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Si chiama Peace, vent’anni compiuti a Cagliari, dopo un viaggio “difficile ma non impossibile”, parole sue. Parte da Benin city, una delle città più popolose della Nigeria (una metropoli di un milione e mezzo di abitanti). Parte sola, seguendo la via delle carovane del deserto fino alla Libia, dove rimane alcuni mesi. Terribili mesi in mezzo alla guerra civile ad aspettare un barcone per guadagnarsi una vita.

Peace Ogbebor odia la guerra e le armi, nomen omen. Non potrebbe essere altrimenti. Peace è la parola più usata dai ragazzi di vari paesi, nei dialoghi dal vivo o nei messaggi su whatsapp, non vogliono più sentire il rumore delle mitragliatrici.
La Libia le fa ancora paura, vorrebbe piangere durante l’intervista ma non si lascia andare, abituata a proteggersi anche dai suoi stessi sentimenti. La ragazza non si definisce coraggiosa ma scherza sulle difficoltà, con quell’aria sbruffona dei ventenni di tutto il mondo. Però ci tiene a sottolineare la sua profonda fede, “la mia forza deriva dal desiderio fortissimo di poter coltivare il dono che Dio ha voluto darmi”, ossia la sua splendida voce. Non c’è dubbio, c’è qualcosa di speciale in questa voce calda, che potrebbe ricordare Macy Gray, Tracy Chapman o le attempate coriste gospel che ogni tanto sentiamo cantare a natale nelle nostre città europee, con la differenza che a vent’anni è ancora tutto da scrivere.

Peace comincia presto. Inizia a coltivare questa passione a scuola e in chiesa. La sua famiglia, come molte altre in quella parte del paese e nella sua città d’origine, è cristiana. La Nigeria si divide quasi equamente in mussulmani di osservanza sunnita, e cristiani di decine di culti diversi.
La sua presenza nel coro è costante, la passione non demorde nonostante le difficoltà. Studia e si iscrive all’università ma le spese, ricorda Peace, “erano troppe per la mia famiglia, così cominciai a lavorare. Trovai un impiego in un’azienda tessile, usavo il telaio e cantavo”. Gli chiedo quali siano i suoi gusti musicali, se c’è qualche artista che ama particolarmente, oltre le sue amate christian songs. “Mi piacciono tante cose. Jhon Legend, Rihanna, Frank Edwards”. Non conosce artisti italiani o europei, non ha frequentato corsi o scuole di canto, segue il suo istinto.

Vuole cercare fortuna a Firenze, un posto come un altro per lei. L’importante è riuscire a farsi notare, cantare in una band. “Non rock band, non mi interessa”. E’ orientata al genere spiritual, ma non disdegna il pop o l’hip hop. Tante idee e molta confusione, generazione boh si direbbe in Italia. Una ragazza contemporanea che cerca di costruire la sua strada, avendo già affrontato molte prove, “difficili ma non impossibili”.

Ci sono tante storie da scoprire nel gruppo di ragazzi e ragazze che l’Associazione culturale Carovana Smi è riuscita ad unire nel progetto Navigare i confini. Un’occasione unica per incontrare persone di paesi e continenti diversi, spesso confuse in una massa anonima, genericamente stranieri. Peace parla un’altra lingua rispetto ad altri ragazzi nigeriani ospitati a Cagliari nelle diverse strutture di accoglienza, sarebbe meglio dire “parcheggiati” senza nessuna possibilità di costruire un futuro. Ogni persona è diversa, pensiamo siano uguali perché provenienti dalla stessa nazione, ma non è così. Se investiamo un po di tempo e intuito, scopriremo che ci sono storie e passioni che aspettano di essere vissute. Non si tratta di concedere un aiuto umanitario, ma concedere un’occasione da giocare in concorrenza con i ragazzi sardi ed italiani. Chi è bravo e vorrà impegnarsi avrà almeno avuto una chance di farcela, oppure no. Non tutti hanno un talento da coltivare, come noi d’altronde, ma provare è, o dovrebbe essere, un imperativo categorico.

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