Precari
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Negli ultimi dieci anni, in tutti i paesi europei, è sempre più evidente l’emergere di un nuovo segmento di forza lavoro, composto di persone che, pur avendo un’occupazione, percepiscono un basso salario (working poor class). Si definisce ‘lavoratore povero’ chi ha un’occupazione per almeno sei mesi nel corso dell’anno e ha un reddito che si colloca al di sotto del 60percento del reddito medio nazionale. L’incidenza dei lavoratori poveri è divenuta oggetto di grande preoccupazione in molte economie sviluppate, anche per il conseguente crescere della diseguaglianza. L’insorgere del fenomeno era già stato evidenziato negli Stati Uniti, dagli anni Settanta, ed è legato in larga parte al declino del modello di produzione fordista e alle conseguenti riforme del mercato del lavoro.

Per lungo tempo, si è ritenuto che la povertà dei lavoratori fosse una realtà che non riguardasse i paesi europei del welfare-state. In base ai dati disponibili, invece, in Europa è da considerarsi lavoratore povero il 6percento degli impiegati e il 18percento dei lavoratori indipendenti. I giovani sono i più vulnerabili nella maggior parte dei paesi UE. In media, infatti, il 9percento dei giovani rientra nella definizione di “lavoratori poveri”, cifra che diminuisce per i gruppi più avanti con l’età[1]. Naturalmente l’assenza di occupazione e il basso tasso di attività all’interno delle famiglie continuano a essere i fattori principali di povertà. In Italia, però, l’incidenza della povertà relativa per le famiglie in cui almeno una persona è occupata in condizione di lavoratore dipendente ha raggiunto il 9,6percento, in crescita rispetto agli anni precedenti; una percentuale che sale al 14,5% se si tratta di “operaio o assimilato”. Al Sud la percentuale di poveri tra i lavoratori dipendenti si attesta al 20,7%, per salire al 28,8% nel caso di “operai o assimilati”[2].

Negli ultimi quindici anni è fortemente aumentato il ricorso a forme di lavoro atipico. Pur avendo, in alcuni casi, accresciuto le opportunità di occupazione, le nuove forme di lavoro possono non essere sufficienti a garantire un reddito adeguato e tendono ad accrescere l’incertezza sulle prospettive di reddito future. Oltre a contenere il costo di utilizzo del lavoro, queste forme hanno contribuito a moderare le dinamiche salariali, anche attraverso retribuzioni più basse per i lavoratori temporanei. Come dimostrato da una recente pubblicazione di Banca d’Italia, la diffusione di forme contrattuali atipiche si riflette in una diminuzione del reddito reale medio da lavoro dipendente percepito nell’intero anno. Nello stesso periodo, i salari all’ingresso dei più giovani si sono ridotti in termini reali, non compensati da una più rapida progressione salariale nel corso della carriera lavorativa[3]. Sul fronte dei lavoratori afflitti da precarietà occupazionale, e conseguentemente remunerati in modo discontinuo, è assai diffuso il fenomeno dello scivolamento sotto la soglia di povertà, a causa degli scarsi sistemi di protezione sociale. E tuttavia, anche i lavoratori protetti, a causa dell’andamento delle retribuzioni nel periodo più recente, rischiano di scivolare sotto la soglia di povertà. Questi dati pongono l’accento sull’importanza dell’occupazione nel ridurre il rischio di povertà. Molti studi evidenziano, inoltre, l’inadeguatezza del sistema di protezione sociale, in questo caso di quello italiano. Nel 2005 i trasferimenti sociali per famiglia, disoccupazione, abitazione ed esclusione sociale erano appena l’1,7percento del Pil, la quota più bassa dei paesi dell’UE, eccezion fatta per la Lituania, pari a poco più di un terzo della media comunitaria[4].

Tra le proposte tese a ridurre il fenomeno della povertà nel mondo del lavoro è di sicuro interesse quella avanzata dal governo belga e da alcuni parlamentari europei, di introdurre un salario minimo europeo, seppur differente secondo il costo della vita nei singoli stati[5]. La proposta parla di un salario universale applicabile a tutti i cittadini e non contributiva, cioè che non necessita pagamenti periodici per un fondo, come le assicurazioni. Per ridurre il numero dei lavori poveri, inoltre, sarebbero necessarie misure politiche che promuovano l’istruzione e la formazione lungo tutto il percorso lavorativo. Esistono politiche che affrontano la povertà nel lavoro attraverso varie forme di trasferimenti, anche di carattere fiscale, e prestazioni sociali. E’ stato evidenziato che i trasferimenti sociali riducono fortemente il rischio povertà, anche se in misura diversa nei vari paesi[6]. Infine, essendo più probabile che i lavoratori atipici rientrino nella categoria di lavoratori poveri, a causa delle cattive condizioni di lavoro e dei bassi salari, i paesi europei dovrebbero intensificare i loro sforzi per contrastare il fenomeno del lavoro nero. Recuperare un’etica che consideri il lavoro come la precondizione di una vita dignitosa, nonché come la garanzia del rispetto e dell’ordine, costituisce la base per qualsiasi rimedio contro la povertà.

In occasione del Consiglio Europeo di Lisbona del marzo 2000, i capi di Stato e di governo dei paesi membri promisero di rendere l’UE «l’economia basata sulla conoscenza più dinamica e competitiva del mondo, capace di dar vita a una crescita economica sostenibile con posti di lavoro più numerosi e migliori, maggiore coesione sociale e rispetto per l’ambiente» entro il 2010. Di fronte al fallimento nel raggiungimento degli obiettivi prefissati, solo in parte dovuto alla recente crisi finanziaria ed economica, sarebbe opportuno ridefinire una nuova strategia economica per l’Europa del 2020 che, attraverso una maggiore integrazione tra paesi membri nel settore del welfare, metta al centro i temi del lavoro, non solo dal punto di vista quantitativo ma anche da un punto di vista qualitativo.


[1] Working Poor in Europe, European Working Conditions Observatory (EWCO), April 2010. La relazione è disponibile online all’indirizzo: http://www.eurofound.europa.eu/ewco/studies/tn0910026s/index.htm

[2] Rapporto sulle Politiche contro la Povertà e l’Esclusione Sociale, Anno 2008-2009, Commissione Indagine Esclusione Sociale (CIES), Ministero del Lavoro, Novembre 2009.

[3] Indagine Conoscitiva sul Livello dei Redditi da Lavoro nonché sulla Redistribuzione della Ricchezza in Italia nel Periodo 1993 – 2008, Testimonianza di Andrea Brandolini, Servizio Studi di Struttura Economico e Finanziaria, Banca d’Italia, Aprile 2009

[4] Social Protection in the European Union, Eurostat 2008

[5] Bruxelles Studia il Salario Minimo Garantito, di Ivo Caizzi, in ‘Corriere Economia’ del 19 aprile 2010

[6] Working Poor in Europe, European Working Conditions Observatory (EWCO), April 2010.

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