“Il futuro non esiste senza memoria”. Con questa citazione del regista Jean Marie Straub viene presentato il volume “Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana”, a cura di Anna Di Sapio e Marina Medi in collaborazione con il CRES – Centro Ricerca Educazione allo Sviluppo – della Ong Manitese e pubblicato di recente da EMI.
Finalmente si considera lo studio sul periodo del colonialismo italiano sulla base di una triplice comparazione tra letteratura, storia e memoria nel tentativo, magistralmente riuscito, di analizzarlo in maniera obiettiva, liberando quelle barriere pregiudizievoli ed ideologiche che per troppi anni hanno raccontato (e poco) miti di fallace bonarietà, corredata da una volontà politico istituzionale legata ad una “apposita dimenticanza”, che ha reso de facto scarsamente consultabili gli archivi storico diplomatici ministeriali ed impedito di conseguenza una corretta interpretazione dei fatti ed una divulgazione completa ed accessibile.
Il libro vuole dunque rappresentare un compendio della memoria dimenticata, vuole riequilibrare le fonti storiche e mettere in evidenza le voci narranti, le stragi dimenticate, le vendette perpetrate e quel mancato contatto tra colonizzati e colonizzatori che ha creato le basi delle successive, reciproche incomprensioni.
Il dettagliato lavoro di recupero e di organicità che viene presentato può assumere anche la base di un ragionamento integrativo, quasi un consiglio ad approfondire le fonti storiche e letterarie indagate (da Del Boca a Labanca, da Ghermandi a Scego solo per citarne alcune), proprio per incentivarne l’indagine e la coscienza critica. A partire dai primi anni ’80 infatti la storiografia sul periodo ha lentamente prodotto lavori di qualità, ed oggi questi scritti sono integrati da una vasta produzione letteraria, in particolare di storici italiani e africani, autrici, autori e saggisti di “nuova leva” che raccontano il vissuto coloniale degli avi e il rapporto con l’Italia di oggi, paese nel quale alcuni vivono e all’interno del quale sentono in prima persona il desiderio e l’obbligo di una diffusione di quella che osiamo definire una vera e propria decolonizzazione della memoria.
Molto interessante anche la sezione dedicata alla discussione imperniata su quale didattica possa essere confezionata riguardo a quest’epoca bistrattata, a partire dalla consapevolezza della quasi totale mancanza di riferimenti “genuini”, che caratterizzano in negativo i libri di testo scolastici.
La vera e propria sfida del (prossimo) futuro sarà infatti quella di proporre, alla luce di una maggiore disponibilità di opere reinterpretative sulle quali poggiarsi, percorsi propositivi volti alla conoscenza non solo del colonialismo italiano e delle sue malefatte, ma anche di quelle parole chiave insite nel suo stesso concetto, ovvero la questione del razzismo (si pensi all’analogia tra il razzismo di ieri e quello di oggi, con particolare riguardo ai popoli africani) e la visione etnografico culturale (tutta italiana) legata ad una pregressa inferiorità figlia di un retaggio folkloristico, legato all’esperienza coloniale, che caratterizza ancora oggi il comune sentire sui popoli dell’altra sponda; da questa macro terminologia si può altresì estrapolare un’altra attività, più prettamente interculturale e riguardante una didattica laboratoriale che focalizzi un corretto immaginario storico geografico, ponendo le culture in discussione e non suddivise su immaginati e presunti strati di superiorità; la testimonianza diretta delle precedentemente citate nuove generazioni apporterebbero inoltre elementi originali nell’approfondire la drammatica questione dei popoli migranti che muovono in cerca di un futuro migliore, introducendo il concetto di un colonialismo riflesso sul presente.
“Ma di molta parte della vicenda coloniale italiana si continua ad ignorare quasi tutto. Per esempio poco sappiamo della composizione sociale dei coloni, della loro vita quotidiana, del loro rapporto con la popolazione locale, dei loro vissuti e dei loro sogni, dato che la memorialistica che ci è pervenuta è quasi esclusivamente scritta da maschi, intellettuati, cittadini, militari, mentre manca la voce dei contadini, dei piccoli artigiani o commercianti, dei soldati, e specialmente delle donne. Ma non disponiamo neanche delle biografie di molti governatori o ministri delle colonie. Manca una ricerca sulla continuità ideologica tra colonialismo liberale e fascista, specie per quanto riguarda il razzismo, sul peso anche numerico dei circoli coloniali o sulla presa della propaganda nelle diverse classi sociali. Pochissimo si sa sul reinserimento dei profughi dall’Africa, sui fenomeni di reducismo e sui contatti che molti italiani hanno mantenuto o ricreato negli anni seguenti, magari sotto forma di cooperazione commerciale o di aiuti per lo sviluppo”1, sostengono giustamente le autrici.
Questo discorso deve valere certamente come impulso alla ricerca che coinvolga la comunità accademica e gli istituti di cooperazione storico scientifica, nella speranza di incentivare e promuovere incontri e dibattiti sul periodo coloniale, soprattutto oggi che il terreno è più fertile e fecondo; in attesa di ulteriori innovazioni di questo genere, sarebbe auspicabile che le scuole secondarie di primo e secondo grado si dotassero di questo volume:
Anna Di Sapio – Marina Medi
Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana
Storia e letteratura tra presente e passato
Pagg. 283
Bologna, EMI 2009
€ 14,00
[1] A. Di Sapio, M. Medi, “Il lontano presente: l’esperienza coloniale italiana”, Bologna, EMI 2009, pagg. 204-205.