Spesso la cosiddetta Età di mezzo è considerata, nel pensare comune, un periodo di transizione oscuro, buio, di ottenebramento dell’arte e del lume umano. Tuttavia basta dare uno sguardo anche superficiale a uno qualsiasi di quei grossi e terrificanti manuali di Storia del Medioevo per rendersi conto che, in realtà, l’incomprensione di base nei confronti dei “secoli bui” è talvolta molto alta e che, al contrario, essi sono spesso stati la culla di un fiorire sociale, artistico e politico nuovo e rivoluzionario.
Come nel caso della Sardegna, che all’indomani del dominio Bizantino ha potuto fregiarsi di essere tra le prime regioni del mondo a godere di un governo innovativo e socialmente all’avanguardia come i Giudicati, veri e propri regni nati dalla fusione di tradizioni autoctone e istituti giuridici romano-bizantini. Un esperimento rivoluzionario, che ha permesso il distacco dell’impianto economico e politico locale da quello strettamente latifondista del resto del Sacro Romano Impero e che si caratterizzava per la propria natura superpersonale e l’organizzazione amministrativa. A capo di tutto il Giudice, né “padrone” né “sovrano”, ma amministratore che governava sulla base del “Bannus-consensus”, il patto col popolo.
Con la fine dei Giudicati e l’inizio del periodo Pisano non declina la fioritura, specialmente economica, della Sardegna: viene costruita la città di Cagliari vera e propria e fortificata, erigendo diverse strutture, specialmente nel quartiere di Castello, che tutt’ora rappresentano alcuni tra i fiori all’occhiello del panorama architettonico e culturale del capoluogo.
Il popolo sardo tuttavia viene privato del suo potere decisionale e di una fetta rilevante del suo peso politico, ma se con la conclusione del periodo giudicale termina anche la felice fase dell’autodeterminazione dei sardi, comincia tuttavia un momento di fioritura dei commerci e di intensificazione sia degli scambi interni che con la penisola, di cui tuttavia si ha una frammentaria documentazione che secondo lo studioso Corrado Zedda, «soffre a tutt’oggi un evidente problema di dispersione e frammentarietà […] e presenta diverse difficoltà interpretative, soprattutto riguardo alle percentuali dei traffici nel corso degli anni e agli operatori commerciali delle diverse regioni isolane».
Oggi, nella Sardegna del 2012, il filo conduttore con i primi cinque secoli del primo Millennio torna a emergere in iniziative che ripropongono lo scambio, il baratto e l’innovazione economica con una brillantezza di idee e un pensiero di fondo rivoluzionario e “alternativo” simile a quelli che, in passato, hanno caratterizzato la nostra isola.
Come per esempio il Sardex, la moneta virtuale della Sardegna che, allo stesso modo del Linden Dollar di Second Life o del BitCoin, si propone fondamentalmente di istituire una nuova valuta locale, concepito come un vero e proprio fido bancario e funzionando come una camera di compensazione di debiti e crediti.
L’idea, che prende piede da soluzioni anti-crisi sviluppate nei primi decenni del Novecento (come il wir svizzero, o il Mefo-Wechsel tedesco), è stata sviluppata nel 2009 da quattro neolaureati, Gabriele e Giuseppe Littera, Marco Mancosu e Pietro Sanna. Percorsi formativi diversi, da lingue a marketing passando per lettere, ma in comune un amore sconfinato per la propria terra d’origine. I risultati dell’esperimento non si sono fatti attendere: oltre 600 aziende che hanno aderito al circuito Sardex, e alla fine del2011 il fatturato aveva toccato quota 300mila euro. Oggi la società impiega 10 dipendenti, tutti con età compresa tra 27 e 36 anni. I profili professionali sono piuttosto vari: broker, informatici, esperti di diritto amministrativo, grossi conoscitori delle strategie comunicative.
Anche il baratto torna “in auge” con idee innovative, come quella venuta a due imprenditori di Bosa, Alfredo e Ilaria, entrambi scuoltori / ceramisti e che vicino a una torre del XVI secolo hanno deciso di creare un Bed & Breakfasti, VillaVillaColle dove gli ospiti fanno vacanza senza spendere nemmeno un euro. Il soggiorno non si basa infatti sul pagamento in denaro, ma sul baratto. Cibo e oggettistica sono le monete di scambio con cui poter pernottare a VillaVillaColle, dando origine a un vero e proprio esperimento di turismo “anticrisi”.
Dalle marmellate confezionate in casa a DVD di fiabe per il piccolo Elia, il figlio della coppia, tutto va bene in cambio di un week end in uno dei borghi medievali più incantevoli della Sardegna, a due passi da uno dei mari più belli e puliti del mondo. La falce della crisi economica, che come si sa non ha risparmiato l’isola da un’ondata di licenziamenti e conseguenti difficoltà economiche, ha – ahinoi – contribuito al rinverdimento della pratica dello scambio. Si trova un esempio in Ogliastra, dove allevatori, pescatori, titolari d’albergo e molti altri hanno ripreso a scambiare i prodotti, come si faceva secoli fa.
Pietro Mereu del blog “l’isola dei cassaintegrati” ha deciso di svolgere una piccola indagine sul territorio. Dalla ricerca è emerso che sono numerosi i lavoratori che cedono i propri servizi in cambio di altri prodotti o servizi. Tanto da spingere un locale, Giangiacomo Pisu, autore di vari libri sulla Sardegna, a creare un gruppo su Facebook chiamato ‘Baratto Ogliastra‘ che oggi conta più di 2200 iscritti.
In questo gruppo è possibile offrire libri, olio, soggiorni turistici, moto, lezioni di lingue e le cose più disparate, dando il “la” per la formazione di altri gruppi simili sul famoso social network, e dando un esempio lampante di come integrazione, pragmaticità popolare e tecnologia possano servire a un fine nobile come il tentativo di uscita da una crisi soffocante (fonte: http://www.isoladeicassintegrati.com)