Chicchinalana
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Chicchinalana

, un nome che ha un suono antico, ricorda i personaggi delle favole. Figure medievali che potrebbero esser state raccontate nella letteratura cavalleresca. La protagonista del libro, Francisca Abis, chiamata Chicchinalana (per il colore dei suoi capelli, che somigliavano a quelli del grano d’estate) è una figura leggendaria, solo se non si conosce la Sardegna e le sue infinite storie umane. La storia dell’isola è fatta da uomini e donne, singole personalità che creano e cambiano gli eventi.

La società sarda è stata raccontata in modo potente dal premio nobel Grazia Deledda, (a cui l’autrice Loriana Pitzalis è stata paragonata), società che i sardi conoscono per la prima volta attraverso le sue pagine, per la prima volta si guardarono allo specchio. La descrizione brutale e profondamente arcaica, ai sardi del tempo non piacque per nulla. Si trattava di realismo letterario, lo stile che corrispondeva alla sostanza del racconto. Loriana Pitzalis, sicuramente si ispira nelle sue descrizioni dei paesaggi, delle abitudini, dei tratti caratteriali, a molti autori classici della letteratura sarda: dalla Deledda a Cambosu, da Salvatore Satta alla delicata Milena Agus. Si nutre però anche alla scrittura di Isabel Allende, della sensibilità femminile, la sola che può descrivere realmente una donna nel suo carattere più intimo.

Il contesto

Società, comunità, paese, famiglia: questa la gerarchia umana, (funzionante anche al contrario), che determina il modello di vita in Sardegna fino alla prima metà del secolo scorso. In larga parte alcuni costumi resistono ancora, ma si può dire che il “globale” sia definitivamente entrato nel “locale”.
La struttura gerarchica determina regole ferree che tutti devono seguire per poter essere inseriti in quella comunità. Non essere dentro voleva dire automaticamente esserne fuori, non c’erano margini di diversità dalla norma. Leggi antiche, non scritte, che mal sopportavano la legge ufficiale, quella di uno Stato lontanissimo. Regole che si ritrovano egregiamente descritte dal testo del giurista sassarese Antonio Pigliaru nel suo “Codice barbaricino”. Questo libro descrive un vero e proprio manuale di sopravvivenza nella Barbagia (regione interna della Sardegna), tutto ciò che si doveva sapere per rispettare le regole locali ed essere così, onorati e rispettati cittadini. Naturalmente le regole del codice barbaricino seguivano un percorso parallelo a quello del codice civile.
Un torto subito trovava soddisfazione nella replica dello stesso. La vendetta in questo caso era lecita, anzi obbligata. Se un uomo veniva ucciso doveva essere ucciso l’assassino, non c’erano altre soluzioni.
L’uccisione provocava un precedente che giustificava un’altra morte, senza soluzione di continuità. Le faide cominciano ma non hanno mai fine certa, la giustizia della comunità non arriva mai alla soddisfazione definitiva. Fino a che una donna, perché le donne sono le reggenti della vendetta, non decide di spezzare il circolo mortale.

Il romanzo

Chicchinalana è una donna coraggiosa, sposata con Pietro Antonio (Imperantoni), un uomo onesto e valoroso, rispettato e amato, per la sua competenza e senso di giustizia. La storia di una famiglia onesta, non ricca ma dignitosa. Una coppia felice, un amore semplice senza nessuna ombra. Nessun dubbio sui doveri, sulla necessità di lavorare, di educare i figli all’indipendenza, economica ma anche culturale. Imperantoni e Francisca sono una coppia “moderna”, ma rispettosa delle tradizioni, felici di vivere in luogo speciale, in una comunità pacifica e unita. Un luogo dove la vita scorre senza sconvolgimenti o violenze, anche se il racconto è ambientato durante la seconda guerra mondiale: una sorta di isola nell’isola, lontana dalle miserie umane della follia nazifascista.

La vita scorre tranquilla nel paese di Iliè, niente più dei piccoli problemi familiari. Imperantoni un porta avanti il suo lavoro di agricoltore con una maestria riconosciuta da tutti, Francisca un lavoro presso il caseificio. Tre figli da seguire, e la preoccupazione che riescano in qualche modo a conquistarsi la loro strada nella vita. Il racconto inizia con la decisione del padre di portare al lavoro in campagna anche il figlio più piccolo. Simone è un bambino sveglio e intelligente, poco propenso ai lavori manuali. Il bambino che sarà la speranza per tutta la famiglia, quello che riuscirà a cambiare la direzione degli eventi.
Un luogo di pace la campagna di Imperantoni, ma proprio nel giorno che accompagna il piccolo Simone, una macabra scoperta: l’uccisione del proprio cane e un cartello con su scritte minacce di morte.

Tutto questo era inconcepibile. Non c’era un motivo specifico e non conosceva nemici. Per molti giorni non si diede pace, non riuscì a trovare una soluzione, ma lentamente la vita torno come prima.
Fino a che una sera Imperantoni non tornò più a casa. In famiglia Aspettarono fino a tarda notte, ma solo all’alba Francisca si decise ad andare in campagna a cercare il marito. Lo trovò morto, ucciso da diverse coltellate, martoriato, sporco di terra. Con la forza di una donna, una moglie, una compagna innamorata, riuscì a portare il corpo vicino ad una fonte a lavarlo a pulirlo. Trasportò il marito per diversi chilometri fino ad arrivare alla piazza del paese, luogo simbolo della comunità. Comincia la tipica scena di tragedia: urla e pianti di tutte le donne del paese, quasi tutte.

La tradizione a questo punto pretende vendetta. Trovare l’assassino e riservargli la stessa sorte: la giustizia vendicatrice. Ma le cose si complicano, l’assassino risulta essere il figlio dello stesso Imperantoni, incastrato dal ritrovamento del suo coltello sul luogo del delitto.
Il ragazzo finisce in carcere al posto del vero assassino, tutti credono alla sua innocenza, a parte il vero colpevole. Il romanzo a questo punto prende una piega diversa, determinata da decisioni precise di Francisca, una donna forte ma anche preoccupata di scegliere bene. E’ molto determinata ad avere giustizia, ma non quella della vendetta che produce altra morte, e altra vendetta. No, Francisca vuole la giustizia civile attraverso la legge italiana. Riesce ad avere aiuto dalla moglie del notaio. Questa donna proveniva da un’antica famiglia toscana, cresciuta in una cultura completamente diversa da quella dell’isola, anche lei contraria alla pratica della vendetta e pronta ad aiutare una donna tanto coraggiosa.

Aiuta Francisca nel suo intento: portare via il bambino da quell’ambiente, farlo diventare avvocato e aiutare il fratello incarcerato ad essere scagionato, tutto questo combattendo l’opinione della gente e della sua stessa figlia.
Dopo una serie di peripezie, incastri familiari, delusioni e grandi soddisfazioni, Francisca riesce nel suo progetto.

Un romanzo familiare, che si discosta dal classico racconto dove si presenta il fascino antico della vendetta alla sarda. Qui il centro non è neanche il motivo dell’uccisione di Imperantoni, (poi si scoprirà non essere il destinatario delle coltellate), il centro è la volontà di verità. La morte di Imperantoni, (ma anche quella del vero destinatario) era un’aberrazione, anche per “l’aggravante dei futili motivi”. La morte però, chiamava altro sangue e così all’infinito. Da un errore a volte potevano nascere le faide, ataviche lotte per vendicare i propri morti. Questo libro racconta una storia vera, una storia che stravolge il comune modo di pensare, emoziona e rende il lettore partecipe di eventi così lontani nel tempo ma così vicini nel significato. Questo libro restituisce dignità e forza agli eventi della vita, che molte volte nascono dalla volontà e coraggio delle donne sarde e mediterranee.

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