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Dolci d’Italia. La storia della pasticceria dal Medioevo al Novecento, opera prima di Francesco Pruneddu, sembra a prima vista un normale ricettario di dolci con un excursus storico che va dal medioevo al novecento.

Immergendosi poi nella lettura si scopre di avere tra le mani un libro di storia della pasticceria, ma anche una avventura dolce e poetica in cui l’autore, social media manager e appassionato di cibo, fotografia e pittura, con un profilo Instagram, @ch_ecco, molto seguito sia in Italia che all’estero, si racconta.

E lo fa proponendo dolci creati, impastati e decorati con le sue mani, magistralmente presentati e apparecchiati e che lui stesso ha fotografato con maestria e sapienza.

In questo libro, che viaggia nella memoria, che inebria con profumi e sapori, l’autore, mettendo a frutto la sua creatività, rivela il suo mondo e le sue passioni, e coinvolge il lettore che ritrova la propria storia, guidato da immagini, profumi e sapori familiari.

Tutto nasce dalla cucina di casa e dalle ricette della mamma e il ricordo di quelle ricette, tante volte spiate, che comincia a replicarle durante gli anni dell’università. La memoria è legata anche ai viaggi intrapresi per studiare, per fotografare e per andare alla ricerca di tutti quegli “attrezzi del mestiere”, soprattutto stampi, ciotole, piatti e vassoi, che diventano familiari, mentre guardiamo le foto che documentano le ricette.

La passione per la fotografia è parte integrante di questo volume, perché l’autore la mette al servizio del suo amore per la pasticceria e per l’arte. Infatti nel primo capitolo Cucina e storia dell’arte sono raccolte immagini di opere d’arte che l’autore ha studiato o che semplicemente ama.

I profumi e i sapori vengono prepotentemente e dolcemente fuori dalle pagine, come se si aprisse il forno per sfornare torte, crostate, timballi e biscotti. Leggendo le ricette, che sono tutte state sperimentate e assaggiate da fortunati commensali, scopriamo ingredienti noti e usuali anche per noi, ma anche altri che mai ci verrebbe in mente di mettere nelle nostre preparazioni dolci come il pepe o il formaggio grattugiato.

Entrando nel Medioevo, colpisce la presenza delle mandorle, del miele e del bianco, simbolo di purezza e sinonimo del mangiare e cucinare salutare. Il colore che domina il capitolo, lo troviamo non solo con la Torta bianca, a base di formaggio fresco e zenzero, ma anche nella Timbada de latte, una sorta di crème caramel sardo realizzato con latte, zucchero, uova, vaniglia o limone: quattro ingredienti che danno vita a un delizioso e delicato dolce che sa di casa.

L’atmosfera e i colori cambiano nel Rinascimento dove domina la sontuosità, ben documentata, in letteratura e nei dipinti che ci portano dentro banchetti ricchissimi e infiniti per il numero di portate, si potevano superare le 80, e di cui uno dei massimi artefici fu il celebre maestro degli allestimenti della corte estense, Cristoforo di Messisburgo. La sua fama dovrà però ben presto condividerla con Bartolomeo Scappi, cuoco privato dei papi, che nella sua Opera, una enciclopedia dell’arte culinaria, ci regala oltre 1000 preziosissime ricette.

I protagonisti indiscussi dei banchetti rinascimentali erano senza dubbio i pasticci, con il loro ricco e spesso scenografico ripieno dolce o salato, che avevano lo scopo di destare stupore e meraviglia tra i commensali e in cui possiamo cimentarci seguendo, ad esempio, la ricetta del Pasticcio di ciliegie: un’esplosione di sapori, con zucchero, burro, frutta, acqua di rose e mostaccioli, che viene fuori da uno scrigno di pasta magistralmente decorata.

In tutta questa sontuosità salta ancora più agli occhi la Crema di biancomangiare, dal gusto delicato, ma che poteva essere sia dolce che salata e che nei banchetti danzava tra una portata e l’altra, talvolta come accompagnamento di pietanze sostanziose a base di cappone o come una sorta di minestra profumata alle rose; quella che viene qui proposta è un eccellente dolce al cucchiaio realizzato con latte intero o di mandorla, amido, zucchero e la scorza di un limone.

Nel periodo che abbraccia Illuminismo e Risorgimento le linee guida della cucina, e della pasticceria in particolare, sono eleganza, salubrità ed economicità.

In una delle bibbie della cucina, La scienza in cucina e l’arte di mangiar bene di Pellegrino Artusi, compare con precise indicazioni per realizzarla, l’italianissima Zuppa Inglese fatta di biscotti intrisi di rosolio e alchermes, crema e marmellata di albicocche: buonissima e soprattutto sontuosamente elegante.

Le ricette diventano più sane, diminuisce l’uso delle spezie e si integrano ingredienti come mais e caffè e lo zucchero comincia a sostituirsi al miele. Si introducono nuove tecniche e la cucina diventa “per tutti”. Ecco allora le ricette quotidiane come le crostate e del riciclo come il Budino di pane con pinoli e uvetta.

Arriviamo infine al Novecento dove visitiamo una mostra dei ricettari che abbraccia Il Primo novecento, il periodo tra le due guerre e quello dopo la liberazione. Vengono infatti pubblicati, dopo le raccolte di ricette professionali dei secoli precedenti, testi per tutti, ma soprattutto opere scritte da donne per le donne, come quelle di Giulia Ferrari Tamburini, di Ida Baccini, di Lidia Morelli che scrive con lo pseudonimo di Donna Clara e di Ada Boni con il suo celeberrimo Il talismano della felicità.

Questo secolo dolciario è dominato, senza che gli altri dolci se ne abbiano a male, dai sapori morbidi e avvolgenti della torta Mimosa e del Tiramisù.

Il libro termina con una selezione di Dolci dal mondo. Spettacolari ed accomunate dalla presenza di panna e frutta sono la Charlotte con una delle più intricate storie della pasticceria, e l’ultima, una delle torte preferite sia da me che dall’autore: la Pavlova, un candido guscio di meringa, ripieno di panna montata e sormontato da un trionfo di frutta.

Tra i tanti aneddoti e curiosità presenti nel libro colpisce il fatto che San Francesco non fosse poi così ascetico come abbiamo sempre pensato, si racconta infatti che fosse ghiotto di biscotti a base di mandorle tritate, farina, miele, albumi, pepe e cannella, dolci che presero poi il nome di mostaccioli, perché in antichità erano addolciti con il mosto cotto. E poi la ricetta un po’ bizzarra della Spungata, considerata uno di dolci più antichi d’Italia, che necessitava, per la preparazione del suo ripieno, di un riposo di ben 21 giorni, trascorrendone 7 all’inferno, 7 al purgatorio e 7 in paradiso: credenza popolare sì, ma così le spezie potevano sprigionare meglio i loro aromi.

Questo libro, con grande cura dei dettagli e con eleganti immagini, introduce il semplice lettore o il principiante o provetto pasticcere, in un mondo che profuma di miele, di zucchero, di mandorle, di cannella e di vaniglia. Un dolcissimo e garbato invito non solo a curiosare tra le pagine, ma anche a provare qualcuna, se non tutte, le oltre 50 squisite ricette, per lo più note e familiari, ma talvolta sconosciute o quasi dimenticate, che vi sono raccolte.

Francesco Pruneddu

Dolci d’Italia. La storia della pasticceria dal Medioevo al Novecento

Solferino

235 pp., 19,50 euro

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