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Gli alimenti di cui ci nutriamo sono sicuramente la variabile ambientale più rilevante nel determinare la longevità di un individuo.

La letteratura scientifica sullo stile di vita dei centenari ormai è molto nutrita. Si parte dal progetto genoma, per arrivare al più recente progetto AKEA, per mappare il DNA dei centenari e della popolazione sarda in genere. I risultati sono utili in parte a spiegare l’altissima concentrazione di centenari in Sardegna, praticamente il doppio della media europea. Gli scienziati e i ricercatori sardi, nazionali e internazionali che si dedicano da anni a questa ricerca affermano che in realtà il DNA incide solo per il 30% sulla longevità.

Una volta stabilito questo assunto rimane da spiegare la restante percentuale, e si trova nel termine “stile di vita”. Il contesto globale in cui si vive, la qualità generale della vita, l’assenza di stress molto elevati, la comunità di aiuti, la socialità, la fiducia nella vita ma anche la fede molto forte che accomuna quasi tutti i centenari. Oltre agli aspetti sociali, importantissimi per condurre una vita sana e piacevole, c’è l’aspetto fondamentale del cibo.

L’analisi della longevità è utile a capire come prevenire molte patologie, tipiche delle società avanzate. Si pensi al colesterolo cattivo, l’obesità, le malattie cardiovascolari. Il cibo occupa un posto di primo piano nell’assicurarci una vita lunga e sana: non basta vivere a lungo se non si è autosufficienti. Se la longevità dipende certamente da una predisposizione genetica, esistono però numerose variabili in grado di migliorare o peggiorare la possibilità di un invecchiamento privo di malattie. Gli alimenti di cui ci nutriamo sono sicuramente la variabile ambientale più rilevante nel determinare la longevità di un individuo.
Si è parlato molto delle proprietà positive di legumi, frutta e verdura, il classico bicchiere di Cannonau a pasto, ultimamente anche il Pecorino sardo. Voi vi siete concentrati sulle proprietà benefiche del pesce. L’immagine che si ha dei sardi è quella di un popolo di allevatori, agricoltori, ma quasi mai si pensa al mare. Ma quando si viene in vacanza in Sardegna i turisti desiderano, però, i piatti a base di pesce. Forse aveva ragione Marcello Fois nel suo provocatorio titolo “In Sardegna non c’è il mare”, non ci accorgiamo di vivere in un’isola, non c’è la cultura del mare così come in altre isole e penisole. Questo deficit culturale incide naturalmente anche nel consumo quotidiano di pesce, invece fondamentale in una dieta sana.

Intervistiamo a tal proposito il Professor Sebastiano Banni, nutrizionista dell’Università degli Studi di Cagliari, che ha collaborato allo studio portato avanti dai biotecnologi e dai tecnologi alimentari del polo scientifico regionale di Tramariglio ad Alghero.

In questo studio si evincono proprietà benefiche del pesce per la longevità?

Nello studio in questione non ho riscontrato possibili associazioni tra proprietà benefiche del pesce e longevità. Lo studio riguardava il contenuto di omega-3 nelle orate di diversi allevamenti in Sardegna, dove avevamo rilevato che il contenuto di omega-3 era paragonabile se non superiore alle orate selvatiche. Infatti, le qualità nutrizionali dei pesci e di tutti i prodotti di origine animale dipendono da quello che mangiano e dal loro stile di vita. Questo vale soprattutto per i grassi. Pertanto una buona alimentazione e buone condizioni di allevamento produrranno pesci con ottime qualità nutrizionali.

Quali sono, se ci sono, gli elementi principali che vi fanno pensare al legame tra il consumo di pesce e longevità?

Come già accennato non mi occupo di longevità, ma dalla letteratura scientifica più recente, risulta chiaro che bisogna sfatare alcuni miti sull’alimentazione nelle cosiddette zone blu a più alta frequenza di centenari, rispetto ad altre zone. E’ possibile che le cause di questa maggior frequenza sia la somma di diversi fattori che interagiscono tra loro rendendo estremamente difficile individuare i più importanti.
In generale, posso affermare che bisogna stare attenti a dare etichette morali (buono o cattivo) agli alimenti. Il punto fondamentale è l’equilibrio tra i diversi nutrienti. Quindi si può incentivare il consumo di un alimento in una determinata popolazione se è carente per il loro fabbisogno in quei nutrienti presenti in quel alimento, come è il caso dei prodotti ittici in Italia e in Sardegna, dove abbiamo riscontrato una forte carenza in omega-3. Ovviamente, incentivare il consumo di un alimento vuol dire nella maggior parte dei casi sostituirlo con un altro, non necessariamente cattivo, ma probabilmente assunto in eccesso. Pertanto, la parola chiave è l’equilibrio tra i diversi nutrienti necessari all’individuo nelle sue specifiche condizioni fisiologiche. Questo è un altro punto importante, non è detto che i nutrienti necessari al centenario 70 anni fa siano gli stessi dei tempi nostri, quindi è fuorviante pensare che quel dato alimento contenente quei nutrienti abbia le stesse proprietà nutrizionali in un individuo di 70 anni fa e in individuo dei giorni nostri. Tra l’altro, anche gli alimenti del passato non hanno le stesse qualità nutrizionali di quelli attuali per le diverse tecniche di allevamento e di coltivazione.

Con il Dott. Giovanni Pes dell’’Università di Sassari, uno dei maggiori studiosi sul fenomeno della longevità in Sardegna, stiamo mettendo su una collaborazione proprio per valutare se esistono differenze metaboliche nell’anziano e in particolare nei centenari, che possano modificare l’impatto nutrizionale di alcuni alimenti.

Oltre agli effetti benefici immediati del cibo, in particolare del pesce, ci sono anche proprietà che possono correggere dei malfunzionamenti genetici?

In generale, possiamo dire che alimenti specifici possono correggere o limitare i danni indotti da malattie genetiche metaboliche. Alcuni nutrienti possono, tramite dei meccanismi specifici a livello molecolare, correggere difetti nel metabolismo non necessariamente genetici ma anche acquisiti. Questa è una delle nuove frontiere della nutrizione, che va verso lo sviluppo della nutrizione personalizzata in base alle proprie esigenze fisiologiche e al proprio metabolismo.

Quali caratteristiche principali invece possiede il pesce sardo, di mare aperto o di allevamento, rispetto ad altro pesce importato?

Come già accennato, dai nostri dati risulta ottimo. Non abbiamo dati sul pesce importato ma credo che quando sia venduto a prezzi molto più bassi devono sorgere dubbi sulle tecniche di allevamento di questi prodotti. Resta ovviamente aperto il problema della sostenibilità della pesca che dovrebbe essere affrontato con gli esperti biologi marini insieme ai produttori.

Quali sono gli sviluppi scientifici della vostra ricerca?

Quella specifica ricerca non ha avuto un seguito. Con altri progetti, stiamo studiando le proprietà nutrizionali degli omega-3, ma soprattutto l’impatto che hanno i diversi alimenti su alcuni parametri metabolici normalmente influenzati dagli omega-3. Infatti, oltre che analizzare gli alimenti risulta importante valutare qual è il loro impatto sull’uomo poiché l’interazione tra i diversi nutrienti può dare risultati sorprendenti. Da un po’ di anni sto tentando di mettere su uno studio sull’uomo per valutare l’impatto nutrizionale del pesce sardo, ma per il momento non ho trovato i fondi necessari, perché purtroppo gli studi sull’uomo sono particolarmente onerosi.

Ci sono sviluppi economici della vostra scoperta? 

Essendo stato uno studio diciamo preliminare non credo che abbia avuto un impatto sull’economia o sulle abitudini alimentari. Uno studio sull’uomo, in base ai risultati, potrebbe invece avere un impatto maggiore come è successo nel caso di altri studi che condotto recentemente.

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