grattacielo
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In una recente intervista, lo storico dell’arte Philippe Daverio ha indicato nella città moderna il luogo ideale dove giornalmente si crea il futuro. Non solo un ammasso di grattacieli, quindi, che si stagliano immobili all’orizzonte disegnando uno skyline di forte impatto estetico, ma un attivo “cumulo di opportunità” aperte verso il domani e parte attiva di esso. A suo vedere, la realtà concreta e tangibile della città, fatta di teatri, università, abitazioni fa da indispensabile contraltare al virtuale di Internet fattore dal quale non si può prescindere quando ai nostri giorni si parla di futuro. La città è, infatti, luogo di scambio di merci e di opportunità fisiche, di passatempi, di formazione. Essa è sempre in movimento non solo grazie al suo sistema di strade, ma attraverso un sistema articolato di opportunità e ipotesi di evoluzione che per guardare al meglio al futuro deve tenere conto delle proprie radici, del proprio passato e dell’eredità che da questi proviene adattandoli all’uso di oggi.

Sin dal Rinascimento, in effetti, la progettazione del futuro ha trovato una delle sue attuazioni attraverso la progettazione di “città ideali” che si facessero interpreti dei sogni e delle aspirazioni comuni. La stessa Utopia di Tommaso Moro altro non era che la concretizzazione sotto forma di luogo perfetto di vita di un sogno che si auspicava sarebbe divenuto realtà un domani. Lo stesso si può affermare sia per La città del sole di Tommaso Campanella che per luoghi realmente costruiti, seppur mai abitati, come Palmanova (fig. 1) che per ingraziarsi gli dei e ottenerne la benedizione, in un periodo in cui l’Astrologia e la Numerologia giocavano un forte ruolo nella vita degli esseri umani, aveva assunto forma di stella a 9 punte concepite partendo da quel numero perfetto che è il 3. E la Numerologia e i simboli esoterici e massonici sono alla base anche della “città ideale” di Washington, novella Gerusalemme e capitale di quel “Mondo nuovo” (fig. 2) a cui Giandomenico Tiepolo, facendosi interprete di un sentire comune, guardava come al futuro allorquando, nel XVIII secolo, la grandezza di Venezia stava dissolvendosi. Nell’affresco staccato che ora fa bella mostra di sé nel Museo del Settecento veneziano a Venezia una folla colorata, formata da uomini, donne e bambini senza distinzione di classe, età e sesso dalle rive di uno dei tanti isolotti della laguna veneta guarda verso il mare aperto e a quello che vi è oltre l’orizzonte senza paura e apprensione ma nella trepida attesa di quel nuovo a cui si rivolgono dando le spalle al passato e a chi li guarda invitando quest’ultimo a fare altrettanto volgendo lo sguardo al futuro senza rimpianti e senza girarsi indietro.

E se di futuro si parlava in un’epoca come il 1700 in cui le rivoluzioni la facevano da padrone, anche nel ventennio di transizione tra l’Ottocento e il Novecento, come dimostrato nel libro di Lucio Villari Notturno italiano in cui lo storico ravvede molti punti in comune con la nostra attualità, ci si interrogava su quel domani che i Futuristi elessero a loro bandiera. Anche i Futuristi, infatti, proprio come Daverio, vedevano nella città il futuro che avanzava. La città che sale, la grande tela di Umberto Boccioni (fig. 3) è un esempio emblematico del loro pensiero. Vi si coglie la visione di palazzi in costruzione, ciminiere e impalcature che testimoniano l’urgenza senza sosta della metropoli moderna verso il domani. Uomini e cavalli, fusi insieme in uno sforzo altamente dinamico, sono i protagonisti sia del dipinto che dell’avanzamento verso il nuovo. L’intento di Boccioni è rappresentare il lavoro umano sottolineando l’importanza del ruolo ricoperto dalla città moderna all’interno del nuovo concetto di uomo. In modo magistrale l’artista interpreta quelle che erano le idee base che informavano il movimento futurista: l’esaltazione visiva della forza e del movimento tesi verso la creazione di un nuovo mito, quello dell’uomo moderno, artefice del suo futuro. Il soggetto da raffigurazione di un normale momento lavorativo si trasforma, allora, nella celebrazione stessa e positiva del progresso industriale con la sua avanzata inarrestabile come inarrestabile è il cavallo in primo piano che alcuni uomini tentano invano di tenere per le briglie.

Non certo così ottimistica appare, però, la visione che della città del futuro diede Fritz Lang nel suo Metropolis. A differenza dei Futuristi, infatti, gli Espressionisti tedeschi di cui Lang era un rappresentante ravvedevano nelle nuove metropoli solo l’aspetto tentacolare e estraniante (fig. 4). Eppure è indubbio che la cupa e oppressiva idea di città presentata da Lang derivava da quella aperta ed ottimista che Antonio Sant’Elia aveva espresso un decennio prima nei suoi disegni dedicati alla “Città nuova” (fig. 5). Questi, oltre a rappresentare per noi progetti più che attuali, già negli anni ‘20/’30 del Novecento avevano trovato massima realizzazione nelle metropoli americane che tanto avevano spaventato Lang.

Nel Secondo Futurismo mentre Prampolini andava immaginando architetture in continuo movimento, capaci di coinvolgere anche gli abitanti delle metropoli nella frenetica corsa verso il domani Depero continuava a celebrare nei suoi dipinti New York (fig. 6) ed il suo incessante ed esaltante anelito verso il futuro.

Dopo la Grande depressione che fece seguito al crollo di Wall Street del 1929, New York (figg. 7 e 8) divenne sempre più la città icona dell’America che voleva lasciarsi alle spalle le immense difficoltà derivate dalla crisi economica puntando dritto verso il futuro. Tre costruzioni divenute simbolo della città si sfidarono agli inizi degli anni ‘30 nella corsa al cielo e all’impossibile: il Rockefeller Center (fig. 9) alto 266 metri, il Chrysler Building (fig. 10) alto 319 metri ed infine l’Empire State Building (fig. 11) alto 381 metri (443,2 se si considera l’antenna televisiva posta sulla sua sommità). Con le loro cime puntate verso l’alto quasi fossero frecce scoccate da un immaginario arco pronte a centrare l’obbiettivo, i tre edifici si fecero interpreti perfetti del desiderio di tutto un popolo di guardare con fiducia verso un nuovo e migliore domani.

Vasco Rossi - foto di Virginia Straffalaci
Aperture: 5.9
Camera: COOLPIX S225
Iso: 1600
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