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Donne e Islam
Donne e Islam

Nell’immaginario comune molto spesso l’associazione fra islam e sessualità appare inconciliabile, in particolare quando si tratta di sessualità al femminile. L’immagine della donna velata non solo sembra allontanare qualsiasi richiamo al sesso, ma a molti fa venire in mente una sorta di privazione o annullamento della sfera sensuale e di intimità nella coppia. In realtà il rapporto che i musulmani hanno col sesso è forse più sereno e privo di tabù di quanto lo sia per i cristiani.

Nel suo essere non solo testo religioso, ma anche vero e proprio manuale di vita, il Corano affronta anche questo argomento, dando consigli e suggerimenti proprio come fa riguardo al cibo, alle pratiche di comportamento sociale, alla pulizia personale ecc. E lo fa introducendo elementi anche biologici descrivendo, per esempio, le fasi che portano alla formazione del feto e alla sua crescita. In questo modo il sesso è visto come naturale elemento fisico, come componente essenziale dell’essere uomini e donne, e assume quasi un significato sacrale: l’unione della coppia fa parte di un percorso che conduce alla collettività. Questo aspetto introduce una prima sostanziale differenza fra cristianesimo e islam: mentre, infatti, nella tradizione cristiana il sesso è vissuto solitamente come qualcosa di peccaminoso, nell’islam viene esaltato come elemento naturale, connaturato alla fisicità umana e, di conseguenza, sono viste in modo negativo le pratiche volte alla mortificazione di tale fisicità, come l’ascetismo, l’astensione ecc. Il sesso nell’islam è principalmente fonte di gioia e momento di realizzazione della piena intimità e unione fra la coppia e da qui deriva una seconda differenza con il cristianesimo. Mentre, infatti, per quest’ultimo lo scopo finale del rapporto sessuale è la procreazione, l’islam accetta anche l’idea del sesso che non sia volto solo alla continuazione della specie, ma come fonte di piacere, felicità e divertimento per la coppia.

Tutto questo, sia ben chiaro, all’interno di un legale rapporto di matrimonio. Come il cristianesimo, infatti, nemmeno l’islam accetta l’idea del sesso al di fuori del vincolo matrimoniale e da questo possono derivare alcuni problemi di tipo sociale. Primo fra tutti il fatto che spesso ci si sposi molto giovani o dopo un periodo di fidanzamento molto breve, due elementi a volte motivo di incomprensioni durante la convivenza.

L’idea di voler “legalizzare” il sesso per sentirsi tranquilli dal punto di vista morale ha inoltre portato ad un aumento dei casi di matrimonio temporaneo, una pratica antica nella tradizione islamica e messa al bando da tempo in ambiente sunnita – anche se tuttora tollerata – ma rimasta largamente diffusa fra gli sciiti. In Egitto, dove i rapporti al di fuori del matrimonio sono sanzionati penalmente, moltissimi giovani, in particolare fra gli universitari, fanno ricorso al matrimonio così detto ‘orfi. In questo modo si evitano problemi con la giustizia e si può avere una normale vita sessuale senza dover aspettare il matrimonio legale, che richiede denaro e un lavoro per mantenere la famiglia.

Mentre però il matrimonio ‘orfi è una sorta di contratto a tempo fra parti consenzienti, di cui la ragazza stessa accetta i rischi e per cui non pretende forme di pagamento, in molti casi si arriva a fenomeni di vero e proprio mercato di giovani spose. In particolare i ricchi uomini provenienti dall’Arabia Saudita, o da altri paesi del Golfo, sono disposti a pagare cifre enormi per sposare povere ragazze giovanissime (meglio se ancora vergini) e trascorrere con loro i periodi di vacanza in Egitto o in altri paesi arabi. È così che in alcune misere zone della periferia del Cairo sorgono belle case costruite con il denaro dei matrimoni a tempo. Denaro che, in alcuni casi, potrebbe servire alla famiglia sia per pagare dispendiosi – quanto rischiosi – aborti clandestini, sia per ricomprare la verginità della ragazza (la costosa operazione di “riverginizzazione” è sempre più diffusa) in modo da rivenderla in seguito al riccone di turno.

Ovviamente tale commercio del corpo della donna non ha niente a che fare con la religione, usata come strumento improprio e giustificazione di pratiche abbiette. L’islam, infatti, pur riconoscendo all’uomo un ruolo preminente nella società (poiché, come nel cristianesimo, la donna è stata generata in seguito all’uomo) ammette che la sua piena realizzazione avviene solo attraverso la donna e la tradizione è ricca di figure femminili molto importanti e molto forti.

Nel mondo arabo esiste ancora oggi una visione della donna quasi di tipo “stilnovista”, una sorta di creatura angelica in cui trovare rifugio e conforto, anacronistica in una società come la nostra dove alle donne viene chiesto di essere non solo brave mogli, amanti e madri, ma anche lavoratrici competitive. Se, da una parte, questa idea conduce a quella di una donna dedita solamente al marito, alla casa e ai figli, dall’altro lato si può trovare in questa concezione un carattere di sensualità che forse in occidente è andato in parte perduto e che affonda le proprie radici in una ricchissima e antica tradizione letteraria, risalente all’epoca preislamica, in cui il tema dell’erotismo e della sensualità giocava un ruolo dominante. La continua esposizione in pubblico del corpo femminile, anche solo per la banale pubblicità di uno yogurt, ha portato in occidente ad una progressiva perdita di tale sensualità, del piacere della scoperta graduale e della incapacità di sedurre. Nonostante siano nascoste dagli abiti e, spesso, anche dal velo, le donne arabe hanno particolare cura del proprio aspetto, in particolare quello da mostrare solo nell’intimità. Centri estetici, parrucchieri e venditori di profumi non conoscono crisi e i negozi di lingerie sono numerosi e sempre strapieni. Fa un certo effetto in realtà vedere donne completamente ricoperte dal niqab nero sfogliare cataloghi di biancheria super sexy e scegliere fra pizzi, rasi e trine il modello preferito.
Il principio fondamentale, insomma, è quello di coprirsi agli occhi degli altri, ma rendersi il più possibile attraente e desiderabile per il proprio compagno, in un gioco di sensualità che forse l’occidente dovrebbe in parte riscoprire e recuperare.

Molte ragazze arabe oggi rifiutano questa concezione della donna e la considerano retrograda e di ostacolo alla propria emancipazione e libertà, preferendo affermarsi prima nel lavoro o nello studio. Nei paesi arabi, durante il periodo coloniale, la donna è stata usata quasi come mezzo per preservare la propria identità. L’unica arma per opporsi alla penetrazione dei costumi occidentali nella società era, infatti, quella di arroccarsi nella famiglia, di cui la madre era il baluardo per eccellenza. In questo modo la figura femminile ha finito col confondersi con quella di madre, riducendosi, in alcuni casi, quasi unicamente ad essa. Il rifiuto di tale concezione ha portato in alcuni casi a pensare che la liberazione della donna dovesse passare in buona parte attraverso una liberalizzazione dei costumi sessuali, ma l’idea di poter vivere flirt o storie occasionali si scontra con il forte rifiuto che la società oppone a tali pratiche. L’idea della verginità femminile è infatti talmente radicata da condizionare un possibile matrimonio.

Così molte ragazze, pur sognando una “vita sessuale di tipo occidentale”, restano in attesa dell’agognata unione legale, senza capire che la vera rivoluzione non consiste né nell’eliminazione del velo, né nel libertinaggio, piuttosto nella più interiore libertà culturale e di pensiero. Ci sono in Egitto ragazze che, pur indossando il velo e recitando le cinque preghiere canoniche ogni giorno, hanno deciso che la loro realizzazione personale deve essere nello studio e nel lavoro prima che nel matrimonio e altre che, pur non indossando il velo, vanno in giro in minigonna alla ricerca di un marito.
Probabilmente solo grazie alla mescolanza e alla mediazione fra le molteplici sfaccettature delle culture del nostro mare, sarà possibile trovare il giusto equilibrio per riscoprire le radici della tanto famosa sensualità mediterranea.

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