Moschea di Djenn
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Parlare della grande trasformazione politica e culturale scaturita dall’influsso esercitato dalle Confraternite islamiche nelle regioni africane centro settentrionali è piuttosto complesso, vuoi per l’impossibilità di inserire in un canone storico unitario l’argomento vuoi perché la parte continentale presa in considerazione è ricca di storie diverse derivanti da un particolarismo plurietnico a cui l’Africa abitua da sempre colui il quale si appresta a scriverne dei resoconti, brevi o lunghi che siano. Appare pertanto inevitabile cercare di circoscrivere il fenomeno ad alcune delle numerose realtà extra statuali veracemente africane, pur provenienti da una base profetica mediorientale e quindi esterna, provando ad abituare il lettore ad una diversa interpretazione degli argomenti e ad una visione la più estranea possibile rispetto alla riconduzione monosettaria di impostazione eurocentrica. L’Islam arabo, diffusosi a partire dal VII secolo d.C. nel Nord Africa aveva utilizzato un sistema basato principalmente su di un continuum giuridico amministrativo precedente (bizantino a ovest, sassanide a est) e nei suoi primi tentativi di approccio al preesistente berbero, antecedente l’imminente arabizzazione o nel momento del primo contatto con i popoli dell’Africa occidentale ed orientale poteva presentarsi come un movimento religioso ufficialmente freddo e poco incline ad un’estatica coloritura.

La scienza ha i suoi seguaci, la fede una sua gerarchia,

il sapere e i suoi cultori hanno le loro prove.

Due son le scienze, da evitare l’una, da conseguire l’altra.

Due sono i mari, navigabile l’uno e l’altro da temere.

Due giorni ha il tempo, l’esecrabile e il lodato,

e due son gli uomini, il fortunato e il misero.

Ascolta col cuore quel che senti da un degno di fede,

con l’intelletto osserva, ché la sagacia è un dono.

Senza poggiare il piede ho scalato una vetta,

che per altri che me era ardua da vincere.

Senza mettervi piede sono affondato in mare,

fu il mio spirito a tuffarsi e a bramarlo fu il cuore.

Il suo fondale è di perle, e non lo tocca mano,

ma possono afferrarlo gli arti dell’intelletto.

Ho bevuto quell’acqua senza usare la bocca:

quell’acqua le bocche l’hanno già assaporata.

Già ai primordi il mio spirito ne era assetato,

prima ancora che il corpo vi venisse formato.

Sono orfano e ho un Padre in cui mi rifugio,

finche vivo il mio cuore soffrirà a non vederlo.

Sono cieco e ci vedo, sono idiota e sagace,

e i miei detti, se voglio, posso far rovesciare.

Conoscon gli eroi tutto quel ch’io conosco

e mi fan da compagni: non son soli i virtuosi.

Si conobbero le anime nostre ai primordi del tempo,

e son sorti i nostri soli, in un’era oscura e buia.

(Al Hallag, mistico persiano del 900, vissuto a Basra e Baghdad)

L’obbligatorietà di leggi e regole rende troppo formalistico il rituale islamico, di qui scaturisce l’esigenza, comune alle altre religioni monoteistiche, di colmare un abisso, quello cioè costituito da uomo e Dio, pur restando assolutamente interno al recinto di base, rappresentato dal Corano e dalla Sunnah, ossia l’insieme degli hadith, narrazioni concernenti la vita e le abitudini del Profeta Muhammad.

Il bisogno di contatto personale e di tenerezza trova la sua espressione nel misticismo sufico e nel rituale delle confraternite, veri e propri modi di intendere la religiosità intima e profonda (da cui il termine arabo Tariqa) attraverso una più completa identificazione del rapporto con l’assoluto monoteismo islamico, raggiunto attraverso ascetismo, fuga dal mondo, contemplazione, carità e pratica di un’infinità di rituali che producono uno stato estatico che allontanano temporaneamente l’individuo dal mondo esterno facendolo sembrare in perfetta unione con Dio.

Tu mi hai chiesto di parlarti, in primo luogo, del profitto che ho tratto dalla teologia, in secondo luogo della mia avversione a certi metodi seguiti dai partigiani dell’insegnamento di autorità, i quali per apprendere il vero si limitano a seguire ciecamente l’Imam. In terzo luogo del mio dispregio per certi metodi della filosofia ed infine della soddisfazione che mi ha dato la via del sufismo.

(Al Ghazali, 1058-1111, teologo, filosofo e mistico persiano, Munqid min ad dalal – La salvezza della perdizione)

Gli esponenti delle varie confraternite nascono nell’ambiente del tasawwuf (sufismo), termine che sembrava originariamente designare il materiale lanoso del toupet dei seguaci ma che successivamente ha visto emergere altre accezioni, la più interessante delle quali è la derivazione dall’arabo safa’, ossia purezza in relazione alla ahl al suffa, “Gente della veranda” , compagni del Profeta che vivevano da asceti in un’area della moschea di Medina.

Nel corso dei secoli successivi, parallelamente all’invasione manu commercii i maestri delle confraternite, nati in ambiente islamico mediorientale percorrevano i deserti, le oasi e le foreste africane imponendosi prevalentemente nelle aree occidentali ed in quella sudanese, creando influenze particolari regione per regione apportando la nuova concezione di intenso trasporto interiore sia pure non esulante dal dar al Islam, che si diffuse accanto ai preesistenti culti legati alle varie tradizioni spirituali ed animiste. Il sincretismo che ne derivò fu un esempio di una riuscita integrazione etnico culturale e ha influenzato permanentemente l’Islam africano.

La confraternita Qadiriyya è certamente la più antica e diffusa nell’area presa in considerazione; fondata nel XII secolo da ‘Abd al Qadir al Jilani a Baghdad, ebbe un influsso notevole in Africa ed i suoi seguaci si diffusero in buona parte del Nord Africa e nella regione degli odierni Mauritania, Mali, Niger e Senegal; qui i suoi esponenti tenteranno nell’Ottocento di far rinascere un concetto di unità africana nella regione sotto la bandiera islamica, appoggiando quel concetto statuale allargato che aveva contraddistinto la fase di dibattito delle nuove classi dirigenti che voleva ricondurre ai fasti dei regni decaduti di Mali e Songhay e che si esprimeva nel tentativo di ricentralizzazione delle grandi città mercato come Timbouktu e Djenné.

Anche nella ritualità melodico ipnotica del popolo Gnawa, gruppo etnico formato dai discendenti degli schiavi provenienti dal subsahara e stanziato nel sud del Marocco si possono sentire frequenti richiami al fondatore della Qadiriyya, oltre alle litanie ortodosse ed “eretiche” dedicate a figure angeliche. Il padre dell’emiro ‘Abd el-Kader al Jaza’iri’ apparteneva alla Qadiriyya e l’educazione ricevuta servì da base formativa per combattere la guerriglia che tenne in scacco per tredici anni l’avanzata coloniale francese in Algeria.

Erano i primordi di quella nuova fase che avrebbe portato le confraternite islamiche ad aggiungere all’elemento religioso anche quello politico, sulla scia di un sentimento anti coloniale profondamente sentito dalla maggioranza dei popoli sottomessi e che aveva trasformato il centro spirituale in un contesto allargato di tatticismo e partecipazionismo attivo. Non bisogna dimenticare che ad esempio le politiche di rinnovamento religioso e di opposizione anti britannica ed anti egiziana operata del Mahdismo sudanese e l’azione di confraternite come la Sanusiyya in Cirenaica, guidata dall’abile stratega ‘Umar al Mukhtar, che impedì per vent’anni ai governi coloniali italiani, liberale prima e fascista poi, di impadronirsi della regione libica orientale, si iscrivono pienamente nel novero dei movimenti di liberazione dal basso avendo favorito, poiché radicate da secoli nella coscienza e nell’immaginario rituale, l’adesione entusiasta e decisa della popolazione.

Da un punto di vista storico possiamo quindi affermare che le Turuq insediatesi in questa parte del continente africano hanno cercato di operare all’interno di un macro contesto complesso e pluri etnico e confessionale, aggiungendo nuova linfa alla base religiosa di provenienza e, laddove il punto di partenza era di reciproca distanza conoscitiva, esse hanno prodotto degli elementi di rinnovamento senza interrompere bruscamente la singola specificità locale, assumendo nel corso dei secoli una rilevanza ultra confessionale intuendo la pericolosità che un certo tipo di dominio esterno avrebbe comportato per la stabilità dell’Africa centro settentrionale.

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