Chiesa di San Sebastiano, Isili
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Quand’ero bambino si raccontava …

A Isili, un piccolo paese del Sud Sardegna, con poco più di 2500 abitanti, vi è un isolotto circondato dal lago artificiale San Sebastiano, su cui si erge una chiesa campestre dedicata al santo. Fatti misteriosi si celano intorno alle sue origini, di cui si attesta l’esistenza dalla fine del XVI sec.

Sorge naturale chiedersi come mai fu costruita laggiù. “Dovete sapere…”, racconta Sandro Ghiani, ex responsabile dei Servizi culturali della biblioteca del paese,” che, in realtà, l’idea originaria era di erigere il luogo di culto sul promontorio a fianco all’isolotto – oggi è attraversato da una galleria ferroviaria -, giacché in cima a quel costone di roccia bianca vi è un altipiano di calcare con una bellissima vista, quasi, si diceva, un altare naturale. Ma, quando iniziarono i lavori, cui partecipò un buon numero di isilesi, accadde qualcosa di straordinario: le opere realizzate il giorno prima, la mattina seguente non c’erano più. Non c’erano più le fondamenta, e non il primo muro completato con tanta fatica. Che cosa è successo? Si chiedevano gli operai, guardandosi intorno, finché uno di loro non si affacciò sulla vallata sottostante, e scoprì che le opere erano lì, sopra il promontorio che si ergeva al centro della valle. Sbigottiti, ricominciarono da capo i lavori, ma sempre con lo stesso risultato: le opere realizzate “viaggiavano” dall’altipiano al promontorio. Ci riprovarono per ben tre volte, fedeli all’idea iniziale, finché non si arresero, e, interpretando i fatti come la volontà del santo, decisero di costruire la chiesa sul promontorio di roccia calcarea che molti secoli dopo sarebbe diventata un’isola, e di dedicarla a lui, San Sebastiano, nonostante fosse molto più faticoso e rocambolesco il trasporto dei materiali. Questa storia appartiene alla cultura orale, alla memoria degli isilesi, che la custodiscono e ne riconoscono il valore identitario.

Quando la volta di una grotta cede, disseminando frammenti di rocce e sassi dappertutto, è possibile che qualcuno, scampato al pericolo di esserne travolto, abbia visto e sentito qualcosa d’insolito, abbia vissuto un’esperienza di cui ancora oggi se ne parla…Ecco dunque un’altra storia.

” Quand’ero bambino, babbo mi raccontava, che un tempo, qui in paese vi era una grotta (non si sa con certezza quale sia, se quella nei pressi della colonia penale, chiamata sa gruta de Is Malis, la grotta dei Mali, o quella sprofondata vicino alla chiesa di San Sebastiano) dove…”.

La caverna, che era molto profonda, era diventata il covo di una banda di malviventi. Vi si rifugiavano con i loro bottini. Tutto andò liscio, si racconta, fino a quando non rubarono un gregge di pecore, che un allevatore aveva donato ai beni della chiesa di San Sebastiano, impadronendosi dunque di un bene sacro. Soltanto uno di loro, per rispetto verso il luogo di culto, si dissociò dall’impresa. Compiuto dunque il reato, si nascosero, come erano soliti fare, negli antri della caverna insieme al gregge, ed essendo ormai sera, decisero di fare un banchetto con la nuova refurtiva. Durante i preparativi, però, sentirono una voce: “Ma lassaus andai? Tradotto significa lasciamo andare”, stupefatti, perlustrarono la caverna, ma non c’era nessuno, decisero quindi di non dare alcun peso a quella voce di cui fra l’altro non capivano il senso, né l’origine, “Che cosa dovevano lasciare andare?” e seguitarono a darsi da fare per la cena. La voce però continuava a ripetere: “Ma lassasus andai?”, stanchi di sentire quella frase, s’innervosirono, e uno di loro rispose: “Ma podeis lassai andai totus is dimònius de s’inferru” tradotta “Potete anche lasciare andare tutti i diavoli dell’inferno!”, dopo queste parole la volta crollò, seppellendo i ladri. Si salvò soltanto l’uomo della banda che non aveva partecipato al furto, perché aveva riconosciuto il valore sacro di quel bene. Fu proprio lui a raccontare l’accaduto agli abitanti del paese. La vicenda agli occhi della gente assunse quindi la forma e il senso del miracolo-sciagura, giacché l’origine della richiesta non poteva che essere di natura soprannaturale.

Il 2021 se n’è appena andato, chissà come si era soliti festeggiare l’ultimo dell’anno in questo borgo. Stupisce sapere, che fino agli anni Sessanta, per salutare l’anno vecchio, si usava ancora chiedere Su Maideu: gruppi di bambini bussavano ai portoni delle abitazioni, ripetendo questa formula:” At nau mama(ha detto mamma) se mi fa Su Maideu”, una parola dal significato misterioso, ma che veniva interpretata come una richiesta di piccoli doni, in genere frutta secca, dolci, mandarini, che poi i ragazzini dividevano fra di loro.
Pubblicato anche su www.horealizzatounsogno.it

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