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Articolo di Federica Contu

Il mantenimento di uno status quo consolidatosi nel tempo, seppur carico di contraddizioni e imperfezioni, può essere considerato uno dei fili conduttori tra la politica odierna e quella d’antico regime. L’innovazione del sistema di governo ha sempre dovuto percorrere vie tortuose, spesso bloccate dal pantano assolutistico, e quando finalmente il cambiamento si è verificato, la società ha dovuto pagare costi altissimi, trovandosi a barattare la democrazia con il sacrificio umano, come nel caso della Rivoluzione francese.

I sovrani che precedettero Luigi XVI infatti, non proposero mai a sé stessi lo sradicamento dei vetusti canoni assolutistici, nonostante il malcontento si facesse sempre più vigoroso e prepotente, perché convinti di avere un mandato divino, d’essere gli eletti, i padri infallibili di un popolo smarrito, bisognoso di una guida salda e costante, anche se il tempo passava e si alterava. La formula che recita “Il re è morto! Viva il re!” ci da un’idea della continuità, del passaggio da un sovrano all’altro, nella convinzione che lo Stato, immutato e perfetto così come conosciuto, sopravviva e migri nel corpo del successore designato, nuovamente garante dell’atavica staticità politica.

Luigi XVI
Luigi XVI

La base su cui poggiava la più solida delle colonne assolutiste erano i mariages politiques, le unioni tra casati reali, in grado di assicurare non solo una dinastia che avrebbe tramandato il vetusto sistema, ma anche alleanze politiche in grado di salvaguardare i confini del Paese; per un re in effetti, era meno dispendioso e più proficuo usare i propri figli per creare coalizioni, piuttosto che cominciare una guerra per contrastare l’ingerenza del nemico. L’Europa sovrana del XVIII secolo quindi faceva leva non solo sul principio monarchico, ma sul mantenimento dell’equilibrio e della conciliazione tra le potenze. Una delle più ardite sostenitrici del conservazione della stabilità realista attraverso le unioni politiche fu l’imperatrice Maria Teresa d’Austria (1717-1780), che diede nuovo vigore al motto Bella gerant alii, tu felix Austria nube, letteralmente: gli altri facciano le guerre, tu felice Austria sposati. Ella riuscì nell’intento di procurare ai propri figli titoli e troni di gran rilievo: imparentandosi con i grandi casati europei suggellava importanti affiliations in nome della ragion di Stato, sul cui altare era necessario immolarsi per il bene comune.

Lo stesso Luigi XV nel 1725 scelse per sé stesso come consorte Maria Leszczynska; la corte si meravigliò di tale preferenza, proprio perché non si addiceva al sovrano di Francia. Era alquanto insolito che egli intendesse sposare una principessa polacca caduta in disgrazia e certamente non appartenente all’aristocrazia in forza. Ma il re aveva visto oltre: quell’unione gli avrebbe garantito un giorno la pacifica annessione del ducato di Lorena, un territorio di grande valenza strategica. Anche quando nel 1769 il monarca francese acconsentì alle nozze tra il nipote Luigi Augusto, suo successore, e l’arciduchessa Maria Antonietta, stava rafforzando un’intesa ratificata nel 1756. L’altare veniva ancora una volta politicizzato per garantire la pace; uno scambio senz’altro accettabile se in gioco vi erano le sorti dell’assolutismo!

In questo tipo di unione i sentimenti rappresentavano una variabile trascurabile e non era necessario che i due futuri sposi si conoscessero o che addirittura si piacessero; nel più frequente dei casi già durante la loro infanzia, i ministri di entrambe le fazioni avevano già vagliato varie opzioni matrimoniali. Una volta centrato il giusto partito e se da entrambe le parti vi era l’assenso alle nozze, immediatamente partivano le trattative, come in una vera e propria negoziazione d’affari, al centro della quale vi era il passaggio di una principessa dal proprio casato ad uno straniero. Le donne d’alto rango dovevano quindi rassegnarsi a interpretare il ruolo di pedine, divenendo le prime ambasciatrici del loro Paese d’origine e il pegno per un duraturo armistizio; esse venivano preparate all’ingresso in una nuova corte, istruite alla cieca obbedienza verso il proprio marito e incitate ad essere servili e prolifiche, in modo da dimostrare che il regno d’adozione aveva fatto un buon “affare”! Una moglie sterile poteva infatti venire rispedita in terra natia, rischiando una spaccatura politica tra le corone interessate e quelle che le sostenevano. Una mossa sbagliata e, come in un domino, tutto sarebbe crollato.

Per far si che tra i due giovani sposi non vi fosse assoluta estraneità, si procedeva all’invio di medaglioni o ritratti, che spesso raffiguravano i soggetti nel loro profilo migliore. Si esibiva al meglio la propria “merce” per poi passare alla stesura di parecchie carte, tra le quali vi era la disposizione della dote, del corredo e infine del contratto matrimoniale. Definiti i minimi particolari di ogni singolo atto, veniva celebrato un matrimonio per procura, in modo che una volta valicati i confini della nuova patria, la sposa vi entrava già come consorte, quindi già investita di una nuova cittadinanza: non faceva un ingresso da straniera ma da principessa consorte: Elisabetta Farnese arrivò a Madrid come regina di Spagna, Maria Antonietta d’Austria entrò in Francia già come Dauphine, Maria Clotilde di Borbone giunse in Torino come principessa consorte di Savoia, e via dicendo. Una volta preso posto nella nuova corte, veniva celebrato il matrimonio vero e proprio tra due giovani sconosciuti; da quel momento la principessa aveva il dovere di assicurare una numerosa e robusta progenie al casato. Il tempo, severo e inarrestabile, avrebbe rivelato se le aspettative delle due fazioni sarebbero state disattese o appagate.

Nel XVIII secolo quindi la politica era anche questo, sacrificare la famiglia per il buon governo, porre lo Stato prima dell’essere umano, condannando quest’ultimo a perdere la propria libertà di scelta, di vita. Letto in tal modo, non appare poi così lontano dalla contemporaneità! Siamo noi ora, dunque, cittadini democratici e repubblicani, quei principi e quelle principesse alla mercé di un sovrano tiranno travestito da padre benevolo?

Bibliografia

BLOCH Marc, I re taumaturghi: studi sul carattere sovrannaturale attribuito alla potenza dei re particolarmente in Francia e in Inghilterra, Torino, Einaudi, 1973.

CRAVERI Benedetta, Amanti e Regine. Il potere delle donne, Milano, Mondolibri, 2006.

D’ARGENSON René-Louis, Mémoires du Marquis d’Argenson Ministre sous Louis XV, Bruxelles, Gallanar, 1825.

GOUBERT Pierre, L’ancien régime. La società. I poteri, trad.it., Milano, Jaca Book, 1987.

VIENNOT Eliane, La France, les femmes et le pouvoir. L’invention de la loi salique (V-XVI siècles), Paris, Perrin, 2006.

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