Equilibrismi in musica
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I) In virtù della sua radicata tradizione musicale l’Italia continua ad esercitare un grande richiamo fra gli appassionati dello spettacolo musicale, oltre che fra coloro per i quali la musica costituisce la specifica attività professionale.
Non sempre l’Italia si mostra consapevole di questa sua preziosa risorsa.
In luoghi come alcuni piccoli centri dell’Emilia si resta ancora affascinati dalla profonda conoscenza della nostra tradizione operistica da parte di persone comuni che abitano nelle cosiddette “terre verdiane”. In quei luoghi si può vivere la magia di sentir cantare arie d’opera in circostanze ordinarie della vita quotidiana.
Il “mito” della nostra tradizione musicale è ricco di fascino per gli stranieri, disposti ad anni di formazione nel nostro Paese o entusiasti all’idea di poter assistere a rappresentazioni sinfoniche o operistiche nei nostri principali teatri.
Ecco, si vorrebbe che i pubblici poteri (la politica) non dimenticassero l’importanza della musica, e ne incoraggiassero anzi l’insegnamento fin dai primi anni di vita di ogni individuo.
La nostra tradizione culturale ha sin dall’antichità riconosciuto alla educazione musicale la capacità di favorire nel percorso formativo particolari qualità come la disciplina, la costanza, la sensibilità. Proprio in relazione a tali nobili finalità l’educazione musicale è presente negli ordinamenti scolastici di numerosi paesi d’Europa.
Può ricordarsi come già nella tradizione classica sia stata riconosciuta alla musica la singolare proprietà di suscitare curiosità e trasmettere emozioni e profondi stati d’animo.
Una materia quindi che costituisca un aspetto della vita capace di accompagnarci nel suo naturale scorrimento e di divenirne in certo modo parte integrante.
E’ ben noto il passo di Platone: “La musica e` una legge morale: essa da` un’anima all’universo, le ali al pensiero, uno slancio all’immaginazione, un fascino alla tristezza, un impulso alla gaiezza, e la vita a tutte le cose. Essa e` l’essenza dell’ordine ed eleva cio` che e` buono, giusto e bello, di cui essa e` la forma invisibile, ma tuttavia splendente, appassionata ed eterna.” Platone, Repubblica

II) Secondo la Costituzione (art. 9) “La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione.”
A tale principio costituzionale è stata data attuazione disponendo, tra l’altro, varie forme di interventi finanziari pubblici per i singoli ambiti e aspetti che costituiscono la nostra realtà “culturale”.
In periodi storici complessi come quello attuale dai pubblici poteri ci si attende una rivalutazione della cultura intesa quale bene comune, capace di fornire al singolo strumenti critici idonei a favorire un sano processo evolutivo della società.
In questi ultimi tempi, e in concomitanza con le imminenti elezioni, si moltiplicano le promesse, di questa o quella parte politica, di interventi contro il fenomeno della dispersione scolastica, di incentivi all’istruzione, di valorizzazione del patrimonio culturale identitario, di investimenti su scuola, istruzione e ricerca.
I buoni propositi e le promesse elargite non affrontano il problema alla radice.
Che cosa nel nostro Paese induce i giovani alla disaffezione verso cultura, istruzione ed acquisizione di competenze? Cosa li convince che acquisire sapere non sia un obiettivo vincente?
Il messaggio, che proviene anche dal mondo della “politica”, che non sono le competenze e la preparazione a determinare la possibile affermazione personale, a garantire un futuro lavorativo, che non sono i meriti ad essere premiati nell’attuale mondo del lavoro, che studio e sacrificio per l’acquisizione della conoscenza sono un faticoso ma spesso inutile investimento personale. Come è ben noto, prevalgono logiche di altra natura che determinano successi ed insuccessi. Logiche clientelari, partitiche, di appartenenza, convenienza, sudditanza.

III) Con specifico riferimento al settore musicale assistiamo al riproporsi di tentativi di riforma che derivano anche dalla constatazione che i contributi pubblici ad esso destinati si rivelano perennemente insufficienti.
E’ noto che l’intervento finanziario pubblico per sostenere lo spettacolo musicale in Italia si è rivelato indispensabile a motivo della impossibilità di sostegno autonomo del settore per lo squilibrio strutturale tra i costi di realizzazione degli spettacoli e i possibili ricavi.
E’ di questi giorni la notizia dell’ulteriore taglio dei fondi destinati al settore (il FUS, Fondo unico per lo spettacolo), ciò è evidentemente motivo di estrema preoccupazione per gli addetti al settore, come sono motivo di preoccupazione gli esempi di cattiva gestione di alcune delle più rilevanti istituzioni culturali.

Un teatro lirico vuoto
Un teatro lirico vuoto

Occorrerebbe forse una minore ingerenza della politica, una maggiore attenzione e valorizzazione di competenze specifiche e, come largamente prospettato, la responsabilità diretta per i manager chiamati a sovrintendere le Fondazioni lirico-sinfoniche.
Queste ultime, come è noto, sono il risultato di un processo di privatizzazione avvenuto con l’entrata in vigore del D.Lgs del 29 giugno 1996 n. 367 – Disposizioni per la trasformazione degli enti che operano nel settore musicale in Fondazioni di diritto privato – evidentemente realizzatosi in forma ibrida con la conseguenza che tali istituzioni musicali sono da taluni ritenute oggi sintesi degli aspetti peggiori del settore pubblico e del privato.
L’auspicio è quindi che dalla riforma delle Fondazioni lirico-sinfoniche possano derivare contenuti tanto attesi da chi opera nel settore: il riconoscimento e la tutela di figure professionali specifiche, un limite alle ingerenze della politica a favore della competenza specifica, un incremento delle agevolazioni fiscali per gli sponsor privati, responsabilità diretta dei manager riguardo agli esiti dell’operato gestionale ed una maggiore regolamentazione dei reclutamenti nel settore in base a merito e competenze.
I pubblici poteri provvedano quindi a tutelare una nuova minoranza, quella degli operatori del settore musicale nel nostro Paese, settore verso il quale si manifesta una attenzione marginale, mortificato e di cui si teme l’estinzione.

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