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Gabriele Bonato
Un’opera di Gabriele Bonato

di Rolan Marino

Per una piacevole vacanza d’arte a Trieste nel mese di maggio, il periodo più bello per visitare la città più a nord del Mediterraneo, si può cominciare dalla galleria La Colomba (Via Santa Caterina 8/a) che presenta la personale del giovane Gabriele Bonato.

L’artista isontino abbandona il supporto della tela per cimentarsi ora con la sua amata “carta povera”. Fogli di dimensioni molto grandi si alternano a carte di medio e piccolo formato dove interi mondi vengono raccontati in una sorta di RE_BUS ,appunto, in cui lo spettatore è chiamato a risolvere l’enigma in maniera intima e personale. Bonato vuole raccontare con l’olio, la tempera, i pastelli colorati un’intero universo in maniera delicata e poetica. L’occhio viene rapito da bimbi spensierati che giocano affiancati da animali che fanno la siesta; elicotteri che con le loro pale squarciano il cielo ; lavoratori che scavano ininterrottamente la terra.Una Penelope che tesse la sua tela diventata ormai immensa in attesa di non si sa cosa. E poi ancora volti solo accennati e squarci di paesaggio. Questo è l’universo che Gabriele Bonato ha voluto rappresentare; questo è semplicemente il MONDO/RE_BUS che appartiene a tutti quanti noi.

La Galleria Torbandena ( via di Torbandena 1) propone “Abstracta”, una rassegna dedicata ai maestri dell’Informale europeo ed americano del XX secolo. La mostra si sviluppa attraverso la selezione di una ventina di opere di alcuni dei nomi più rappresentativi dell’arte informale del secondo dopoguerra. Oggi stelle incontrastate del migliore collezionismo internazionale o appannaggio dei grandi musei del mondo, sono quegli artisti che, spogliati di ogni formalismo pittorico, hanno saputo codificare un sistema di comunicazione totalmente nuovo, un vocabolario “non-formale” che tutto il mondo dell’arte a seguire ha utilizzato per dar voce alle sue manifestazioni più libere. D’altro canto, per un certa fretta di storicizzazione, in realtà molto utile proprio a quel mercato che ne ha sancito il grande successo commerciale degli ultimi vent’anni, il mondo dell’arte contemporanea, da qualche decennio poco incline alla pittura, ha archiviato la questione, considerando chiuso un capitolo artistico, che invece, in particolare nei suoi diretti eredi – più che nelle opere tarde dei grandi maestri – continuava a manifestare una propria vitale autonomia, coerenza e capacità di adattamento alle nuove esigenze dell’arte.

Non c’è quindi da stupirsi se dopo più di un decennio di grandi sperimentazione nel mondo dei new-media e della fotografia digitale, un’euforia tecnologica sicuramente capace di individuare e santificare alcune figure artistiche di indubbio valore si ripresenti l’esigenza della pittura, anche di quella astratta, stanca di essere relegata alle sale dei musei o al salotto milionario di turno ma vitale, capace di tornare ad essere mezzo d’indagine, di confronto e di rappresentazione del mondo reale. La rassegna è un omaggio al lavoro di alcuni di quegli artisti, che nella metà del secolo scorso hanno intrapreso il cammino dell’astrazione e che ancor oggi appare vivo e denso di significato: gli americani Hans Hofmann, Sam Francis e Mark Tobey, gli spagnoli Antoni Tàpies, Eduardo Chillida e Antonio Saura, e ancora il franco-tedesco Hans Hartung, l’olandese Karel Appel, il cileno Roberto Sebastian Matta, il croato Edo Murtic, e gli italiani Emilio Vedova, Giuseppe Santomaso e Giulio Turcato. Al piano superiore una selezione di opere dedicate all’Informale milanese, con opere dagli anni Quaranta agli anni Settanta: Umberto Milani, Costantino Guenzi, Mario Raciti, Angelo Verga, Giancarlo Ossola. Nella saletta un omaggio a un grande artista informale argentino: Esteban Lisa, attivo tra gli anni Trenta e gli anni Settanta, e al quale la galleria dedicherà in ottobre una grande retrospettiva. In questa mostra si vedranno sue opere degli anni Cinquanta e Sessanta.

Nella continua ricerca di offrire al pubblico colto un dialogo che va’ al di la’ delle vuote parole, la galleria Factory-Art contemporanea (via Duca d’Aosta 6/a) presenta la doppia personale di Fabio Coruzzi e Massimo Toffolo. Filo conduttore di questa mostra è l’esposizione del lavoro di due artisti coetanei (1975) che vivono sulla propria pelle l’irrequietezza dei nostri giorni. Da un lato il lavoro di Fabio Coruzzi, già da tempo espatriato a Londra, che trova nei fatti del quotidiano, dalla politica all’imigrazione, dalle alzate di protesta alla mercificazione dei corpi, spunti a tutto tondo per la sua protesta. Sulle immagini carpite e trasportate su tela, interviene con colori, parole, pensieri, macchie, sottolineature e altro per così indicare le sue correzioni e/o la sua indignazione e/o la trasformazione di scena e/o la sua ribellione ai tempi moderni. Dall’altro lato il lavoro di Massimo Toffolo, artista friulano che passa tutto il suo tempo a dipingere: soggetto di tanta ossessione sono le emozioni dettate dal momento in relazione al contesto in cui vengono vissute.

Così prendono forma scene del quotidiano sganciate dal quotidiano stesso. Spesso distrugge i suoi quadri dopo averci meditato sopra. Quale appassionato di Cy Twombly e di J.M. Basquiat, dei graffiti e della scrittura “automatica” ha trovato la sua strada lavorando su grandi superfici di tela o altri supporti come vecchi infissi di legno.

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