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Di Gianfranco Cordì

In questo suo Scomposizioni. Forme dell’individuo moderno (Il Mulino, Bologna, 2018), Remo Bodei muove dalle multiformi scomposizioni della contraddizione per portare alla luce dei temi che confliggono con altri temi inseriti in un quadro d’insieme che forse tiene.

O per meglio dire: Bodei si muove sul terreno delle asserzioni che prese singolarmente darebbero il principio di identità ma che, se messe a contatto l’una con l’altra, producono il principio di non contraddizione. O per meglio dire ancora: esiste una specie di spazio che separa l’oggettivo dal soggettivo (che, poi, in fin dei conti questo sarebbe come dire: il mondo esterno con l’interiorità) e questo spazio è indagato nella sua caratteristica di essere orlo (come già Kant sapeva) di un incontro che può rivelarsi uno scontro o una contaminazione. Alla fine siamo alle prese con singole scomposizioni anche delle scomposizioni stesse: in un impeto decostruttivo che coinvolge autori e temi, argomenti e scuole di pensiero, epoche storiche e dilemmi interiori che trascinano la tesi assertoria presa in esame: sia da sola che in relazione alla sua opposta.

Ma non è che poi, procedendo in questo modo, non si arrivi a nulla. O meglio: questa frase potrebbe essere meglio posta in forma interrogativa: procedendo così non si arriva a nulla? No. Le cose non stanno proprio in questo modo! Si arriva, invece, a qualche verità (a qualche forma di verità) che ancora merita di essere considerata in quanto tale (identità, contraddizione, sviluppo, mutamento, progresso, eccetera) in un percorso ellittico ed obliquo che privilegia gli spazi scomposti (lasciati essere delle vere e proprie faglie del pensiero) e i tempi (ora accorciati all’istante ora estesi all’eternità) che si rivelano essere dei veri e propri rifugi di pensieri pensati dai più grandi esponenti della filosofia Occidentale. Un percorso ellittico e obliquo dentro un calderone (nel quale si fondono e si confondono Fichte, Hegel, Goethe, Schopenahuer, Höledirlin, eccetera) e che produce quasi un attimo di pace nell’eternità del tempo e nel rincorrersi (incessante e per certi versi incredibile) delle speculazioni della riflessione filosofica di ogni epoca.

A lettura finita ci si chiede: ma un punto fisso lo si è acquisito? In realtà forse tale punto fermo consiste solo nel metodo adottato dal filosofo sardo: il punto sta in queste scomposizioni che producono in maniera indefessa forme dell’individuo moderno il che è come dire di noi tutti, di nessuno, della modernità, dell’individualità, del rapporto tra mondo esterno e coscienza interiore, dei fatti e delle interpretazioni. Il tutto, ancora una volta, viene sottoposto a critica. In fondo questo libro è un tassello di nessun mosaico o forse di un mosaico del quale esso non ne è un tassello. Bodei, in questo volume, non celebra affatto la sua bravura e la sua perizia: mette in moto un metodo che lo porta a confrontarsi con alcune forme, con alcuni inserti di pensiero, con alcune tracce di poesia e di speculazione, con alcuni oggetti che egli intende quadrare e misurare. E lo fa partendo dall’analisi di «Un breve testo hegeliano». Egli si propone di riflettere su «Categorie, atteggiamenti e alternative tuttora ineludibili». Ecco che, come diceva Croce, ogni storia «E’ storia contemporanea». E Bodei porta Hegel ai giorni nostri e fa cadere la globalizzazione in pieno secolo del Romanticismo.

Insomma siamo di fronte a un filosofare che è alla ricerca di un asse dal quale guardare le cose con gli occhi sia del tempo ma anche delle verità acquisite nel tempo.

Il legame tra natura e cultura è sempre ben presente nel testo: nel quale si dice anche che ogni pensatore deve essere inserito nel contesto dal quale è generato il suo filosofare. E questo contesto diventa poi quello più in generale del rapporto fra un individualità e l’oggettività delle forme che si susseguono anche ai giorni nostri. Nella certezza che vi sia una specie di metafisica che mette assieme tutta la cultura o come diceva Hegel «Lo spirito», tutti i movimenti culturali, tutto il nostro mutevole rapporto col mondo esterno, tutte le storie delle società umane che si sono susseguite nel tempo, la scienza, l’arte, la religione e anche tutte le forme che hanno assunto tutti quegli assunti che poi noi, volenti o nolenti, siamo stati costretti a giudicare come oggettivi. Bodei continua dicendo che questo suo testo: «Consente anche di esaminare da vicino una delle prime e più concise formulazioni moderne della logica del mutamento e della “contraddizione”, termine che Hegel non usa ancora in senso tecnico, ma che rinvia a un processo oggettivo, indipendente dall’intelligenza e dalla volontà degli uomini». Il libro, in fin dei conti, è tutto qui: esiste qualcosa di impenetrabile e di inemendabile, esiste qualcosa che sovrasta l’intelligenza e la volontà degli uomini e questo qualcosa è «ineludibile» come il susseguirsi delle «Forme» che attraversano la storia e la vita degli uomini. Siamo tutti proiettati in un mondo dove la nostra interiorità fa i conti con qualcosa che c’è sempre stato, c’è e ci sarà. Con qualcosa che non è possibile «emendare» ma che ci restituisce il senso di una temperie culturale, di un movimento di pensiero o della semplice esperienza degli uomini alle prese con le umili fatiche quotidiane. Parlando del frammento hegeliano da cui ha preso le mosse, Bodei dice: che «Dalla sua scomposizione prismatica si ottengono temi dotati di una loro specifica autonomia, a ognuno dei quali è associato un autore, quasi sinonimo di possibili soluzioni: Kant, Fichte e Hegel, nel campo della filosofia; Hölderlin, Novalis e Goethe in quello della poesia e della letteratura (sullo sfondo, a maggiore distanza, Spinoza, Rousseau e Condorcet)». Ma anche il frammento (o meglio i frammenti di Hegel – perché ce ne sono tre) in realtà non è che uno spunto, un preteso, una dilazione di senso assicurata nel miscuglio/garbuglio delle tesi in contrasto che generano la contraddizione.

Bodei non si sta proponendo con questo libro di fornire una corretta esegesi hegeliana: egli sta scavano dei centri concentrici, sta portando alla luce delle rovine e delle macerie, sta mettendo il dito nella piaga irresolubile di quello che Eraclito chiamava il «conflitto». Tesi, antitesi, conflitto fra esse, contraddizione, possibile sintesi, spirito assoluto, scioglimento delle contraddizioni, positività della nuova tesi, negatività dell’antitesi, positività della prima tesi… In realtà tutte queste cose, lo ripetiamo, non sono strettamente parlando un’analisi hegeliana da studioso e interprete di Hegel ma piuttosto esse rappresentano le «Soluzioni teoriche e poetiche» rispetto al problema «Di come affrontare il caos mostruoso». Per esempio in Novalis emerge il «santuario dell’Io ignoto». Che vuol dire? Vuol dire che la febbrile attività di composizione e scomposizione non riesce ad attaccare/intaccare questa fortezza ignota allo stesso suo possessore. Questa architettura che è sconosciuta al suo stesso architetto. Questa storia che non è raccontata dallo stesso romanziere che l’ha scritta. Non si giunge mai al «Penetrale del tempio» dove è custodito il «santissimo ignoto»: dietro ogni velo c’è sempre un altro velo. Inconscio, Superio, Io, coscienza, intenzione, pulsioni, istinti, vita, morte, incoscienza, animalità, ferinità, carnalità, corpi, movimento, spazio, sentimenti eccetera. L’Io alla fine è formato «Da una numerosa società di “io solidali” fra loro». Bodei afferma che: «Si è tanto più se stessi, quanto più si diventa armonicamente plurimi». Ovvero «Capaci di produrre continue versioni dell’Io». Abbiamo adesso appreso che l’incognita non è solo in quella verità che dovrebbe essere la corrispondenza fra noi e il mondo esterno (e quindi nel mondo esterno) ma ce la portiamo anche dentro di noi. E non solo, come voleva Kant con la sua famosa «x», l’incognita è anche nella stessa relazione fra l’Io ignoto e l’oggettività. Ma non ci si deve fermare a una prima fase di ricognizione del proprio Io (come a un certo punto afferma lo stesso Bodei il motto delfico «Conosci te stesso» sembra essere a questo punto privato di ogni senso o forse aumentato di un senso in più: una tale conoscenza, sia pure impossibile, è del resto possibile in quanto tentativo. E forse il senso delfico finale del motto è proprio quello del provare e riprovare, delle conferme che vengono attese dall’esperienza), infatti: «Il secondo passo consiste nell’attento riesame del mondo esterno, reso penetrante ed efficace dal dimorare iniziatico nelle tenebre dell’interiorità, che ha insegnato a non prendere sul serio le presunte evidenze inconfutabili delle cose e a cercare nuove, segrete, corrispondenze fra di esse».

Interiorità, relazione fra noi e la realtà, la «x» kantiana, il regno dell’oggettività e dei fatti… Siamo di fronte a qualcosa che viene sconvolto dall’avvento del cristianesimo il quale «Trasformando la sostanza in soggetto, inaugura la forma moderna dell’individualità, legittimandone il diritto alla solitudine e sottolineandone l’intrinseca dignità anche al di fuori della sfera politica». C’è un parallelo tra Hölderlin e Hegel, o meglio tra Empedocle e Cristo. «L’Etna e il Golgota, due luoghi elevati di morte sacrificale, rappresentano per Hölderlin e Hegel gli emblemi di sconfitta e sacrifici che possono trasformarsi in vittorie postume da parte di Empedocle e di Gesù. Morendo essi, trasmetteranno ai secoli venturi la speranza di una vita non più legata all’osservanza formale delle leggi, ma fornita di una pienezza che si manifesta nella forma di un impulso costante verso il cambiamento e l’ampliamento dell’esistenza».

Siamo alle prese con la dialettica che è sempre sviluppo e che produce, alla fine, un elemento nuovo. «Il mare è … il medium metaforico che Hegel attribuisce al proprio stile di “pensiero”. Esso è infatti l’elemento, per sua natura spazioso e libero, che non conosce vie obbligate, che induce all’ardire e spinge oltre i confini visibili». Ma che viaggio è quello di Hegel? «Si ha invece in Hegel un viaggio in apparenza circolare che, paradossalmente, allontana per riportare più vicini a sé stessi, che parte dal presente per ritornare allo stesso presente compreso, dalla periferia al centro di sé».

Con questa visione marittima si conclude il libro di Bodei, mirabile e ben costruito, e con l’affermazione che forse nella realtà di due tesi che si oppongono c’è più verità nell’unica verità di una tesi che non ha competitor. Ma quale verità è quella della contraddizione? In mare, si sa, non conta tanto il porto successivo da raggiungere. Conta il viaggio!

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