Tempio di Zeus Olimpo
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Articolo di Sandra Giuliana Granata

Nella perduta “Storia Sacra”, lo storico e filosofo Evemero di Messina racconta il suo singolare viaggio esplorativo nell’Oceano Indiano, compiuto nel 306 avanti Cristo per ordine di Cassandro, re di Macedonia. La nave di Evemero, spinta fuori rotta da una tempesta, aveva attraccato fortuitamente nel porto di un’isola sacra chiamata Pancaia. Nella rigogliosa capitale dell’isola, Panara, sorgeva un antichissimo tempio, posto alle pendici di un monte, l’Olimpo. Il tempio era dedicato a Zeus Trifilio, “delle tre tribù”, dal numero delle etnie primitive – Panchei, Oceanidi e Doi – che veneravano il dio sull’isola.

Ai tre gruppi autoctoni si erano uniti altri popoli, fra i quali gli Sciti e i Cretesi. Quest’ultimo popolo era stato condotto a Pancaia dal suo illuminato sovrano Zeus, morto dopo aver imposto leggi e costituito una società ideale simile a quella di Atlantide descritta da Platone nel Timeo. Nel tempio di Zeus, Evemero racconta di aver visto una splendida stele d’oro realizzata da un re, Hermes, sulla quale erano registrate le date di nascita, di morte e le imprese di antichissimi sovrani: Urano, primo re del mondo abitato, venerato come grande astronomo, suo figlio Crono, che aveva spodestato, incatenandolo, Titano, legittimo erede al trono, e Zeus. Dopo aver conquistato il trono in seguito a sanguinose congiure di palazzo, Zeus aveva diviso il potere con i fratelli Poseidone (cui spettò il governo sui mari) e Ade (che si occupò delle sepolture). In seguito alle sorprendenti scoperte fatte durante il viaggio, lo storico avrebbe maturato la teoria che da lui aveva preso il nome di “evemerismo”: gli dei del pantheon greco erano stati semplicemente re o uomini che – nel bene o nel male – avevano meritato che le generazioni a venire ricordassero le loro gesta e venerassero la loro memoria, fino a divinizzarli.

La teoria dello storico venne bollata come ridicola dal poeta ellenistico Callimaco di Cirene che rispose all’opera di Evemero con l’accorato Inno a Zeus: «L’animo resta in grande indecisione/ poiché non è sicura la sua origine/ Zeus, tra i monti dell’Ida, per alcuni/ Zeus, per altri in Arcadia, tu nascesti/ Chi disse il falso, Padre? “Mentitori/ sono sempre i Cretesi”. Anche una tomba/ i Cretesi ti fecero, Signore/ ma non moristi tu: vivi in eterno». L’indignazione di Callimaco non era stata eccessiva: il mito greco è una delle espressioni più affascinanti e feconde dell’ingegno umano ma sarebbe riduttivo etichettarlo come invenzione fantastica. Gli antichi credevano negli dèi e sentivano veramente le loro voci, se si dà credito alle teorie che vogliono che, un tempo, i due emisferi del cervello umano agissero in modo unitario permettendo agli uomini di sentire voci e di avere visioni, come accade oggi in alcune forme di schizofrenia. La loro religiosità era, dunque, sincera, come dimostra anche l’ampia diffusione che ebbero i Misteri in tutto il mondo greco.

La filosofia evemeristica non ebbe molti seguaci fra i suoi contemporanei: l’opportunismo aveva spinto Evemero a compiacere Cassandro a scapito del rigore scientifico che aveva contraddistinto la storiografia nei secoli precedenti e la sua testimonianza non poteva essere presa sul serio. La divinizzazione di Alessandro Magno, secondo l’uso orientale, aveva destato molto scalpore all’epoca e l’opera di Evemero era forse volta a legittimarla. L’evemerismo, però, aveva in molti casi un fondo di verità. Uno degli esempi più interessanti di razionalizzazione del mito riguarda la storia di Caronte, il terribile barcaiolo che guidava le anime dei defunti nel regno delle ombre attraverso il fiume Acheronte. Caronte era stato un egiziano di bassa estrazione sociale che aveva imposto un pedaggio a chiunque volesse attraversare il lago che bisognava attraversare per raggiungere il luogo adibito alla sepoltura dei defunti. Arricchitosi a dismisura grazie a quest’imposta, era riuscito a diventare re d’Egitto. Il suo nome, in egizio, stando alla traduzione che ce ne dà Diodoro Siculo, significa “barcaiolo”. Così, la verità si trasformò in leggenda e poi nel mito del barcaiolo infernale.

Nel mondo romano, la razionalizzazione dei miti ebbe una discreta fortuna: il poeta Ennio fu entusiasta dell’opera di Evemero e la tradusse in latino e anche Cicerone dimostra di conoscere l’opera del filosofo ellenistico nel De Natura Deorum. In seguito gli apologisti cristiani si servirono ampiamente dell’evemerismo per dimostrare l’inconsistenza del paganesimo mentre, nel Settecento, gli Illuministi rispolverarono tale teoria proprio per sminuire il Cristianesimo. In epoche recenti, il noto scrittore ebreo Zacharia Sitchin, scomparso nel 2010, ha rielaborato in chiave evemeristica il racconto della creazione riportato nella Genesi. Le sue teorie, non supportate da studi rigorosi ma dall’arbitraria traduzione di passi di tavolette Sumere, non sono state, però, prese in considerazione dalla comunità scientifica.

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