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C’è una varietà di sensazioni legate al cibo. Dal gusto all’olfatto, persino il tatto è contemplato.
In Sardegna, qualche volta, si inserisce il suono.

Da tempo immemore l’estate sarda è caratterizzata dal suono di uno schiocco. E’ quello delle angurie mature che si aprono e subito rilasciano un odore dolce e invitante.
A Gonnosfanadiga, piccolo centro del Campidano, la produzione delle angurie è sempre stata motivo d’orgoglio. Essendo un paese a forte vocazione agricola e contemporaneamente avendo i propri terreni agricoli isolati rispetto ai territori vicini, da fiumi e dalla montagna, molte varietà vegetali si sono conservate in maniera praticamente intatta conservando caratteristiche identiche a secoli fa; i contadini hanno continuato a tramandare di padre in figlio i semi che sono arrivati fino a noi, inalterati nella loro unicità. L’attesa e la custodia rendono questi semi preziosi.

Dal 2010 l’Associazione per la Biodiversità Gonnese si occupa di preservare, tramandare, diffondere la bellezza della diversità e dell’identità, anche storico culturale, degli ecotipi presenti nel territorio. E’ indubbio che una varietà di frutto o legume che sia giunta fino a noi sia il risultato della cura dell’uomo e della particolarità della terra. Che acqua e vento abbiano plasmato una pianta che è legata in modo indissolubile al territorio e a chi quel territorio lo abita e custodisce. Ai piedi del Monte Linas, questo paese che ha tracce nuragiche importanti – conserva in modo splendido una delle maggiori tombe dei giganti esistenti in Sardegna – tramite i suoi cittadini coraggiosi, può vantare l’orgoglio di riconoscimenti verso il frutto del loro lavoro, è il caso di dirlo letteralmente, che incoraggiano a proseguire la strada, oramai percorribilissima, della conservazione del patrimonio vegetale.

L’anguria di Gonnosfanadiga, chiamata Call’e boi (insieme a una qualità autoctona di pera e fagiolo) è stata riconosciuta come Prodotto tradizionale tipico dal Ministero delle Politiche Agricole. Il suo colore rosso scuro e il suo gusto zuccherino la rendono unica nel suo genere.
Presente nelle coltivazioni sicuramente dai primi dell’Ottocento, con un ciclo produttivo medio tardivo, si distingue dalle altre varietà per la forma allungata – da qui il suo nome che ricorda il rumine bovino – dalla buccia di un verde intenso e dalla fragilità al taglio che può provocare una o più fenditure e il tipico rumore sopraccitato.

Foto di Rosanna Foddi e Teresa Pani
Foto di Rosanna Foddi e Teresa Pani

I semi sono numerosi e di dimensioni medio grosse. L’Anguria Call’e boi trova la sua unicità nella zona stessa che la produce, per la perfetta sintonia fra microclima e terreno di coltura, che fornisce naturalmente gli elementi nutritivi. La semina e la raccolta si differenziano di poco da quelle fatte nel passato, con la rotazione quinquennale delle colture che favorisce il mantenimento del terreno in uno stato ottimale. L’acqua di irrigazione purissima e i terreni naturalmente ricchi di potassio permettono di conferire ai frutti caratteristiche organolettiche uniche. La coltivazione è infatti concentrata nelle valli attraversate da corsi d’acqua a carattere torrentizio, il Rio Piras e il Rio Sibiri che da secoli irrigano naturalmente la zona.

Durante la coltivazione le eventuali piante infestanti vengono combattute unicamente tramite sarchiatura manuale o con l’ausilio di pacciamatura biodegradabile che, dopo qualche mese, si trasforma in acqua, anidride carbonica e biomassa fungendo così da ulteriore concime organico. Al momento del raccolto il prodotto viene dotato del marchio che ne assicura la tracciabilità indicandone luogo di provenienza e produttore. Il metodo di raccolta dei semi avviene selezionando il primo frutto unicamente dalle piante che abbiano i requisiti tipici. Per proteggere i frutti da eventuali contaminazioni genetiche, le piante da cui si ricavano i semi si trovano ad almeno due chilometri di distanza da altre varietà di anguria essendo, questa, una pianta soggetta a impollinazione entomofila.

Grazie anche al supporto di Slow Food, l’Associazione è riuscita a rimettere in produzione varietà che rischiavano l’estinzione. Si punta all’uso di pochissimi interventi esterni, quali concimi e fitofarmaci; essendo un prodotto che il territorio stesso ha selezionato è divenuto quasi del tutto impermeabile ai tipici attacchi esterni.

La sfida, ora, è crescere le nuove generazioni a contatto con una natura che deve e può essere preservata. E’ insegnare a chi si affaccia sul mondo che la diversità è ricchezza, che si può guardare al futuro mantenendo saldamente il passato. Preservando, attraverso politiche di tutela e di controllo della tracciabilità, gli ecotipi e incentivando un mangiare consapevole.
Attualmente l’Associazione per la Biodiversità si sta occupando di censire le varietà delle specie vegetali presenti sul territorio; questo sforzo aiuterà a riappropriarsi del territorio stesso e a ristabilire un equilibrio in cui il contadino non era solo colui che lavorava la terra per ottenerne dei prodotti, bensì anche custode del territorio, occhio che osserva, sapere che si affina e si può tramandare.

Sì è certi che la produzione e la diffusione del marchio possa lentamente cambiare una piccola fetta di consumatori e, perché no, di turisti, che possano finalmente puntare al piacere della scoperta di un pezzetto di Sardegna, incasellato fra archeologia e gusto.
L’entusiasmo negli occhi dei bambini che seguono i laboratori dell’Associazione sono la prova lampante di quanto l’essere umano, prima di diventare consumatore, sia principalmente attore e quanto fascino e interesse susciti in lui la natura che lo circonda.

Ed ecco che la diversità e l’insularità possono diventare valore aggiunto. In questo paese che si accoccola fra i piedi di una montagna e che ha sempre rappresentato un punto di riferimento di qualità per olio e pane; in questo luogo dove il coraggio di puntare ancora alla terra non manca. Quella stessa terra che sta rivelando lentamente il suo passato, attraverso insediamenti nuragici che emergono e che riempiono di quesiti affascinanti le menti di archeologi e appassionati. In un contesto dove cultura, Storia, acqua e vento hanno modellato Terra e Uomini, è doveroso fermarsi. Scegliere di dimenticare per un attimo il conosciuto e lasciarsi catturare dai racconti degli anziani, dalle mani sapienti dei contadini, dalla forza e dal coraggio di donne e uomini che stanno coraggiosamente preservando l’ultimo baluardo di diversità.

2 thoughts on “La biodiversità come punto di contatto fra passato e futuro. L’esempio dell’anguria di Gonnosfanadiga, prodotto slow food

  1. Complimenti a chi è impegnato in prima linea per difendere le nostre ricchezze naturali e a chi ha saputo descrivere magistralmente la nostra identità di Gonnesi amanti dei prodotti genuini e di qualità come l`anguria, l`olio, il pane,- il miele ecc .

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