Archeologia Viva
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Articolo di Marco Murgia

Cagliari (ITALIA)

E’ di pochi giorni fa una lettera indirizzata al bimestrale Archeologia Viva, sulla “lotta disperata” contro le “bufale archeologiche” che affliggono ogni genere di media tanto italiano quanto straniero.

Il serio e rigoroso periodico noto per la sua spiccata connotazione “mediterranea”, non manca di riservare un significativo spazio aperto in cui ha sempre accolto tanto gli interventi di apprezzate personalità pubbliche quanto quelli degli appassionati.
Non mancano le ragioni per ritenere doveroso fare da eco a quella pubblicazione ancora una volta, accogliendo così tra le nostre pagine il senso dell’intervento “autoritario” di Emanuele Greco, mittente della lettera in questione e direttore della prestigiosa Scuola Archeologica Italiana di Atene.

La notizia cui egli fa riferimento è quella del sensazionalistico annuncio-bufala del ritrovamento a Creta, da parte di ricercatori anglo-greci, del mitico Labirinto! Lo studioso italiano riferisce di essersi perfino “abbandonato a urla belluine”, seguite da pronte scuse, all’indirizzo del giornalista che chiedeva un commento a tale “sensazionale” stupidaggine.
Ebbene, sono convinto che la penosa ridicolaggine di affermazioni infondate, senza capo né coda, la dica lunga sull’inaffidabilità di certi insulsi amplificatori d’ignoranza e, soprattutto debba farci riflettere su cosa oggi siano gli organi che ancora vogliono definirsi “di stampa”.
Greco coglie, giustamente, l’occasione per fare un po’ il punto della situazione, stigmatizzando un’altra serie di “perle e Atlantidi” dell’ultimora, ma non perdendo di vista il fatto che “…venditori di fumo per un pubblico di consumatori che sarà pure bue, ma che è indifeso davanti ai media, perché non c’è controinformazione scientifica…”. E qui, lui stesso, è il primo a fare autocritica e ad esporsi, un esemplare mea culpa che sarebbe forse indigesto ai più “… la colpa è solo nostra… uscire dalla turris eburnea dobbiamo…”.

E’ appena il caso di ricordare, ma vale senz’altro la pena farlo per tenere sempre alta la guardia anche su questa rivista, quale sia la qualità di certe “terze pagine” ridotte nel migliore dei casi se non in modo addirittura sistematico, a folkloristiche bancarelle di una fiera della pubblicità redazionale.
Per non dire poi dell’epidemica devastazione culturale che vede lievitare, sugli scaffali delle librerie così come nelle biblioteche e perfino nei bookshop dei musei, accanto a rigorosi testi frutto di studi scientifici, gli insulsi volumetti di fantarcheologia, stampati da piccoli editori, compiacenti e compiaciuti per l’aver incrociato la propria rotta con la deriva di autori insolenti e venditori di fumo. Non può e non deve essere questa la piccola o media editoria rappresentativa della Sardegna.

Resta forse il tempo per richiamare un tema che si agita nella cronaca cagliaritana d’inizio anno, l’anfiteatro romano di Cagliari. Mentre prosegue la truffa in danno dei turisti che, giunti nel capoluogo con guide fresche di stampa alla mano, assumono tutti la medesima espressione delusa nel constatare l’inganno. E’ troppo tardi quando si avvedono che le belle fotografie riprodotte in quei volumetti presentano un monumento che non esiste più. Resta ora solo quella che Giovanni Lilliu non esitò a definire “un’indegna imbalsamazione”, le cui immagini, guarda caso, non trovano spazio adeguato.
A quanto pare, anche quest’anno avremo panem et circenses. Se le cose non cambieranno, le impalcature resteranno lì e sprofonderemo ancora più in basso assordati da qualche concertino all’insegna della miopia di chi, evidentemente, non ha rispetto per la cultura e per gli altri. A poco vale sottolineare che monumenti del genere non appartengono ai cagliaritani, sono un patrimonio dell’umanità.

In proposito, si può forse rintracciare un breve spunto di riflessione osservando una certa ambiguità istituzionale che ha fatto seguito alle discussioni, peraltro piuttosto spente, sul destino dell’anfiteatro romano. L’occasione persa con il museo Betile è presa da esempio, occasione persa o presunta tale, il Betile torna improvvisamente d’attualità, strumento idoneo per lanciare accuse più o meno velate. Ed ecco il nesso e le colpe di un fallimento da ricercare, guarda caso, nell’impegno “eccessivo” di coloro che si erano particolarmente battuti per scongiurare il disastro organizzato in danno della necropoli fenicio-punica di Tuvixeddu a Cagliari.
Che siano messaggi in codice? Ogni riferimento ad anfiteatri o spiagge cagliaritane è puramente casuale…

 

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