Iran il paese delle rose
Share

Articolo di Daniela Zini

Viaggiare è il più personale dei piaceri. (…)

con questa frase Vita Sackville-West introduce i suoi ricordi di viaggio in Persia.

“(…)
Hame-ye alam tanast va Iran del
Nist qaviyande zin qiyas khejel
(…)”

Nezami Ganjavi, Haft peykar

a
Meysam Ebadi, Fatemeh Barati, Kasra Sharafi, Mobina Ehterami, Kambiz Shoaee (Shojaii, Shojaee), Mohsen Imani, Mostafa Ghanian, Mehdi Karami, Sarvar Broumand, Fatemeh Rajabpour, Masoud Khosravi, Sohrab Arabi, Amir Hossein Toufanpour, Davood Sadri, Alireza Eftekhari, Behzad Mohajer, Fahimeh Salahshoor, Iman Namazi, Hossein Tahmasebi, Fatemeh Samsarian, Hossein Akhtarzand, Mohammad Nikzadi, Mohammad Asgari, Mohammad Hossein Barzegar, Naser Amirnejad, Kianoush Asa, Neda Agha Soltan, Kaveh Alipour, Ashkan Sohrabi, Bahman Jenabi, Masoud Hashemzade, Hamid Hossein Beig Araghi, Saeed Abbasi, Ali Fathalian, Abbas Disnad, Ramin Ramezani, Nader Naseri, Seyed Reza Tabatabai, Iman Hashemi, Mohsen Haddadi, Vahed Akbari, Abolfazl Abdollahi, Salar Tahmasebi, Farzad Jashni, Hamed Basharati, Babak Sepehr, Tina Soudi, Maryam Mehr Azin, Milad Yazdan Panah, Parisa Koli, Ali Shahedi, Sajjad Ghaed Rahmati, Shalir Khazra, Vahid Reza Tabatabai, Mahmoud Raisi Najafi, Moharram Chegini Gheshlaghi, Yaghoub Barvayeh, Mohammad Naderipour, Hamid Maddah Shourcheh, Ahmad Kargar Nedjati, Said Esmaeeli Khanbebin, Mehrdad Heydari, Arman Estakhri Pour, Amir Javadifar, Taraneh Mousavi, Mohammad Kamrani, Mostafa Kiarostami, Behzad Ghahremani, Hossein Akbari, Mohsen Roh-Ol-Amini, Ramin Ghahremani, Hassan Shapoori, Reza Fatahi, Milad (no surname), Morteza Salahshoor, Morad Aghasi, Mohsen Entezami, Pouya Maghsoud Beigi, Hadi Fallah Manesh, Jafar Barvayeh, Hadi Fallah Manesh, Jafar Barvayeh, Majid Kamali, Mohammad Javad Parandakh, Ramin Pourandarjani.
http://www.youtube.com/watch?v=-Fb7F94mhYM

V. La gioventù iraniana: una generazione in crisi tra impegno politico e paradisi artificiali.

Gli iraniani nati dopo la rivoluzione islamica cercano di fuggire un quotidiano difficile. Mentre alcuni si battono per il cambiamento, altri si rifugiano nella droga o evadono grazie a Internet.

Più di trenta anni dopo la rivoluzione iraniana, il regime, in nome dell’islam e della rivoluzione, impone tanti divieti ai giovani che questi non sanno più quello che sia permesso: ormai, la sola certezza che resta loro è che essere giovani sia un crimine e che il solo modo di vivere la loro età passi per la trasgressione delle leggi. In Iran più del 70% della popolazione ha meno di trenta anni, vale a dire è nata dopo la caduta del regime imperiale e non ha preso parte alla guerra Iran-Iraq, ciò che ne fa una delle più giovani del mondo. Istruita e politicizzata, particolarmente nelle classi medie e agiate, questa gioventù iraniana ha sete di cambiamento.
Come questa situazione è stata resa possibile?
Quali forme latenti di conflitto genera?
In quale misura favorisce lo sbocciare della rivolta?
Tali sono gli enjeux politici cruciali che questo reportage si propone di esplorare.

1. La rivoluzione divora i suoi figli

In certe culture, si utilizza, ancora, il termine “bocche inutili” per indicare i bambini. In queste culture, vale a dire, quelle in cui la povertà causa il disfacimento dell’unità familiare, conta che questa “bocca inutile” divenga, molto presto, un membro attivo.

L’Iran ha aderito, nel 1993, alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite, il 20 novembre 1989, con riserva che “le disposizioni della presente convenzione sono applicabili fintanto che non sono contrarie alle disposizioni del diritto musulmano e alle leggi interne”. Questa riserva è in contraddizione manifesta con la convenzione che precisa che “nessuna riserva incompatibile con l’oggetto e il fine della presente convenzione è autorizzata”. Gli abusi commessi, in seno alla famiglia, sono considerati “affari privati”, “affari di famiglia”, di cui si discute, raramente, in pubblico. Secondo l’UNICEF, l’abuso e lo sfruttamento dei bambini e le punizioni corporali, in famiglia e a scuola, sono comuni in Iran. Gli abusi, commessi nei confronti dei bambini, hanno luogo, dappertutto, in Iran, e possono prendere diverse forme, dalla violenza psichica alla violenza fisica, allo stupro da parte di membri della famiglia fino al matrimonio forzato e ai crimini di onore o ancora alla tratta di persone. Tuttavia, esistono poche informazioni disponibili sul modo in cui il governo iraniano tratti gli abusi commessi nei confronti dei bambini. Non esistono neppure statistiche ufficiali sull’argomento. Secondo l’US Department of State, nel maggio del 2010, il governo iraniano aveva denunciato circa 150mila casi di abusi perpetrati nei confronti di bambini, nei sei mesi precedenti. Sempre nel 2010, l’avvocata iraniana Nasrin Sotoudeh, attualmente detenuta nel carcere di Evin, aveva accusato il governo di non assolvere al proprio dovere di proteggere i bambini vittime di abusi. Secondo Nasrin Sotoudeh, le autorità giudiziarie non accordano, in effetti, che poca attenzione a questi maltrattamenti, perché i tribunali stimano che picchiare la propria moglie o i propri figli sia una “disputa familiare privata” ed evitano, dunque, di esaminare i casi nei dettagli. Nel sistema giuridico iraniano, basato sul diritto sciita, il diritto di famiglia non conosce i termini “potere parentale” né “autorità parentale”, nondimeno, la nozione esiste, sotto altri appellativi, quali hezanat e velayat. Questi concetti concernono, al tempo stesso, i diritti e i doveri dei genitori nei confronti dei loro figli. Dall’instaurazione della repubblica islamica, nel 1979, il sistema giuridico e penale è stato influenzato dalla shari’a, vale a dire dalla legge islamica. Questo radicale cambiamento politico ha comportato l’abbassamento dell’età della responsabilità penale all’età della pubertà religiosa, vale a dire a 9 anni per le bambine e a 15 anni per i bambini. Così, i bambini possono essere sottoposti a ogni punizione inflitta agli adulti. Al di fuori di rare strutture carcerarie, in alcune grandi città, i bambini sono detenuti con gli adulti.

Ameneh Bahrami
Ameneh Bahrami

La giovane iraniana Ameneh Bahrami, accecata e sfigurata con l’acido, ha perdonato al suo aggressore e rinunciato all’applicazione della legge del taglione secondo la quale questi avrebbe dovuto essere accecato.

Le cifre mostrano che vi è, attualmente, più di un milione di bambini iraniani che vivono in estrema povertà, più di mezzo milione, che vivono sotto la soglia dei 2 dollari al giorno, e un altro mezzo milione sotto la soglia di 1 dollaro al giorno.
Fenomeno nuovo, la comparsa di migliaia di bambini di strada e di fuggitivi che vagano intorno alle stazioni e ai terminals delle grandi città. Il gran numero di adolescenti in fuga contribuisce all’aumento della prostituzione e del traffico di schiavi sessuali in Iran. Fuggono di casa per evadere dalle costrizioni integraliste loro imposte, dai maltrattamenti e dalla tossicodipendenza dei loro genitori. Sfortunatamente, ricadono in nuove violenze e nello sfruttamento: il 90% di loro finisce nella spirale della prostituzione.
Il lavoro minorile è, egualmente, un flagello che colpisce ragazzi e ragazze al di sotto dei 18 anni. Tuttavia, l’art. 79 del codice del lavoro dispone che “l’impiego di persone con meno di 15 anni è vietato”. In virtù dell’art. 176 dello stesso codice, ogni datore di lavoro che impieghi un lavoratore con meno di 15 anni è passibile di una ammenda e, in caso di recidiva, di una pena detentiva. In altre leggi e regolamenti, quali l’art. 14 del codice di reclutamento nella pubblica amministrazione, l’art. 10 del regolamento di reclutamento a tempo determinato e l’art. 6 del regolamento di reclutamento nelle società anonime, l’età minima di ammissione all’impiego è fissata a 18 anni. Così, l’abolizione del lavoro dei bambini è riconosciuta nella legislazione nazionale.

2. Jeans, rock, sesso e internet

L’Iran è sconosciuto. E, tuttavia, costituisce, con la Cina, una delle più antiche entità politiche del mondo e lo Stato della regione che ha più vicini. Situato al crocevia del mondo arabo, della Turchia, dell’Asia Centrale e del Sub-Continente Indiano, e soggetto a molteplici influenze, l’Iran custodisce, gelosamente, la sua specificità e la sua indipendenza. E mantiene il suo mistero. Mal integrato nella società internazionale e poco desideroso di porvi rimedio, l’Iran è, nondimeno, indissociabile da tutte le grandi questioni che agitano la regione: il petrolio, l’Iraq, il nucleare, l’Afghanistan, l’Israele, l’attivismo islamico. L’America se ne inquieta, l’Europa anche. Ovunque, ci si chiede cosa voglia lo Stato islamico iraniano.
Un’altra grande incognita: gli stessi iraniani.
Chi sono?
Quali sono i loro valori e le loro aspirazioni?
Oggi, tutto è ripiombato nel buio e nella paura. Due anni e mezzo dopo la rivoluzione verde, dopo gli arresti, le torture, gli stupri, le esecuzioni, in breve, dopo la sanguinosa repressione che ha seguito le elezioni truccate di Mahmud Ahmadinejad, gli iraniani sono precipitati in una profonda depressione. E la situazione economica si è aggravata.
Nelle grandi città come Tehran, l’Occidente affascina, intriga, suscita una curiosità, appena velata, in presenza dello straniero. Il desiderio di porre domande è onnipresente. La gioventù iraniana ostenta un look ispirato, direttamente, alle stars americane ed europee. Look che stride, severamente, con l’immagine caricaturale, che si ha dell’Iran in Occidente: in un mondo caratterizzato dai divieti, questa gioventù è divenuta maestra nell’arte di flirtare con i limiti. Sono, infatti, i giovani delle classi medie, che giocano, non senza rischi, al gatto e al topo con il regime video 1, video 2, video 3, video 4. La vita nelle strade di Tehran è ben lontana dai clichés. Soprannominata “la capitale mondiale della chirurgia estetica”, alludendo all’ossessione “del naso piccolo”, Tehran è popolata da una gioventù che non ha nessuna intenzione di restare “discreta”. Respingendo i limiti del codice di abbigliamento islamico, le ragazze portano foulards che coprono appena una ciocca di capelli e combinaisons così attillate da lasciare poco spazio all’immaginazione. Certe periferie di Tehran, dove sfilano ragazze senza velo e ragazzi con il taglio di capelli all’occidentale e le sopracciglia depilate, prendono, addirittura, l’aspetto di metropoli occidentali. Ma le forze dell’ordine vegliano.

“Nell’impossibilità di esprimere il loro disaccordo politico, i giovani partecipano a una rivoluzione autoproclamata, nella quale utilizzano il proprio corpo per fare dichiarazioni sociali e politiche. Le relazioni sessuali sono divenute, al tempo stesso, una fonte di libertà e un atto di ribellione politica.”,
scrive Pardis Mahdavi, nel suo libro pubblicato, nel 2009, dal titolo Passionate Uprisings: Iran’s Sexual Revolution. Per far fronte a questa tendenza, il governo ha incoraggiato il siqeh, il matrimonio temporaneo, autorizzato dall’islam sciita, che ha una durata oscillante tra un’ora e novantanove anni. L’uomo può contrarre tanti matrimoni temporanei simultanei quanti ne desidera e scinderli quando crede. La donna no. Le donne iraniane sono dipendenti economicamente e il loro unico mezzo di sussistenza è essere maritate. Quelle che non lo sono più, dopo un divorzio o un ripudio, possono cercare di divenire seconde, terze o quarte mogli, una sorta di bonnes senza salario, alloggiate e magramente nutrite. Altre cadono nel circuito del siqeh, se hanno attrattive fisiche.
Questa ribellione sessuale ha, sfortunatamente, contribuito ad accrescere i casi di AIDS, di MST e a moltiplicare gli aborti. Nel 2009, il presidente del Centro Iraniano di Ricerca sull’HIV e sull’AIDS aveva riferito che era stata rilevata la più alta incidenza di AIDS tra i 25 e i 29 anni.
Le contraffazioni di marche occidentali abbondano, i fast-foods si ispirano nei loro menù ai burgers dello Zio Sam e le pizzerie iraniane non hanno nulla da invidiare a quelle della Little Italy. I più giovani, che tirano calci a un pallone nelle strade, indossano, frequentemente, le maglie dei grandi clubs europei, quali il Chelsea, il Barcelona o il Manchester. A ciò si aggiunge la possibilità di guardare la televisione occidentale, grazie a un’antenna satellitare, e di scaricare musica e films da internet. L’Iran è una delle società del mondo che si interessa di più alle nuove tecnologie. Il numero di internauti è stimato a 28 milioni, principalmente giovani. Si contano, egualmente, tra i 60mila e i 110mila blogs, maggioritariamente tenuti da giovani, una delle cifre più elevate nel Medio Oriente.
Oggi, non è raro osservare giovani coppie tenersi la mano nei parchi o sulle rive dei corsi d’acqua. Percorrendo i quartieri agiati di Tehran, il viaggiatore scopre un’altra forma di resistenza: le moschee deserte. Anche nei giorni di preghiera, accolgono tutt’al più qualche anziano credente, mentre i giovani sfrecciano sui loro motorini. Ma l’atto dissidente più radicale resta la conversione allo zoroastrismo o al cristianesimo. Anche se il numero esatto di convertiti resta ignoto, gli osservatori più prudenti riferiscono il caso di migliaia di iraniani, in maggioranza giovani. In risposta, il regime ha reintrodotto la pena di morte per apostasia, vale a dire abiura dell’islam.

L’Occidente fa sognare, ma, attenzione, a non trarre conclusioni troppo affrettate. Se la cultura occidentale moderna e, più ancora, l’ipotesi di un eventuale visto per gli Stati Uniti continuano a esercitare l’immaginario, un’attrattiva per le libertà individuali dell’Europa o di oltre-Atlantico non si accompagna, sistematicamente, a un filo-americanismo in materia di politica. Ciò costituisce un punto interessante: mentre le opinioni pubbliche occidentali si immaginano una popolazione iraniana, sprofondata nell’oscurantismo come i suoi leaders, questa stessa popolazione si dimostra capace di dissociare governo e popolazione, quando si interroga sulle sue opinioni riguardo all’Occidente. Tuttavia, per questa gioventù imbrigliata nelle sue aspirazioni, si deve ben realizzare che la politica internazionale è un “affare” di ordine, totalmente, secondario: i più favoriti non si fanno illusioni sulla natura del regime e aspirano, innanzitutto, a lasciare il Paese, mentre i più sfavoriti si preoccupano, innanzitutto, di avere, quotidianamente, cibo a sufficienza. Infine, la gioventù iraniana non sembra ostile nei riguardi dell’Occidente, al contrario. Anche tra quelli che difendono il regime, è palese che il discorso è, squisitamente, retorico e non risponde in nulla a una vera obbedienza ideologica, ma piuttosto alla salvaguardia di un interesse personale. Ed è del tutto possibile che questo discorso si tenga intorno a un fast-food all’americana con una Zam Zam Cola sul tavolo e il fondo sonoro di un CD, che rimanda le note degli ultimi successi di Lady Gaga o di Britney Spears. È, così, per numerosi basiji, che difendono la loro posizione per i vantaggi che questa apporta loro: salario, potere, facilitazioni per accedere all’università, servizio militare ridotto. Senza contare i più sprovveduti che sono portati con corriere in cambio di un sandwich e di una piccola somma di danaro.
L’impatto dei baby-boomers, nati negli anni 1980, inizia, appena, a farsi sentire. I ventenni, giocheranno un ruolo sempre più importante nell’orientamento – e, forse, nel ri-orientamento – del programma politico, economico e sociale dell’Iran nel corso dei prossimi venticinque anni. Come il resto della popolazione, una percentuale importante della gioventù sostiene l’Iran nel suo progetto di fare dell’energia nucleare uno dei principali pilastri del suo sviluppo economico e del suo avvenire.

Fin dal rovesciamento, nel 1953, del primo ministro Mohammad Mossadeq, la gioventù iraniana è, politicamente, impegnata. L’uccisione da parte della polizia di tre studenti dell’università di Tehran, Nasser Qandchi (Jebhe-ye Melli) e di Mehdi Shari’at-Razavi e Mostafa Bozorg-Nia, (Hezb-e Tudeh), il 7 dicembre di quello stesso anno (16 azar 1332), durante le manifestazioni, violentemente represse, contro la visita del vice-presidente americano Richard Nixon, per sostenere lo shah, quattro mesi dopo l’Operazione AJAX, condotta dalla CIA e dall’MI5 – è, tuttora, commemorata nella Giornata Nazionale dello Studente. I giovani hanno, egualmente, svolto un ruolo chiave nella rivoluzione del 1979. Oggi, il loro numero è la loro forza. Il baby-boom, che ha seguito la rivoluzione, ha, praticamente, raddoppiato la popolazione, facendola passare da 34 a 62 milioni di abitanti, in dieci anni. L’Iran è uno dei Paesi più giovani del mondo. Questa esplosione demografica, che ha cambiato le carte da un triplo punto di vista politico, economico e sociale, costituisce una delle più grandi minacce per lo statu quo del regime islamico. Negli anni 1980, gli under 20 hanno formato il grosso delle truppe nella guerra di otto anni contro l’Iraq: volontari di appena 10-12 anni, arruolati nella milizia dei basiji, servivano anche a “ripulire” i campi di mine. Il 21 settembre 2010, l’Iran ha firmato il Protocollo Opzionale alla Convenzione Internazionale sui Diritti dell’Infanzia, relativo al coinvolgimento dei bambini nei conflitti armati. Negli anni 1990, i giovani iraniani hanno iniziato a reclamare il loro dovuto nei campi politico, economico e sociale. Nel 1997, hanno contribuito a fare eleggere il presidente riformista Mohammad Khatami. Ma, davanti all’incapacità di questi nel prendere l’iniziativa del cambiamento, hanno fatto marcia indietro e hanno boicottato l’elezione presidenziale del 2005, ciò che è stato determinante nella vittoria dell’ultraconservatore Mahmud Ahmadinejad. E il loro ritorno alle urne, nelle elezioni del 2009, ha avuto una profonda influenza sulla politica iraniana. Il voto dei giovani è sempre più decisivo. Dopo la rivoluzione, l’età legale del diritto di voto era stata abbassata a 15 anni, ma, quando i teocrati si sono resi conto del potere politico della nuova generazione, è stata elevata a 16 e, poi, a 18 anni.

Effetti della droga3. Disoccupazione, alcol, droga, prostituzione e suicidio

Trenta anni dopo la rivoluzione islamica, la gioventù iraniana si trova di fronte ad un numero crescente di problemi, che nutrono la contestazione. Innanzitutto, la politica economica del governo non genera che 300 mila posti di lavoro all’anno, quando ne occorrerebbe un milione. Dal 1990, la disoccupazione è, praticamente, raddoppiata tra le fila della gioventù. E la stessa disoccupazione genera una serie di altri mali, quali il consumo di alcol e di droga, la prostituzione, le fughe, i matrimoni precoci – che portano, inevitabilmente, al divorzio –, l’agitazione sociale e l’esodo delle classi istruite all’estero. Secondo il Fondo Monetario Internazionale, l’Iran conosce una fuga di cervelli tra le più importanti al mondo. Quelli che restano, in Iran, si compiacciono di una doppia vita. L’una in uno spazio pubblico, dove le libertà di espressione e di azione si assottigliano, di giorno in giorno; l’altra nella sfera privata protettrice. Una volta varcata la soglia di casa, ci si toglie il velo, si accende la televisione satellitare e si beve vodka, comperata al mercato nero. A causa di una penuria di posti di lavoro e di una ancora più grave penuria di alloggi, il numero dei singles, tra i 20 e i 29 anni, è raddoppiato rispetto alla generazione precedente. I tre quarti vivono nella casa dei genitori, perché non hanno mezzi per sopperire ai propri bisogni e ancora meno per affrontare le spese di un matrimonio, che diviene inaccessibile, mentre i contatti tra i giovani dei due sessi sono, ufficialmente, vietati. Resta che questa regola è, largamente, ignorata nell’intimità delle case. In terra di islam e nei Paesi occidentali a forte popolazione musulmana, non si scherza con la verginità. Nonostante un tabù che perdura, sempre più donne iraniane perdono, oggi, la loro verginità prima del matrimonio, una “onta” che può essere aggirata con la chirurgia. Le mentalità in Iran hanno molto evoluto dalla rivoluzione, ma i rapporti sessuali prematrimoniali restano un soggetto tabù, almeno in pubblico. Benché il governo imponga leggi islamiche draconiane per limitarli, molti giovani “passano oltre”, con grande costernazione dei religiosi sciiti. Un sondaggio realizzato, nel 2010, dall’Organizzazione Nazionale dei Giovani dell’Iran rivelava che il 55% dei 7 mila giovani – maschi e femmine – intervistati avevano avuto rapporti sessuali prima del matrimonio. Secondo esperti indipendenti, la percentuale reale potrebbe, anche, essere più elevata. Tuttavia, se le relazioni sessuali pre-matrimoniali non sono più un tabù come prima, in particolare per gli uomini, la tradizione vuole che le donne siano vergini il giorno del matrimonio. Anche se non esiste una legge che imponga una prova della verginità come condizione preliminare al matrimonio, i costumi sono profondamente radicati nella società iraniana.

È ancora, comunemente, ammesso in Iran che un uomo possa esigere che la sua futura sposa sia vergine e annullare il matrimonio se non lo sia. In altri tempi, un lenzuolo imbrattato di sangue era prodotto, dopo la notte di nozze, come prova che l’imene era intatto, ma, ai nostri giorni, molti uomini e la loro famiglia domandano prima un “certificato di verginità”. È facile procurarsi dei tests di verginità da un ginecologo o dai servizi medico-legali. Lo sfasamento tra i costumi della società iraniana e la permissività crescente della vita privata ha generato un aumento della domanda di imenoplastiche, vale a dire di interventi di ricostruzione dell’imene. Le cliniche private di Tehran accettano, generalmente, di praticare questi interventi, anche se non sono, ufficialmente, autorizzate. Nonostante l’assenza di statistiche, si osserva, in questi ultimi anni, una crescita del mercato dell’imenoplastica. Secondo l’ubicazione della clinica e la reputazione del chirurgo, il costo di una imenoplastica oscilla dai 200 ai 500 dollari, a Tehran. E quello di un intervento al laser per cancellare le cicatrici può salire fino a 2mila dollari. Anche se queste pratiche sono considerate fraudolente, sono così diffuse che gli arbitri morali dell’Iran, gli ayatollah si sono sentiti obbligati di regolamentarle. Quattro anni fa, l’ayatollah Mohammad Sadeq Ruhani, un religioso conservatore ma dallo spirito indipendente, aveva emesso una fatwa per legalizzare l’imenoplastica per le donne che avevano perduto la propria verginità.
“Non vi è differenza tra un imene vero e uno falso.”
sostiene.

La severa restrizione delle relazioni individuali ha generato una cultura sociale clandestina, nonostante le onerose ammende inflitte ai contravventori. Il consumo di alcol e il ballo sono passibili di arresto da parte della polizia dei costumi e di settanta frustate.
In Iran, i problemi sociali e psicologici generano una grandissima domanda di droga. E, sfortunatamente, il consumo non si limita a una sola classe sociale. Né alle grandi città. Corollario dell’impoverimento generale, è dappertutto.
Dappertutto!

Scena dal film KhunbaziScena dal film Khunbazi (Mainline) di Rakhshan Bani E’temad e Mohsen Abdolvahab (2006)

I cineasti Rakhshan Bani E’temad e Mohsen Abdolvahab danno, nel film Khunbazi (Mainline) il ritratto di una società che deve lottare contro un flagello, che tocca tutte la categorie sociali e distrugge le relazioni sociali e familiari. Sara è una ragazza iraniana di venti anni che vive con sua madre nella megalopoli, Tehran. È fidanzata con uno studente iraniano, che termina s suoi studi a Toronto. Il loro matrimonio deve essere celebrato qualche settimana più tardi. Sara si droga e deve curarsi perché il matrimonio possa aver luogo, senza che il futuro marito si accorga della sua dipendenza. Sua madre decide di portare sua figlia in una clinica sulle rive del Mar Caspio.

Naturalmente, i più poveri sono i più toccati. Laboratori clandestini fabbricano ogni sorta di “porcheria”. La vita è meno cara e il prezzo dei “prodotti” è, decisamente, imbattibile: se la cocaina è riservata ai ricchi, un grammo di oppio si tratta per circa 10 dollari e l’eroina, anche per meno. Se si fa attenzione, con un pò di danaro, siringhe, regolarmente, cambiate, si può vivere dieci, venti anni, “bucandosi” con l’eroina. I medici vedono, ora, affluire giovani di buona famiglia distrutti dalla shisheh, versione iraniana della metanfetamina, una droga sintetica altamente tossica, il veleno “che rende folli” e uccide in meno di un anno. Nelle classi sociali agiate è divenuto un flagello. Nei parchi pubblici di Tehran, i giardinieri spazzano, tutte le mattine, non foglie morte, ma vittime di overdose o prostitute che vendono il proprio corpo per una dose. Un paesaggio apocalittico nel Parco Haft-e Tir, nel sud di Tehran: un suolo coperto di siringhe usate e di drogati fatti su tutte le panchine, le guance scavate, la bocca aperta, gli occhi strabuzzati. Il modo di consumo più corrente è khunbazi, gioco di sangue: ci si inietta una dose, si tira il sangue dalla stessa vena per reiniettarselo immediatamente. Secondo due giovani drogati interrogati, l’effetto è garantito.

“Non hai lavoro, non hai famiglia, non hai distrazione. Per qualche ora, almeno, dimentichi tutto.”
Ufficialmente, i trafficanti di droghe sono impiccati in Iran, ma per molti iraniani, le droghe sono talmente facili da procurarsi che è impossibile che il governo dei mollah non vi sia coinvolto. È, egualmente, sorprendente che i costi cadano a ogni contestazione massiva del popolo.
La droga è una delle leve nelle mani degli ayatollah per far tacere il popolo e contenere le proteste?
L’Iran utilizza l’oppio da secoli. L’oppio è stato vietato, nel 1955, ma, dalla rivoluzione, si constata un aumento del consumo e del volume di droga in circolazione, in particolare tra i giovani e le donne. Le statistiche variano, considerevolmente, secondo le fonti, perché da più di due anni, tutti gli istituti di statistica sono stati chiusi e i sociologi imprigionati, al pari dei giornalisti, degli studenti, dei bloggers. Secondo l’Ufficio dell’ONU per il Controllo della Droga e la Prevenzione del Crimine, l’Iran ha uno dei tassi di consumo più elevati al mondo. Il 20% degli iraniani dai 15 ai 60 anni fa uso di droghe e il 16% di eroina. L’Iran consuma grandi quantità di oppio non raffinato: il 42% del totale mondiale. Circa il 10% dei drogati sono donne, che devono, immancabilmente, prostituirsi per procurarsi la loro dose di eroina o di crack. La vicinanza dell’Iran all’Afghanistan favorisce il traffico, attraverso la frontiera mal controllata, che separa i due Paesi per 960 chilometri. Tra il 1996 e il 2008, i sequestri in Iran hanno rappresentato più dei due terzi del volume mondiale.
L’Iran detiene, anche, il tasso più elevato, nel mondo, di suicidi in rapporto alla popolazione, in particolare tra le donne e gli adolescenti. È cresciuto del 17%, in due anni. Ogni giorno, mediamente, 10 iraniani decidono di finirla. Secondo i dati iraniani, la scelta dei metodi di suicidio differisce tra uomini e donne. Gli iraniani, in generale, si impiccano o utilizzano una iniezione letale, mentre le iraniane si impasticcano o si immolano con il fuoco.
Nel Paese di tutti i divieti, dove l’omosessualità è bandita e punita, perfino, con la morte, in caso di recidiva, lo Stato autorizza e finanzia il cambiamento di sesso di uomini e donne, permettendo ai transessuali di trovare, a certe condizioni, una identità.
Ma solo per meglio “normalizzarli”!

Gli umani troveranno sempre più ragioni per dividersi che ragioni per unirsi!
Una nuova terribile guerra si prepara sotto i nostri occhi. Il ritmo si accelera, progressivamente, nei discorsi tenuti dai nostri leaders, come nelle parole vuote della nostra stampa.
Sempre più ragioni per giustificare un attacco all’Iran!
Le modalità sono familiari al punto che danno la nausea. Non è sorprendente che il leader impopolare dell’Iran non sia riuscito a calmare le tensioni crescenti. Tristemente, non è più visionario né più pacificatore dei nostri leaders.
Io credo che ogni speranza di pace debba ora venire, non dai dirigenti politici, ma dalla saggezza, dal cuore e dall’azione delle genti.
Da noi tutti.

Io ho cercato di presentarvi l’Iran da un’angolazione diversa da quella proposta dalla nostra stampa – con uno sguardo alle famiglie, che somigliano molto alle nostre famiglie, alle persone, il cui desiderio più profondo, proprio come il nostro, è di offrire un avvenire di pace ai propri figli.
Sono i bambini che soffrono più la guerra.
Io ho ricevuto in dono per il mio compleanno una collezione straordinaria di disegni di bambini iraniani. Ho il sentimento che i bambini riescano a esprimere, con emozione ed eloquenza, un desiderio universale di pace, di relazioni armoniose e amicali con gli Altri, in tutto il mondo, e con la preziosa Terra che noi condividiamo.

Può risultare difficile agli americani comprendere le parole di bambini, la cui lingua è poco familiare, ma forse queste immagini potrebbero parlare a tutti noi.
Vi sono Paesi che muoiono giovani o si arrestano giovani: tutto ciò che segue al loro periodo di vigore riguarda la sopravvivenza o la resurrezione.
L’Iran non si è mai ripreso dalle estenuanti fatiche delle sue avventure imperiali. E, solo ora, iniziamo a comprendere ciò che in questo Paese commuove e, a volte, sconvolge: in contatto diretto con la realtà, il peso bruto dell’oggetto, l’emozione o la sensazione forte e semplice, antica e sempre nuova, dura o dolce come la scorza o come la polpa di un frutto. Questa terra così celebrata è, meravigliosamente, immune da artifici letterari; lo stesso preziosismo di certi suoi Poeti non la tocca. Questa terra, da cui sono scaturiti tanti capolavori, non viene sentita come l’Italia, subito patria privilegiata delle arti, ma vi pulsa la vita come il sangue in un’arteria.
Poche regioni sono state più devastate dal furore delle guerre di religione, di razza e di classe; sopportiamo il ricordo di tanti furori inespiabili solo perché qui ci appaiono più nudi, più spontanei e meno ipocriti che altrove, quasi innocenti nel confessare il piacere che prova l’uomo a fare del male all’uomo.

Non vi è Paese più dominato da una religione possente, che favorisce, il più delle volte, la bigotteria e l’intolleranza, ma non vi è neppure Paese, ove si senta di più, sotto il broccato delle devozioni o sotto la pietra dei dogmi, sorgere il fervore umano. Non vi è Paese più legato, ma anche nessuno più libero, da questa rudimentale e suprema libertà fatta di privazione, di povertà, di indifferenza, del gusto di vivere e del disprezzo di morire.
Un popolo si conosce dalla sua Storia. Queste pagine dedicate alla Storia dell’Iran nascono dalla profonda gratitudine per un Uomo, il cui destino si identificò con quello del suo Paese. In balia degli eventi cercava il suo momento e il suo luogo. Cercava di affermarsi nel suo presente, appassionatamente e violentemente.
L’Iran è stato il nostro luogo di incontro.
Far conoscere il significato universale degli eventi disastrosi della sua Storia è un debito verso di Lui e verso il suo Paese.
Se tali eventi sono stati pagati, con la sofferenza, da parte di chi li ha subiti, gli insegnamenti, che se ne traggono, appartengono al mondo intero.
Colui che usurpa la libertà degli Altri è il primo a perdere la propria e a divenire schiavo.

Leave a comment.