Due bambini si scambiano doni
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di Laura Gatto

Dono. Parola obsoleta? Forse! Gesto anacronistico? Sarà! Certo è che per chi fa del dono la propria filosofia di vita esso appare l’unico modo naturale e intrinsecamente umano di vivere. Non dipende dal conto in banca, non è un gesto di solidarietà sporadica, non è neanche una questione di credo ma solo una disposizione innata dell’animo e della mente che troppo spesso però rimane inespressa.
In una società in cui ormai tutto è dominato dal dio danaro e governato dalla logica del mercato, il dono appare estraneo al genere umano.

Ma come?!? Logica del mercato, dio danaro e il dono appare estraneo al genere umano? E sì, perché non è di quello che si compra nei negozi e nei lussureggianti centri commerciali traboccanti di negozi di cui si sta parlando (tra l’altro, oggi, quello non lo chiamiamo più dono ma regalo, svuotandolo di quel valore affettivo di cui simbolicamente si vorrebbe fosse portatore) ma è su un’altra accezione del termine che si vuole porre l’attenzione.

Donare è primariamente esistere estrinsecando ciò che di più umano c’è in noi. È uno slancio prosociale che investe e riguarda la dimensione emotivo-affettiva e relazionale di contro ad un agire utilitaristico proprio di una pseudologica e di una razionalità materialistica oggi dominanti. Il dono non si baratta, non si vende ma si condivide, con esso è come se si mettesse in comune con gli altri un pezzo di sé.

Esistono delle forme organizzate di dono come il volontariato, le iniziative relative alla raccolta di fondi da destinare a chi vive ai margini della società e tante altre modalità di aiuto volte a sensibilizzare i cittadini. Forme lodevoli di dono senza dubbio ma perché ormai necessarie in una società che fa della fretta sfuggente la misura delle relazioni. Almeno così, per strada, frettolosamente e molto indirettamente, le persone possono prendersi cura dell’altro e portare a casa qualcosa in cambio di una somma di denaro versata o di una firma. Ed ecco però che in tal modo anche il prendersi cura diviene uno scambio commerciale, un self service di buone azioni da fare ogni tanto e, naturalmente, se qualcun altro ce le propone. Una sorta di deresponsabilizzazione della propria umanità. Una umanità per definizione ma deficitaria nella concretezza delle azioni quotidiane. Astratta, inconsistente, non disposta a darsi in cambio di niente. Un niente fisico però, perché se ci pensiamo bene un piccolo dono del nostro essere autentico in tutto quello che facciamo è una forma di attenzione e di riconoscimento dell’Altro che può essere percepito da chi lo riceve come un grande gesto di amore, come un gesto che scalda fino a dentro e questo dovrebbe ripagarci abbondantemente in termini di umanità.

La questione qui non è il dono di sé come gesto intenzionale, come momento organizzato, come modo di agire costruito ma quella di un modo di essere e di un modo di vivere. Il primo dono che ognuno di noi riceve e, al contempo, fa è quello della vita. Esserci, essere nel mondo significa primariamente intessere relazioni e se si vuole caricare di significato profondo ed autentico la definizione di uomo come essere sociale non possiamo fare a meno di attuare ciò che in potenza risiede nell’anima: il dono di sé.

Questa grande ricchezza in potenza deve essere sviluppata ed esercitata in noi al pari del linguaggio e di ogni altra sfera di sviluppo che caratterizza i processi evolutivi umani. Per i più piccoli l’esempio dell’adulto significativo è alla base dell’apprendimento per cui un modello comportamentale proteso ad impegnare la propria umanità nelle relazioni con l’Altro è il migliore investimento sulla vita che si possa fare per sé, per chi ci circonda e per chi sta imparando l’arte del vivere. Ecco allora che il dono diviene, come tratto stabile della nostra personalità, quel piccolo gesto quotidiano che risplende delle sfumature dell’anima e che è capace, con la sua semplicità e con la sua intrinseca umanità, di far spuntare l’arcobaleno anche nelle esistenze più grigie.

Esistere umanamente porta con sé il donarsi e il prendersi cura dell’Altro gratuitamente e nel vivere quotidiano, estrinsecando la propria esistenza in una dimensione relazionale profonda anche con chi incrocia il nostro cammino per un solo attimo.
Qualcuno potrebbe obiettare: ma come è possibile rendere profonda una relazione con una persona che si incrocia per un solo attimo?
Giusta obiezione, ma se si tiene conto che l’autenticità di una relazione non dipende dalla quantità ma dalla qualità delle interazioni con le persone allora si comprende che donare è un po’ di sé che ogni giorno lasciamo nell’aria che respira l’Altro.

Così dono diviene un sorriso, una parola, un saluto, una carezza, uno sguardo accogliente in ogni istante. E se pensiamo che tutto questo possa rendere migliore la giornata di chi ha ricevuto questo piccolo dono di noi stessi, ci rendiamo conto che in fondo donare non è poi così impossibile e che è più facile e più confacente alla natura umana, propriamente detta, di un viso inespressivo, di un saluto dettato dalle circostanze, di una parola detta tanto per dirla, di un chiedere come stai perché lo impone la formalità conversazionale.

Chi vive di questi piccoli doni ha la misura di ciò che conta davvero per rendere dignitosa e umana l’esistenza: il reciproco riconoscimento, l’amore, l’accoglienza, il rispetto, la condivisione. Vivendo secondo questa filosofia quotidiana ci si nutre dell’arricchimento di una dimensione relazionale ben vissuta e ci si sente come se ogni millimetro del nostro corpo, ogni movimento delle nostre articolazioni, ogni nostra postura suonassero una dolce e rassicurante musica e risplendessero di colori vivaci capaci di diffondere calore e far spuntare l’arcobaleno dentro e fuori di noi.

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