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La varietà Rovello Bianco è attualmente censita in solo due comprensori dell’Irpinia: Taurasi e Bonito, per certi versi simili dal punto di vista microclimatico e per la diffusione di questa cultivar vitivinicola, diffusione pressoché sparuta in pochi filari o addirittura ceppi, comunque avanti negli anni e a piede franco. Un’uva decisamente rara, con la caratteristica di essere più precoce in maturazione rispetto al Fiano ed al Greco, fattore che molto probabilmente ne ha causato lo stato di abbandono ed una scarsa, quanto ingiustificata, mancanza di considerazione nei tempi addietro.

Detto anche Roviello e Greco Muscio, in questo vitigno ci si imbatte poco e niente nella letteratura e nei testi di ampelografia, almeno fino al 1875: è di questo anno la prima descrizione del Rovello Bianco, nome con cui è noto ad Avellino, o del Roviello, così chiamato ad Altavilla Irpina, e si direbbe che vi sia corrispondenza con l’attuale vite. In seguito le citazioni riportate sul Catalogo dei Nomi dei Vitigni della Provincia di Avellino, testo risalente al 1883, ne vorrebbero una buona diffusione anche a Mercogliano, Roccabascerana, Fontanarosa e, più recentemente, in una frazione di Mirabella Eclano.

Le caratteristiche di questa varietà vedono un grappolo di media grandezza, non troppo compatto e generalmente senza ali, con un chicco medio-piccolo e di forma sferica, mentre il profilo molecolare, dopo accurate ricerche, non fa coincidere il Grecomusc’ con nessun’altra uva registrata nel Catalogo Nazionale delle Varietà di Vite. La componente morfologica più interessante e quella da cui ha origine il suo singolare nome consiste nel fatto che la superficie dell’esocarpo, ossia la buccia, cresce a dismisura rispetto al mesocarpo, cioè la polpa, conferendo al chicco l’inconfondibile aspetto grinzoso o da palloncino floscio: infatti, quando la disponibilità di acqua vien meno, il rapporto tra la parte solida del chicco e quella liquida depone a sfavore di quest’ultima.

Alessandro e Antonella Lonardo

Il recupero di questa varietà davvero singolare e dal profilo caratteriale molto deciso lo si deve ad Alessandro Lonardo ed alla sua famiglia: il patron della cantina Contrade di Taurasi infatti, avvalendosi del supporto scientifico del professor Giancarlo Moschetti dell’Università di Palermo e della dottoressa Antonella Monaco dell’Università di Napoli, ha potuto avviare una ricerca nel 2003 che ha sortito, dopo alcune prove, la prima annata ufficiale di questo vitigno in purezza nel 2004 e salvandolo quindi dall’oblio.

Fondata nel 1998, questa piccola azienda nasce proprio a Taurasi con l’intento di vinificare soltanto uve di proprietà, di curarne l’allevamento in maniera tradizionale ed ottimizzare i processi enologici utilizzando esclusivamente però i lieviti indigeni proliferanti nei propri vigneti.

Il Grecomusc’ viene allevato a Guyot Misto ed a Pergola Avellinese nelle aree di Taurasi, Bonito e Mirabella Eclano su terreni di altitudine variabile dai 300 ai 500 metri sul livello del mare, ma con una tessitura mediamente simile per presenza calcarea e materiale piroclastico. Le uve vengono raccolte manualmente tra l’ultima decade di settembre e la prima di ottobre e trasportate immediatamente in cantina, per poi essere diraspate, pigiate e vinificate con macerazione a room temperature per almeno due ore. Al termine della svinatura la fermentazione avviene a temperatura controllata, dopodiché con un primo travaso si separerà il vino dalla parte più grossolana, che poi riposerà tra i 6 e gli 8 mesi su fecce fini e subire una blanda filtrazione prima dell’imbottigliamento.

Il Grecomusc’ Campania Bianco Igt 2007 di Cantine Lonardo è dorato, cristallino e sfoggia belle trame di consistenza, una baldanza di viva lucentezza che salta dal calice. Al naso le profumazioni sono vive, complesse ed ammiccano al floreale di magnolia, alla salvia ed al timo essiccati, al fruttato di mela di montagna e foglia di limone, tra la nespola ed il mango non troppo maturo, con cenni di pepe bianco e di ancor più lieve pietra focaia. Al sorso è tutt’altro che moscio ed i suoi 4 anni e passa non li dimostra affatto: suadente, crujiente e succoso, restituisce subito i profumi di floreale e macchia mediterranea, di agrume e poi di quella pietra focaia che vira quasi all’idrocarburo, con una scia finissima di miele millefiori, il tutto in una bolla di acquolina in bocca esplosiva per la veemente ed elegante freschezza ma con una chiusura di altrettanto elegante sapidità. Schiaffoni Rigati di Gragnano con salsa di Pomodorino Giallo del Piennolo, Cicale di Mare e Arselle Sarde.

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