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Io sono uno di quelli per cui molte cose della vita sono precluse, lo saranno per sempre. Non lo dico per vittimismo o perché le cose mi sono sempre girate storte e perciò mi sento uno sfigato. Solo realismo, puro e nudo. Mi sono precluse le gioie più belle, inutile farsi illusioni. Avete presente quel numero esiguo di esseri umani che nasce diverso? Eccomi. Sono uno di loro. Sono nato con deficit mentale e con problemi fisici evidenti. La mia famiglia non ha mai accettato di buon grado la cosa, mi hanno affiancato terapisti e specialisti affinché potessi avere uno straccio di vita normale, che potessi essere dentro gli standard della società. La verità è che sono ridicolo, sono la derisione e il riscatto di chi sfigato lo è davvero ma su di me può sfogare e scaricare tutta la rabbia e i rancori che cova in corpo. Per anni ho visto tutto sfuocato, nonostante fondi di bottiglia spessi come tavolacci, nonostante tutti i tentativi della medicina ho sempre avuto una vista perlomeno incerta, con un occhio che guarda a ovest e l’altro a est, almeno fino a quando non mi hanno operato con il laser e almeno questa è migliorata, ora ci vedo, mi capita di vedere i contorni netti, limpidi. Forse era meglio prima, quando tutto era indefinito. Come vedi la realtà influisce su come la pensi, su come realizzi le cose. A pensarci era meglio prima. 

Ho problemi, seri, di quelli che non si riparano, per quanto t’impegni non hai speranze. Di certo puoi migliorare molte cose, se vieni seguito e affiancato, se vieni riempito di farmaci un minimo di parvenza la conquisti, ma rischia di essere davvero una conquista terribile, perché sotto controllo trovi anche un minimo di consapevolezza. Dovrebbe essere una bella cosa, dovrebbe. In certi casi può essere terribile. Sapete quante volte in famiglia mi hanno raccontato la bellezza delle differenze? Che la diversità è un motivo di grandissima ricchezza e di estensione dei propri limiti? Sapete in quante salse me l’hanno intortata? Voi non potete immaginare in quante versioni mi hanno frantumato i neuroni con la bellezza e la diversità. Ci sono arrivato pure io, che sono così lento nell’elaborazione dei pensieri.

Quando mi accettano è per compassione, perché si sentono belle persone che fanno un’opera buona, ma credete che non lo sappia che girate le spalle me ne dicono di tutti i colori? Nella migliore delle ipotesi mi definiscono come un povero sfigato che ha avuto solo la colpa di nascere malato. Mi portano a mangiare un gelato a volte ma io sono pieno di difetti, mi riempio la faccia di cioccolato, mi sporco tutto, ciò che prefiguro come piacere immancabilmente si trasforma in un vortice di vergogna, che io mi accorgo subito e cerco di aggiustare e faccio peggio, un disastro.

Sono isterico, reagisco male. La mia fortuna è che sono un mollaccione, non ho forza fisica, altrimenti sarei rinchiuso in qualche clinica e imbambolato, sarei dedito alla violenza e alla distruzione, ma sono nato e cresciuto debole anche nei muscoli, spesso sono disarticolato.
Per me l’amore non esiste. Non so cosa sia. Non lo saprò mai. L’unica possibilità è quello platonico, sognare e immaginarmi storie impossibili e meravigliose. Non ho altro e non posso avere altro, solo frustrazione ed impotenza di un corpo difettoso e di una mente lenta, ritardata. Anni fa mia sorella mi ha trovato in lacrime e non so bene dove ho trovato il coraggio ma le ho detto che pure io volevo una donna, conoscere il sesso, che se lei aveva ragione con tutte quelle storie sulla bellezza e sulla diversità allora pure io avevo diritto a conoscere e vivere certe bellezze, che non ce la facevo più a vedere le donne per strada o dentro casa e innamorarmene al primo sguardo o scambio di parole. Come si fa a vivere senza amore? Lei ha chiamato una prostituta, pensa tu l’amore, e le ha spiegato un po’ con chi aveva a che fare. Per me era bellissima, ci penso tutte le notti prima di prendere sonno ed è il primo pensiero quando mi sveglio la mattina. Desidero una sua telefonata o un suo messaggio, che mi venga a trovare a sorpresa. Niente. Sono anni che penso a lei. Come slacciò la camicia e vidi il reggiseno fui già tutto bagnato, tanta era l’eccitazione. Lei si mise a ridere, abbottonò la camicia, mi diede un bacio sulla guancia, forse poggiò solo le labbra e se ne andò. La prestazione più veloce e semplice della sua vita.

Sono un errore. Tutte queste storie che sbagliando s’impara non venite a raccontarle a me, non ho possibilità di rimettere in sesto le cose, non ci sono le condizioni oggettive. Gli altri si riempiono tanto la bocca di tutte queste morali e se avessi solo la forza, quel minimo di capacità e di fluidità di linguaggio, li farei sentire ridicoli una volta per tutte. Non sarebbe difficile per me metterli di fronte a tutte le loro massime di sapienza assoluta, di verità colta nel profondo, queste insostenibili giustificazioni che si vendono a buon mercato e tutti ad applaudire. Non sarebbe certo difficile mettermi in tutta la mia evidenza, la questione scomoda dove la risposta è scontata ed ineludibile.
È una ricchezza la diversità? Eccomi sono diverso, il più diverso di tutti, ditemi qual è la mia ricchezza, forza, ditelo con estrema sincerità, vorreste essere diversi come me? É meravigliosa la vita? Dai forza, ditemi che per me la vita può essere bella, forza ditelo, vediamo se trovate il coraggio. Gli sbagli sono necessari? Ecco su, per favore, spiegatemi dove sta la mia necessità. Sarebbe facile per me svelare tutta la menzogna, se solo ne avessi la capacità. Non ci riesco, le parole mi si legano nella bocca e le frasi sono lente, smozzicate, incomplete.
Ma ho capito, alla fine ho capito. Sono la vostra metafora più scura. Vi sono utile in verità. Sono il vostro specchio che non sapete vedere, la proiezione di voi stessi che non sapete riconoscere. Alla fine ho capito. Vi servo.

Sono il parcheggio disabili davanti a casa, in ogni luogo di interesse pubblico, sono il privilegio che vi portate in giro. Sono il posto dedicato in prima fila sull’aereo e sui treni, sono il bagno riservato nei locali, il posto fisso garantito dentro le aziende e le amministrazioni pubbliche, sono le ferie sempre riconosciute. Sono la zavorra da cui non ci si libera, la colpa fatta carne umana, la coscienza ripulita. Sono sempre e costantemente il consumo garantito, quello che non produce ma che deve avere accesso a tutto e senza discussioni, dove nessuno si può permettere di mettere voce. Sono il furto e la perdita, la scusa buona per cui puoi solo allargare le braccia e darti da fare per tenermi in piedi. Eccomi. Io sono voi, tutti voi. Sono la vostra classe borghese cresciuta monca, nelle braccia e nel pensiero, sono la vostra incapacità di fare e realizzare, sono la vostra impotenza, sono il vostro consumo smodato e drogato, la vostra illusione. Sono il vostro prosciugare risorse e piangere che non ci sono diritti per voi, non c’è nulla, solo lacrime e disperazione, illusioni rotte e sogni rubati. Sono le vostre possibilità tradite, la vostra sconfitta quotidiana, una vita che cambia un abito al mese e non conosce soddisfazione, distaccata dalla realtà, mai consapevole, pronta al lamento e guai a dirle qualcosa, sono il privilegiato che non puoi attaccare, sono il vostro cancro, che vi sta mangiando lentamente e inesorabilmente.

Chi è nato sbagliato? Ora ho capito, sapete?
Voi siete me, ma io non sono voi.
Io sono la vita negata, voi siete la vita rifiutata.
C’è una bella differenza.

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