elettromagnetiche riflesse da certe rocce, alla riflessione delle onde sismiche prodotte da scoppi artificiali.

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Gaetano Ranieri alla conferenza Vedere nel sottosuolo

Fra le sue tante scoperte in giro per il mondo una in particolare gli è rimasta nel cuore. E’ l’anfiteatro romano di Volubilis in Marocco. Ricorda ancora con emozione la telefonata dal Ministero degli esteri. Era dicembre 2002 quando gli venne annunciato che avrebbe rappresentato l’Italia dinnanzi al re del Marocco. In quell’occasione ebbe modo di visitare l’antica città romana e rimanere molto stupito dal fatto che non ci fosse l’anfiteatro. Pensò che da qualche parte doveva pur esserci quella costruzione, quell’emblema di romana memoria. Ottenute le fotografie aeree della zona ideò un particolare filtro da applicarvi sopra e al suo occhio critico da scienziato non poteva passare inosservato un anello di pietre, pietre nel sottosuolo che si dimostrarono poi essere le antiche vestigia di quell’anfiteatro dato fino ad allora per inesistente.

In seguito a questo eccezionale ritrovamento ripercorrere la strada della scoperta del 1974 a Mont’e Prama, con i metodi geofisici, è il sogno che Ranieri persegue insieme all’amico di sempre, l’archeologo dell’Università di Sassari Professor Raimondo Zucca. Scoprire altri tesori dell’archeologia nuragica in questo sito potrebbe portare a nuove e inaspettate interpretazioni della storia della Sardegna antica.

Usando gli stessi filtri utilizzati per Volubilis sulle foto dei terreni di Mont’e Prama antecendenti i ritrovamenti degli anni ‘70, Ranieri e il suo team individua una struttura che ha tutta l’aria di essere un fiume e vari elementi che per la loro regolarità fanno pensare a qualcosa di creato dalla mano dell’uomo, 100 ettari da analizzare, da interpretare.

La conferma arriva dal georadar. Si tratta di una strumentazione che utilizza un metodo non invasivo per lo studio del sottosuolo. Impulsi elettromagnetici ripetuti con continuità sono emessi da un’antenna sulla superficie da indagare. Gli impulsi si propagano in profondità. Quando incontrano superfici che separano mezzi aventi caratteristiche fisiche diverse, dette anomalie, vengono in parte riflessi e captati da un’antenna ricevente. La strumentazione viene fatta muovere progressivamente lungo un tracciato e attraverso l’interpretazione dei dati forniti dall’antenna ricevente si ottiene una rappresentazione bidimensionale del sottosuolo. Il georadar ha la possibilità di stabilire la profondità delle anomalie con estrema precisione. Se poi il dispositivo utilizzato è un georadar a 16 canali è come avere 16 occhi che contemporaneamente guardano nel sottosuolo per fornire una rappresentazione pseudo 3D. L’Università di Cagliari dispone della sofisticata attrezzatura con la quale Ranieri e il suo team inseguono quello che non è più un sogno.

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Il georadar mosso in maniera progressiva

Sono oltre 56 mila le anomalie rilevate dal georadar, alcune di dimensioni importanti. Inizia una nuova campagna di scavi e, come predetto dal georadar, sono due betili a comparire per primi. Il betile è una grande pietra cilindrica che veniva infissa nel terreno come dimora di un dio o addirittura rappresentava il dio stesso. I reperti, seppur sfregiati dai solchi degli aratri, fanno pensare all’importanza che ebbero quei luoghi. Chi erano gli dei adorati a Mont’e prama? Fonti greche e romane narrano dei Tespiadi, eroi discendenti di Eracle, che conquistarono la Sardegna.

Raimondo Zucca ipotizza un santuario di enormi dimensioni edificato per onorare la memoria degli antichi eroi e dei costruttori dei Giganti e dei nuraghi.

Il terreno continua a regalare reperti ormai quotidianamente e tra nuovi frammenti di giganti, di modelli di nuraghi, cocci di vasellame con simboli regali, si fanno strada diverse ipotesi. Mont’e prama era forse una grande piazza col pavimento in arenaria nella quale si svolgevano giochi sportivi in onore dei defunti e degli eroi? Era un’immensa metropoli messa a ferro e fuoco da incursioni cartaginesi?

I Giganti, con la loro imponenza evocano la potenza di un popolo guerriero, ma anche di abili costruttori. I modelli dei nuraghi ritrovati mostrano delle costruzioni con torri altissime. Sono i nuraghi che noi non abbiamo mai visto, sono le architetture megalitiche il cui aspetto originario è stato perso nell’oblio dei millenni che scorrono. Ranieri, con l’entusiasmo di un moderno Indiana Jones, azzarda ipotesi suggestive. I Giganti rappresentavano i guardiani delle antiche città oppure i custodi delle città ancora da costruire. I modelli assumono allora il ruolo di progetti nella costruzione delle famose torri. E dei nuraghi vediamo oggi solo le basi di quelle che furono torri altissime erette verso il cielo. Se così fosse i Giganti potrebbero essere addirittura sculture antecedenti alla costruzione dei nuraghi.

uno dei modelli di nuraghe ritrovati
uno dei modelli di nuraghe ritrovati

Una cosa è certa: siamo di fronte a una scoperta di proporzioni enormi che potrebbe ricostruire la memoria dimenticata della nostre origini. L’archeologo della Soprintendenza per i beni culturali Alessandro Usai e il direttore del Dipartimento di Ingegneria Civile Ambientale e Architettura dell’Università di Cagliari Antonello Sanna, durante la recente conferenza Vedere nel sottosuolo: viaggio nei tesori nascosti di Mont’e Prama, parlano di un evento unico capace di coinvolgere molti campi del sapere. E’ un nuovo stimolo non solo per l’Archeologia e la geofisica che trovano i loro punti di incontro, ma anche per analisi genetiche sugli scheletri trovati nella zona. Insomma scienze storiche, umane e fisiche si uniscono in maniera transdisciplinare completandosi l’una nell’altra. Mont’e Prama è l’occasione per un’alleanza tra la cultura tecnico/scientifica e umanistica.

Mont’e Prama è anche un lavoro largamente condiviso, dallo scavo al rilievo, dalla geofisica, alla documentazione fotografica, dal lavaggio dei reperti alla siglatura, dall’archeologia del paesaggio alla creazione delle immagini digitali in 3D. E sono tanti gli attori coinvolti nella ricostruzione di una memoria che diventa di tutti, dai due atenei sardi alla Soprintendenza, dalla scuola di specializzazione in Beni Archeologici, dal CRS4 alla Casa Circondariale di Massama.

La cultura nuragica ha prodotto exploit architettonici di livello impensabile nello stesso bacino mediterraneo che ha visto come opere d’ingegno le piramidi egizie. Interpretare il mistero di Mont’e Prama vuol dire anche riscoprire il ruolo centrale svolto da un popolo troppo spesso considerato barbaro e arcaico. Mont’e Prama e i suoi Giganti rappresentano il punto di partenza per costruire un sapere comune, una memoria da condividere non solo tra le discipline più diverse, ma anche fra le culture mondiali. Risvegliare i Giganti, ancora sotto terra, dal sonno millenario vuol dire riportare alla luce non solo dei reperti archeologici, ma riscoprire qualcosa che ci appartiene, che ci è sempre appartenuto, ma del quale avevamo perso memoria.

Fonti: ANSA, La Nuova Sardegna, L’Unione Sarda, TG3

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