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Dopo una lunga e travagliata gestazione, il progetto lanciato dall’ex presidente francese Nicolas Sarkozy di avvicinare le due sponde del Mediterraneo in una unione economica e politica ha preso vita con la creazione dell’Unione per il Mediterraneo (Upm).

La questione che è stata al centro del dibattito tra diplomatici ed uomini d’affari è se questo organismo riuscirà a superare le contraddizioni e i temi fonte di discordia che il processo di Barcellona è stato incapace di risolvere[1].
L’interesse dell’Unione Europea di associarsi alla riva sud del Mediterraneo è sempre stato molteplice: innanzitutto per  la gestione dei flussi migratori,  per tentare di diversificare il suo approvvigionamento di idrocarburi, per cercare di sviluppare i suoi mercati ed infine per cercare di stabilizzare le sue frontiere.

L’UpM approvata a Parigi è ben diversa dal progetto avanzato originariamente da Sarkozy. Quella proposta riguardava solamente il Mediterraneo, ma ciò ha suscitato nell’Unione Europea preoccupazioni circa la coesione comunitaria ed ha indotto la Germania a promuovere l’inglobamento dell’iniziativa francese nel processo di Barcellona, facendo in modo che al progetto potessero partecipare tutti i paesi dell’Unione Europea. Il vertice di Parigi ha visto riuniti i capi di stato di 43 paesi delle due sponde del Mare Nostrum (i 27 dell’Ue, più Algeria, Egitto, Israele, Giordania, Libano, Marocco, Mauritania, Siria, Tunisia, Turchia, Autorità palestinese, Albania, Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Monaco), ad eccezione della sola Libia che ha preferito partecipare come semplice osservatore.

L’Upm è un partenariato ‘basato su progetti concreti’, si legge nella dichiarazione finale, e tra quelli che saranno avviati, quando ci saranno i fondi nelle casse, due riguardano l’ambiente: ripulire il Mediterraneo entro il 2020, già previsto dal processo di Barcellona ma che si arenò per mancanza di fondi, e l’ambizioso progetto di ricoprire il deserto del Maghreb di pannelli solari. Inoltre verrà creata una protezione civile comune in grado di affrontare le emergenze, tra le quali i barconi degli immigrati clandestini, ed infine la realizzazione delle ‘autostrade del mare’, che dovrebbero assicurare un collegamento più efficiente tra i porti delle due sponde del Mediterraneo[2].

Sebbene l’iniziativa del presidente francese in larga parte sia stata accolta positivamente dagli stati della sponda sud, alcuni uomini d’affari, funzionari e leaders politici sono rimasti scettici sul modo in cui si possano realizzare questi obiettivi ed in particolare su chi debba finanziare questi programmi[3].  Nonostante le ventilate intenzioni di avvicinare i paesi delle due sponde molti analisti avanzano dubbi sulla reale capacità dell’Upm di fornire una risposta reale allo squilibrio economico esistente tra i diversi stati del Mediterraneo. Al contrario alcuni avanzano l’ipotesi che il piano francese sia un mezzo per facilitare le esportazioni europee di prodotti agricoli ed industriali verso paesi a bassa specializzazione commerciale ed industriale[4].

Uno dei limiti che ha causato il fallimento del Processo di Barcellona e delle sue politiche di libero scambio è stato l’incapacità di affrontare il nodo della disuguaglianza esistente tra le due sponde del Mediterraneo. Il gap economico esistente tra i paesi della sponda nord e quelli della sponda sud infatti è pari al doppio di quello esistente tra Stati Uniti e Messico ed è aumentato negli ultimi anni, nonostante gli stanziamenti economici previsti dallo stesso processo[5].

Il fatto che, nonostante l’aumento degli stanziamenti e l’aumento delle risorse energetiche, in tali paesi non si sia assistito ad un miglioramento delle condizioni di vita, dell’istruzione ed a un riequilibrio delle disparità economiche, la dice lunga sulla validità delle politiche attuate dall’Europa nei riguardi del Mediterraneo in questi ultimi dieci anni. L’inefficacia delle politiche di libero scambio, della libera circolazione dei capitali (ma non degli esseri umani), della gestione rigorosa della finanza pubblica e l’ortodossia della gestione monetaria è esemplificata dalla crescente disuguaglianza e dal fatto che il PIL per abitante dei paesi della sponda sud è 12 volte inferiore a quello dei popoli del Nord[6].

Nell’area mediterranea i livelli di sviluppo relativi consentono di delineare due grandi aree geo-economiche. Della prima fanno parte nazioni ad alto reddito, oggi appartenenti all’Unione Europea: Francia, Italia, Spagna, Grecia, Portogallo, che insieme a Malta e Cipro hanno livelli di reddito pro capite superiori al resto degli altri paesi del Mediterraneo. La seconda area include paesi che la Banca Mondiale classifica tra quelli a medio reddito: ci si riferisce cioè alle economie dei paesi del Medio Oriente, del Nord Africa e di quelle balcaniche. Israele costituisce un eccezione in quanto, pur non essendo un paese europeo, appartiene alle economie ad alto reddito.

I valori del Pil pro capite ci segnalano l’enorme disparità di sviluppo esistente oggi tra i paesi mediterranei. In Egitto, Siria, Marocco e Tunisia, come mostrano le stime del 2008 del Fondo Monetario Internazionale (figura 1),  il Pil pro capite è addirittura inferiore al 10% di quello dell’ Italia. In Algeria e Libano è meno del 20% di quello italiano.

Questi dati ci mostrano un aumento delle disuguaglianze tra i paesi delle due sponde del Mediterraneo rispetto al 2005, quando il Pil pro capite dell’Egitto era pari al 17% rispetto a quello italiano, quello della Siria al 37% e quello del Marocco al 16%. Tra i paesi della sponda sud in questi ultimi tre anni solamente la Libia, grazie alla fine dell’embargo e alle crescenti esportazioni di petrolio e gas, è riuscita in parte a colmare la disparità di ricchezza con i vicini della sponda nord (figura 2). Ne deriva una crescente disparità di crescita e di ricchezza che genera uno scostamento sempre più forte tra i paesi ricchi da una parte ( membri dell’UE più Israele) e quelli con reddito pro capite medio-basso dall’altra.

Uno studio di Ecomed, un gruppo guidato dai direttori esecutivi di alcune compagnie come Orascom, Royal Air Maroc e Telefonica, afferma che una delle strade che permetterebbe di colmare il gap di ricchezza tra l’Europa e i suoi partners del Mediterraneo sarebbe quello di migliorare le competenze e le conoscenze delle giovani generazioni. Tra i limiti di questi paesi vi è infatti quello dell’enorme mancanza di competenze ad ogni livello, dovuta anche al fatto che solamente una delle migliori 500 università al mondo si trova in Nord Africa [7].

Proprio tentare di risolvere tali squilibri sarà il compito più arduo che l’Upm si troverà a dover affrontare, considerando il fatto che i paesi affacciati nella sponda sud del Mediterraneo nel 2025 toccheranno i 325 milioni di abitanti a fronte dei 200 milioni circa dei paesi del nord. L’esperienza di cooperazione euro-mediterranea degli ultimi quindici anni indica chiaramente che le modernizzazioni di facciata e le politiche neo-liberiste non fanno necessariamente da traino alla crescita delle economie del Sud e soprattutto non sopprimono le immense sacche di povertà, di disoccupazione e, in alcuni paesi, di analfabetismo.


[1] Il Processo di Barcellona, varato nel 1995 con l’obiettivo di creare un mercato di libero scambio, è stato fin dall’inizio lo strumento centrale delle relazioni euro-mediterranee, con un partenariato di 39 governi e oltre 750 milioni di cittadini.

[2] Nasce l’Unione del Mediterraneo. Sarkozy: ‘Momento Storico’  in ‘Il Sole 24 Ore’ del 14 Luglio 2008.

[3] Greatest challenge lies beyond southern shores di Heba Saleh in ‘Financial Times’, 10 July 2008.

[4] Mediterraneo senza Unione, Zaki Laidi, in http://www.la voce.info.

[5] Greatest challenge lies beyond southern shores di Heba Saleh in ‘Financial Times’, 10 July 2008.

[6] Mediterraneo senza Unione, Zaki Laidi, in http://www.la voce.info.

[7] Greatest challenge lies beyond southern shores di Heba Saleh in ‘Financial Times’, 10 July 2008.

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