progetto abitare la cura
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Abbiamo intervistato Giuseppe Maria Milanese, Presidente di OSA (Operatori Sanitari Associati), medico specializzato in malattie infettive, promotore del progetto pilota “Abitare la cura” a Grassobbio, vicino Bergamo, presso il Winter Garden Hotel iniziato il 21 di marzo 2020.

Bisogna fare in fretta! Il monito che arriva da più parti: fare in fretta a distanziare le persone, a trovare le persone infette, ad iniziare la terapia intensiva. Ma bisogna pensare anche al dopo, alle esigenze primarie delle persone che non possono rientrare a casa dopo le dimissioni dall’ospedale.

Nella catena di problemi che il paese si è trovato ad affrontare, ci sono quelli relativi al percorso post-terapeutico. Si deve rispettare una ulteriore quarantena di 2 settimane dopo la terapia intensiva. Non tutti possono avere a disposizione uno spazio isolato e sicuro nel proprio domicilio, così l’idea di convertire gli hotel in luoghi di decantazione per arrivare ad una completa guarigione.

Buongiorno Dottor Milanese, la ringrazio intanto per la disponibilità. Immagino siano ore impegnative.

Diciamo che sono giorni particolari. Siamo immersi nell’emergenza nazionale e pronti a dare una mano con i nostri servizi.

Ci parli del vostro progetto “Abitare la cura”. E’ importante isolare ulteriormente i pazienti post terapia per un pericolo di ricaduta o contagio ai familiari?

Giuseppe Maria Milanese

E’ importante, come suggerito dall’organizzazione mondiale della sanità fin dal 1978, costruire progetti e percorsi extraospedalieri. L’ospedale, da solo, non ce la può fare. Senza un sistema vero di assistenza intermedia, assistenza territoriale, l’ospedale non è in grado di soddisfare tutte le richieste. L’obiettivo è quello di arrivare fino alle case delle persone, mettendo in primo piano i medici di famiglia che hanno la conoscenza esatta del territorio.

Ci può dare qualche dato sull’operazione?

Il Wintern Garden di Bergamo ha più di 50 ospiti, i pazienti che sono stati dimessi dall’ospedale, e sono ancora positivi, non possono tornare a casa per non infettare i conviventi. Questo è un modello di sanità intermedia che dovrà trovare ulteriore spazio. Ho letto che in Sicilia stanno attivando questa procedura, la zona di Bergamo sta ampliando l’offerta con altri hotel della provincia.

Sicuramente è un vantaggio per il sistema sanitario, ormai al collasso. Un servizio che aiuta gli ospedali e le famiglie?

Assolutamente. I vantaggi sono molteplici, liberiamo l’ospedale, aiutiamo il paziente a riprendersi completamente, aiutando anche la sua famiglia. E in ultima istanza aiutiamo il sistema alberghiero, falcidiato dalla crisi del turismo. E’ importante che i pazienti usciti dalla terapia intensiva affrontino un ulteriore periodo di quarantena nelle migliori condizioni, seguiti ogni momento dal nostro personale medico, questa patologia è tosta da debellare. Siamo specializzati in assistenza medica domestica, fin dall’emergenza HIV. Per chi esce da un’esperienza di questo tipo è fondamentale rafforzare le difese immunitarie e psicologiche per tornare a casa.

E’ un modello che può essere esportato a livello nazionale?

Si, è senza dubbio replicabile. Sarebbe molto utile, approfittando in qualche modo dell’emergenza, ripensare tutto il sistema del percorso di cura. Non può essere solo l’ospedale il centro, il luogo principale a cui rivolgersi, ma è fondamentale pensare alla medicina del territorio, l’assistenza domiciliare come alternativa. Anche il Sindaco di Bergamo chiede che si vada in questa direzione.

Si. Lo ha ribadito durante la trasmissione Presa diretta. Il sindaco Gori ribadisce che i numeri dei decessi non tornano, ossia sono molti di più di quelli che entrano a far parte delle statistiche ufficiali. Ci sono molti decessi che avvengono in solitudine nelle mura domestiche, di cui non si sa nulla. Possono essere positivi ed aver contagiato nel frattempo chiunque si trovasse nelle vicinanze, non solo i familiari.

Non voglio indicare nessun responsabile. Il problema, ovviamente, è quello della mancanza dei Dispositivi di Protezione Individuali. Noi stiamo combattendo una guerra con le sciabole di plastica! Quando si positivizzano i medici, magari senza saperlo, la catena di contagi provoca il disastro a cui stiamo assistendo. Ci sono tre ordini di problemi: i mezzi di protezione; fare i tamponi con tutti coloro che hanno a che fare con sistema sanitario (si tratta di 1 milione di persone); passare poi al controllo domiciliare, trovare e isolare i positivi dai loro familiari. Se non procediamo in questo modo il paese rimane fermo fino al 31 luglio, e oltre.

Quindi fare il tampone a più persone possibile?

Bisogna capire che non si va da nessuna parte chiudendo tutto, senza un controllo della popolazione, sintomatici e asintomatici. Ci vuole un’operazione molto più decisa in questo senso.

Quindi non è favorevole al modello Cina, per intenderci.

No. Noi abbiamo l’intero paese in quarantena, non possiamo però fermare ogni attività. La Cina ha isolato completamente una sola regione di 60 milioni di abitanti, permettendo al resto del paese di continuare a produrre. Noi dobbiamo fare in modo di isolare i focolai prima possibile.

Per fare questo bisogna che cambi il sistema, andare direttamente nelle case per fare i tamponi, anche più volte. Ma il personale medico è in grosse difficoltà, con una carenza di infermieri di circa 30 mila unità a livello nazionale. Per giunta è la categoria più colpita dal virus.

La crisi investe soprattutto il personale medico, da cui deve arrivare la nostra protezione. Gli ultimi dati dicono che cresce il numero di medici infetti e in quarantena: centinaia di medici attualmente in isolamento, con la conseguenza di avere oggi oltre 500 mila cittadini senza medico in tutta Italia.

La crisi investe tutta Italia. C’è un caso forse più grave in Sardegna, visto il contagio di più del 50% del personale sanitario. Qual è la catena di errori per cui si sta verificando questa situazione?

Non voglio indicare nessun responsabile. Il problema, ovviamente, è quello della mancanza dei Dispositivi di Protezione Individuali. Noi stiamo combattendo una guerra con le sciabole di plastica! Quando si positivizzano i medici, magari senza saperlo, la catena di contagi provoca il disastro a cui stiamo assistendo. Ci sono tre ordini di problemi: i mezzi di protezione; fare i tamponi con tutti coloro che hanno a che fare con sistema sanitario (si tratta di 1 milione di persone); passare poi al controllo domiciliare, trovare e isolare i positivi dai loro familiari. Se non procediamo in questo modo il paese rimane fermo fino al 31 luglio, e oltre.

In questo momento ci sono zone non a rischio? Tutto il territorio nazionale è interessato dall’emergenza?

Per fortuna, almeno per ora il sud sta reggendo abbastanza bene. Se dovesse arrivare la percentuale di contagio della Lombardia al sud sarebbe una catastrofe. Il sistema sanitario non può in nessun modo reggere, bisogna quindi fermare per forza il contagio.

Il sistema sanitario del sud era già in difficoltà senza il Covid-19.

Assolutamente. Ma tenga conto che non è un problema di spesa, ma di come sono state orientate le risorse. In questi ultimi decenni è stata favorita la sanità privata, e per una questione di ricavi la terapia intensiva, ad esempio, non era un investimento redditizio. Bisogna andare davvero a fondo nei problemi.

Quale consiglio potrebbe dare agli amministratori? In particolare i piccoli comuni, che si trovano ancora di più in difficoltà a gestire una situazione difficilissima.

Durante tanti anni di esperienza sul campo ho imparato che si dovrebbero seguire queste semplici regole. Le regole delle T:

  • Tutela. tutelare con i mezzi di protezione tutti gli operatori, sanitari e sociosanitari.
  • Tamponi. Fare il tampone a tutti coloro che hanno sintomi.
  • Tempestività. Le terapie, prima vengono attivate e con più probabilità avranno successo.
  • Tracciabilità di tutti i contatti che hanno avuto a che fare con i casi positivi e bloccare laddove esiste un possibile focolaio.

Vuole fare un augurio?

L’Italia ce la farà. Siamo la nazione che ha dato al mondo innumerevoli scoperte scientifiche, primo nell’arte e nella cultura. Ce la farà, se seguiamo alla lettera le regole che ci possono salvare.

4 thoughts on “Per vincere il virus Covid-19 bisogna ripensare il percorso di cura. Il modello di medicina intermedia di Bergamo di OSA

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