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Articolo di Sara Bellucci

La Turchia è un paese che molti stati di religione islamica prendono come esempio, non ultimo il partito islamico-conservatore al Nahda in Tunisia ha dichiarato di volersi ispirare all’Akp di Erdogan per coniugare Islam e democrazia.

Questo succede perché quando venne fondata la Repubblica turca nel 1923, Mustafa Kemal, detto Atatürk (“Padre dei Turchi”), creò uno stato moderno sullo stampo delle democrazie occidentali, abolendo il califfato ed apportando importanti riforme: il suffragio universale fu esteso anche alle donne, adottò l’alfabeto latino per la lingua turca sostituendolo a quello arabo e soprattutto creò uno Stato laico, tanto che nella Costituzione si da il via libera all’esercito di intervenire sul governo al potere, ogni qualvolta ci sia la minaccia di una confluenza tra religione e politica.

Sicuramente tutto questo ha aiutato a far sì che la Turchia si mettesse avanti a molti paesi della regione medio – orientale. Certo è che c’è sempre il rovescio della medaglia. E questo rovescio è stato ed è per la Turchia un ancoramento al passato che non gli permette di sfruttare tutte quelle possibilità che in realtà avrebbe. Creando un nuovo stato laico e moderno, Atatürk ha diffuso un’ideologia nazionalista, portata spesso all’estremo, caratterizzata dall’idolatria della sua persona e dal principio “uno Stato, una lingua, una etnia”, a mio parere sempre molto pericoloso. Quest’ideologia kemalista ha causato genocidi, deportazioni di massa e oppressione, sia nel passato che nel presente più recente. Basti pensare al genocidio armeno del 1915 ideato ed organizzato da alcuni membri del governo dei Giovani Turchi oppure alla lunga ed estenuante lotta contro i Curdi, che non è ancora finita e che probabilmente durerà ancora a lungo proprio perché questa teoria ultranazionalistica in cui la sola etnia dell’Anatolia è quella turca, li porta ad un continuo scontro politico, economico, sociale e linguistico. Una continua politica, ufficiale e non, di negazione sia verso gli atti più orribili commessi dal Governo di Ankara, definiscono ancora oggi, nel 2011, il genocidio armeno come una migrazione forzata verso la Siria, sia verso la possibilità della’affermazione di una cultura diverso da quella turca.
Quando vivevo ad Izmir e iniziavo la mia ricerca bibliografica per la tesi specialistica, parlavo con molti professori della mia Facoltà, che erano quasi imbarazzati per la mia ricerca sul diritto linguistico dei Curdi e più volte hanno provato a farmi cambiare idea, in tutti i modi, dicendo che la lingua curda non esisteva e che sul passaporto dei Curdi c’era scritto che venivano dalla Turchia e non dal Kurdistan, quindi era inutile e sciocco parlarne. Può sembrare strano e forse inverosimile, ma l’immagine politica e sociale che noi riceviamo della Turchia è, volutamente, dorata e illusoria, solo perché a molti paesi dell’Unione Europea fa comodo per motivi economici.

La politica e la società turca in generale sono rimaste fortemente ancorate ad un’ideologia che ne ha causato il blocco, che non gli permette una messa in discussione su nessun livello e che li fa rimanere fermi da decenni in quella “convinzione” della Grande Turchia, fatta di bandiere, immagini di Atatürk, servizio militare obbligatorio e di un’estrema certezza che in Turchia ci sono solo turchi, che si continua a negare con vigore tutti gli errori di un passato anche molto recente e che, quando si può, si continua una guerra ed un’oppressione in Kurdistan, senza interruzioni. Questi sono i motivi che portano anche ad una sempre più lontana entrata della Turchia nell’UE, anche se è una negoziazione iniziata troppi anni fa per creare ancora interesse. In realtà questo interessa ancora solo i politici, e certo sarebbe un bel passo avanti che potrebbe abolire la necessità dei visti per viaggiare in molti paesi d’Europa, ma ormai tra le persone ha perso di attrattiva. Ne parlai con molti amici dell’Università o dello studentato e la risposta che andava per la maggiore era: “Sara, we are not in Europe, this is Middle East”. Questo è quello che molti credono e quello che non permette alla Turchia di essere come l’UE vorrebbe. Un paese fatto di forti contraddizioni, dove lo scontro laicità/religione è, anch’esso, contraddittorio, e risulta dal contrasto tra il forte orgoglio laico promulgato dalla politica e dalle istituzioni e il fatto che l’Akp, il partito che guida la Turchia, è il Partito per la giustizia e lo sviluppo, islamico-conservatore. Alcune ali estremiste del partito hanno, addirittura, espresso la volontà di fare della Turchia un secondo Iran. Fortunatamente erano una minima parte. Ma serve per far capire che in realtà ci sono convinzioni contrastanti che creano confusione nella società ed un rifiuto nell’accettazione di certe problematiche del proprio paese.

Tutto questo è in qualche modo coperto, oscurato, solo di quando in quando esce fuori qualche notizia che ti fa vedere un’altra realtà da quella usuale. La cosa che più mi fa dispiacere è che la Turchia è un paese con mille opportunità e possibilità. Sia dal punto di vista strettamente commerciale ed economico, basti pensare ai grandi porti e agli investimenti di Italia e Germania fatti sul territorio anatolico, sia dal punto di vista turistico: ci sono le tratte di turismo classico che comprendono Istanbul, la costa mediterranea e la Cappadocia, ma ci sono anche luoghi mozzafiato in Kurdistan al confine con l’Iran e l’Armenia, posti che non vengono pubblicizzati come dovrebbero (per evidenti motivi politici), ma che hanno molte potenzialità anche per gli sport invernali o per quelli all’aperto, come il trekking. Questo turismo alternativo viene lasciato sopito, accantonato, quasi non si voglia far vedere troppo quel pezzo di Anatolia; solo da un paio d’anni a questa parte ho visto in alcuni cataloghi itinerari che toccavano questa parte di mondo. Ci sono nuove generazioni di giovani preparati, intraprendenti e con le idee chiare; alcuni di loro vengono da piccole città o villaggi dell’Est e, dopo aver studiato a Istanbul o a Izmir, se ne ritornano a casa a fare gli insegnanti, cercando di migliorare il livello educativo dei bambini. Ovviamente questi sono coloro che hanno avuto la possibilità di ricevere un’educazione ed un’istruzione perché in realtà le Turchia è un paese di grossi dislivelli sociali, con disuguaglianze croniche, direi.

Turchia cittadina
Immagine di una Turchia cittadina

Se guardo la Turchia proiettata nel futuro, vedo innanzitutto un paese con un’economia internazionalizzata ed in piena esplosione commerciale. Mi si prospetta un paese che posso paragonare ad una pentola a pressione: tante spinte positive vengono dal basso, ma che rimangono intrappolate in un contenitore che non si apre, ma che, spingendo con costanza, prima o poi esploderà. Vedo un paese in continuo movimento: c’è cultura, c’è arte, c’è politica e partecipazione giovanile. Negli ultimi anni grazie alla rete e alla radio sono nati movimenti, programmi radiofonici e giornali online redatti nelle lingue delle minoranze presenti in Anatolia, nonostante la fortissima censura del governo, difatti solo nel 2006 il governo di Erdogan ha permesso di trasmettere in curdo alla radio e alle tv. Questo dimostra una forte volontà di libertà di espressione che, sono sicura, con gli anni si moltiplicherà e diventerà così forte da diventare una cosa accettata e non più un’eccezione. La storia ci dimostra che tutte le rivoluzioni partono dal basso e anche in Turchia, sono sicura, non si potrà più mettere il bavaglio alla miriade di voci nate adesso e che fra qualche anno si saranno moltiplicate. Ci sarà, inevitabilmente, un’apertura culturale, nuove generazioni di giovani e politici che saranno cresciuti in un mondo multiculturale, abituati a confrontarsi quotidianamente con diverse culture, che riusciranno a scalfire una cultura secolare di chiusura autoreferenziale. Questo dimostrato anche da alcune proiezioni sulla crescita della popolazione: stando all’Istituto Nazionale di statistica turco (Turksat) la popolazione in Turchia nel 2010 era di quasi 74 milioni e nel 2020 si potrebbe arrivare a 100 milioni di abitanti. Questo può dare un’idea della potenziale crescita economica, culturale e sociale che questo paese può avere.

La Turchia, come già accennato in questo articolo, ha tante potenzialità sopite, non sfruttate pienamente; basterebbe aprire gli occhi, guardarsi intorno, ed accettare le differenze e gli errori del passato; la storia serve a questo, ad imparare per non ripetere. Sono processi culturali che hanno bisogno di tempo, che varia da paese a paese, ma le voci stanno venendo fuori piano piano e questo porterà qualche cambiamento.

Quello che io credo è che ciò che tiene la Turchia ancorata è esattamente quello che nel 1923 l’ha messa un passo avanti a tanti altri: quell’ideologia di nazionalismo e laicismo estremizzato, che per quel tempo l’ha fatta diventare uno Stato moderno, adesso non si è adeguata al passare del tempo, e quindi la ferma e non le permette un’espressione pluralista di tutte le realtà presenti nel territorio, di una partecipazione sana alla politica dei partiti che portano in Parlamento le voci delle minoranze. La laicità, a mio parere, è una caratteristica essenziale per qualsiasi stato, per avere una vita politica libera da questioni moraliste (che sono diverse da quelle morali). Ma, anch’essa, non è un concetto statico, bensì va adeguata alle realtà dei singoli stati, permettendo a tutte le religioni presenti nel territorio un’espressione libera ed uguale. Potrebbe quasi essere utopia, ma sono convinta che bisogna aspirare, socialmente parlando, a quell’idea. Farlo risulta difficile ovunque, tanto più in un paese che all’improvviso è diventato laico (con tutto quello che comporta) e non ha avuto il tempo per capire e metabolizzare il cambiamento, bensì gli sono stati imposti determinati comportamenti e convinzioni, per generazioni e generazioni, fino a radicalizzarsi nel tessuto sociale.

Lavorare nel futuro in questa dicotomia religione/laicità ed adattarla alla realtà locale, sarà il primo passo per un reale miglioramento delle condizioni culturali in Turchia.

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