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Il DNA, inteso come identità di un popolo, trova le sue radici nella propria storia. Spesso le forme degli oggetti della tradizione sono fortemente legate ai materiali presenti in quei luoghi. Alcuni piccoli esempi possono essere la semplicità degli elementi costruttivi delle strutture nuragiche della Sardegna, solitamente realizzate con elementi in granito reperibili in loco e semplicemente sbozzati perché di difficile lavorazione con gli strumenti dell’epoca; oppure le sculture nella roccia della città di Petra in Giordania, che mostrano ancora ciò che resta di forme molto più elaborate anche grazie alla facilità con cui quelle potevano essere scolpite all’epoca. Talvolta, la forma è sostanza e la sostanza dà la forma. Non di rado si sente dire che il popolo sardo, specialmente quello delle aree più interne, sia un popolo “granitico”, in riferimento alla proverbiale durezza di primo impatto, ma con valori ancora saldi ed irremovibili come le sue pietre, per i quali stentano ad aprirsi all’esterno, ma quando decidono di farlo rendono lo “straniero” parte della famiglia, assegnandogli il posto d’onore.

La globalizzazione, con l’apertura delle frontiere geografiche fisiche e mentali, arricchisce ed amplia gli orizzonti, ma troppo spesso rischia di uniformare. In questo momento storico in cui la globalizzazione va di moda, i frequenti viaggi per arricchire il proprio background attraverso gli scambi culturali diffondono usi e costumi, forme e colori, accostamenti e mixage che, se non “governati” da una forte identità dell’artista, rischiano talvolta di standardizzare stili e forme in un prototipo acriticamente “etnico” appartenente però ad una etnia mai esistita di un luogo ancora da inventare.

Contaminazione e forte identità, potrebbero essere importanti elementi che variamente declinati possono costituire i binari su cui viaggiare verso nuove mode e nuove forme espressive, dove l’individuo resta al centro, non per essere travolto dal treno lanciato in una sfrenata corsa al consumismo ad ogni costo, ma per essere alleggerito, uomo o donna, dalle fatiche fisiche con la funzionalità degli oggetti e dallo stress quotidiano con l’appagamento estetico e con la piacevolezza di forme e materiali, come recita la canzone “Il mutuo” di Celentano.
Per tanti designer e stilisti, il “bello” viene prima dell’utile; per altri vale l’esatto contrario, ciò che è funzionale ha la dignità di esistere e di esser vestito di bello. Si individua così un problema che cerca di trovare una soluzione bivalente, la prima funzionale l’altra puramente estetica. Talvolta questo mix è sbilanciato e trova espressione nella capacità di lettura e/o di restituzione del singolo designer, stilista, artigiano o artista comunque denominato.

Sono considerazioni quasi filosofiche che possono trovare un particolare equilibrio temporaneo, valido cioè nel brevissimo periodo storico in cui viene fatto, nella diversa combinazione di due caratteri molto discussi in questi anni: globalità e località.
Unire l’utile al dilettevole, ciò che serve e funziona a ciò che appaga il gusto estetico del consumatore, è una sfida che non conosce il punto di fine, ma solo il “punto e a capo”, anche in forza dell’evoluzione scientifico-tecnologica che permette di scoprire nuovi tessuti, materiali, forme e macchine per realizzare le idee dei vari artisti.

Un ruolo importante nel veicolare le identità più o meno contaminate è quello del marketing, che attraverso i vari sistemi di comunicazione, sia tradizionali che innovativi, propaga in modo sempre più global forme, spazi e colori “di moda”. Tra gli strumenti di veicolazione più immediati, vi è sicuramente la fotografia, che si caratterizza comunque come strumento statico di propagazione di mode, design, forme, materiali ed emozioni. Il mondo di internet è un contenitore estremamente dinamico, talvolta democratico, con cui veicolare moda e design attraverso l’uso di più strumenti: foto, video, parole, musiche, immagini e tanto altro che permette inoltre interazioni utente-oggetto tali da rendere più fruibili informazioni e oggetti (pensando anche alla possibilità dell’acquisto on-line di oggetti o vestiti prodotti in paesi diversi del Mediterraneo, e del mondo). La televisione ha in comune molti aspetti con la dinamicità del web, anche se più facilmente controllabile e meno democratico.

Quante identità possiamo celare in noi stessi attraverso moda e design? Talvolta possiamo vestirci di identità differenti. Il carnevale è sicuramente il momento più plateale in cui possiamo vestire, e dare risalto, ad una nostra caratteristica. Nel quotidiano la moda ci permette di usare una forte gamma di oggetti (vestiti, accessori, gioielli, oggetti della nostra casa o nella nostra auto…) per rapportarci al mondo con linguaggi differenti. Quando vestiamo un jeans o un abito da sera siamo sempre gli stessi, ma ci rapportiamo al mondo esterno con comportamenti sensibilmente diversi… in un certo senso mostriamo altre parti della nostra identità. Basta osservare come si trasforma la nostra postura quando indossiamo scarpe molto basse, magari con la suola non rumorosa, rispetto all’uso delle scarpe con un po’ di tacco e suola rumorosa… uomini con aspetto più fiero sguardo alto e spalle dritte e donne (immaginiamo “tacco 12” o più) con postura più elegante ed intrigante, in entrambi, poi, quasi inconsapevolmente coordinato con un’espressione del viso rivolto all’esplorazione e comprensione del mondo che ci osserva e capire come quello ci percepisce.

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