“Sono la tenerezza e il nutrimento materno che portano alla formazione dell’uomo maturo”
Al-Tabari (X secolo)
Nelle società di tipo patriarcale e patrilineare del Maghreb, le donne sono escluse dall’appartenenza genealogica alla grande famiglia maschile, nella quale conta solamente la componente maschile. L’unica ragione di essere delle donne è la loro fecondità che permette di fare crescere la comunità familiare dando alla luce uomini che garantiscono potere economico, militare e politico. La funzione femminile primordiale è dunque la maternità. Molte delle società mediterranee hanno condiviso nel passato le stesse rappresentazioni legate a questo sistema patriarcale, rappresentazioni che stabilivano un’analogia tra fecondità femminile e fertilità della terra come modello di processo cumulativo al fondamento d’ogni crescita, d’ogni sviluppo, che potremmo sintetizzare con l’immagine di “granai pieni e ventri pieni che garantiscono la vita”.
Tuttavia, se nelle società del Mediterraneo settentrionale, da tempo e sotto la pressione di numerosi mutamenti, la fecondità femminile non ha più questo ruolo fondamentale, nel Maghreb invece il ruolo materno rimane a tutt’oggi, per le donne, di prima importanza in quanto tutte le istituzioni ed i sistemi di valore lo prescrivono. Il ruolo materno oltre ad essere fortemente sacralizzato dalla religione, ha anche forza di legge nei diritti degli stati (nei codici di statuto personale dell’Algeria e del Marocco) ed infine, domina ancora tutte le rappresentazioni della società e tutti i comportamenti, oggi soprattutto degli uomini più che delle donne, che s’impegnano sempre più numerose per ottenere la loro emancipazione. Nelle società maghrebine dunque, la madre sembra ancora l’unica immagine femminile possibile e la procreazione è a tuttora considerata come l’unica vocazione femminile, fino al punto che una donna sterile si ritrova quasi senza esistenza sociale.
L’esame delle rappresentazioni patriarcali dei rapporti fra uomini e donne nel Maghreb, tuttavia, rivela che, per una tale società, il ruolo della genitrice, anche se indispensabile, è passivo. Le donne, come la terra, sono solo un contenitore del seme maschile che, come i semi dati alla terra, cresce in un ambiente favorevole alla sua maturazione, ma senza che quest’ambiente abbia qualche attività o influenza, senza che la gestazione sia portatrice di qualsiasi elemento, visto che lo sviluppo del feto è imputabile esclusivamente a Dio. La gestazione non è dunque sufficiente per qualificare la maternità, resa evidente dall’attività biologica che segue la nascita del bambino: l’allattamento del bambino da parte della madre è l’attività di nutrice che rende l’atto materno essenziale trasmettitore di ricchezza biologica, dell’ordine della natura. D’altronde è la stessa religione musulmana a prescrivere l’allattamento.Numerose sono le rappresentazioni dell’importanza data all’allattamento, da cui si capisce che nutrire il proprio figlio col proprio latte costituisce l’atto necessario e sufficiente alla maternità. Tante espressioni culturali maghrebine fanno pensare ciò. Se è apparso, dunque, possibile negare un qualche ruolo attivo femminile durante la gravidanza, dove non si vede nessun elemento trasmesso da madre a figlio, non si può dire lo stesso per l’allattamento dove la secrezione di latte e l’assunzione del latte da parte del bambino è visibile, evidente. Possiamo dedurre che solo l’allattamento è considerato atto a creare un legame biologico fra la madre ed il bambino, tanto indiscutibile che la società deve recepirlo: il latte materno stabilisce una sorta di filiazione dell’ordine della natura, materna, a lato della filiazione sociale rigorosamente maschile e che esclude le donne. Questa superiorità della funzione nutritiva sulla funzione genitrice si esprime anche nella letteratura orale di questa area geografica e nemmeno i diritti degli Stati tralasciano l’argomento. Nel codice civile algerino, per esempio, l’allattamento figura al terzo posto dei doveri della donna sposata dopo la preservazione della propria persona e della propria virtù; l’ubbidienza al proprio marito, ma prima della cura per il buon funzionamento della casa e dell’onore dovuto ai genitori e ai vicini del marito. Inoltre, in caso di divorzio, il bambino, che appartiene alla famiglia paterna e deve raggiungerla al più presto possibile, è, di solito, lasciato alla madre almeno il tempo dell’allattamento.
Carattere assolutamente indispensabile e prezioso nella relazione madre-bambino, nei primi mesi di vita, l’allattamento stabilisce una relazione simbiotica molto forte tra madre e bambino. L’abitudine della madre di portare il proprio bambino in quasi tutte le sue occupazioni (di solito sulla schiena grazie ad un pezzo di tela annodato sul davanti) mette il bambino a portata del seno materno, a sua costante disposizione, senza alcuna restrizione. Così è assicurata la soddisfazione quasi immediata del bambino in un allattamento spesso lungo, fino alla gravidanza successiva, cioè due anni in media ma a volte tre o quattro anni. In questo corpo a corpo stretto e prolungato, madre e bambino sono felici; la madre soprattutto quando il bambino è maschio, innanzitutto perché le garantisce stabilità nella grande famiglia patrilineare comunitaria che l’ha accettata con quell’obiettivo, e perché le consente un investimento affettivo massimale. Questa rappresentazione mette l’accento sull’intimità, la forza, la durata del rapporto corpo a corpo madre-figlio, tuttavia solo il latte figura come l’elemento che è trasmesso dalla madre al bambino, come l’intimo biologico della madre. Per quanto riguarda il bambino, è felice perché tutte le frustrazioni gli sono evitate. Considerate le condizioni di simbiosi madre-bambino durante i primi anni di vita, non deve sorprendere che in quest’area geografica sia stata osservata una bassa frequenza di psicosi infantili. Questo primo legame alla madre rimane per il giovane ragazzo il modello di tutte le relazioni possibili con una donna, fattore che avrà conseguenze pesanti per gli uomini che rimangono, per tutta la vita, “figli prima di tutto”. Si è constatato anche un allattamento più breve per le bambine, i cui bisogni sono considerati meno importanti rispetto a quelli dei maschi.
Fonti:
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