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Quando si accarezza l’idea di bere un vino il pensiero non può che andare al produttore che amorevolmente ne ha seguito i processi dalla vigna alla cantina, sino all’imbottigliamento, un pensiero veicolato e sorretto da un ricordo, purtroppo triste in questo caso, che affiora come un automatismo: la scomparsa di Domenico Clerico avvenuta lo scorso luglio.

È facile lasciarsi andare ad elogi che commemorano il ricordo di Domenico Clerico ma in effetti non ne aveva bisogno in vita e non ne ha certo bisogno adesso, non soltanto perché saprebbero fare bene quanti lo hanno conosciuto e quanti lo conoscevano benissimo, ma semplicemente perché, vista la sua esistenza, se li è guadagnati da soli, giorno dopo giorno, vivendo di lavoro onesto, di umiltà, di coerenza e di risultati concreti.

Nato da uve provenienti dai vigneti di Monforte d’Alba e Monchiero con viti di età variabile tra i 10 ed i 60 anni ed una resa che non supera mai i 50 quintali per ettaro, la vendemmia per ottenere il Visadì ha inizio verso metà settembre; una volta diraspate le uve fermentano grazie ad i lieviti indigeni in acciaio ed il mosto ottenuto resta in contatto sulle bucce anche per una settimana; il vino ottenuto infine matura in inox per 10 mesi.

Ossigenazione a bottiglia verticale per 60’ e successiva decantazione prima di versare in un calice Borgogna e degustato ad una temperatura di 18°.

Il Visadì Langhe Dolcetto Doc 2010 appare con un rosso granato di un’unica cupa compattezza e presenza di particelle in sospensione con archi e lacrime che tracciano geometrie di consistenza. Pot-pourri di viola e rosa, sentore quest’ultimo che si ripropone anche nella versione acquea e lignea, note da terra rossa ferrosa lo rendono uggioso ed austero all’esame olfattivo ma aprono la strada al sottobosco, poi confettura di visciola, la prugna sia essiccata che sotto spirito ed il suo etereo a veicolare tabacco nero, quello umido, e sottile scia di cumino, pepe e chiodi di garofano. Nonostante i dieci anni una beva ancora nervosa per una grande verve acida, un tannino di sottofondo ma non completamente disteso ed una buona sapidità. In retro-olfattiva tonalità agrumate verdi, conferma della frutta rossa e del tabacco con astringenze da teaflavina. Un Dolcetto trasversale, tuttavia austero ripeto, ma che avrà ancora da raccontare nei prossimi anni e magari in compagnia di un tagliolino di semola mantecato al testun ubriaco con tartufo nero.

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