De André canta De André
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Articolo di Erika Pirinu e Gavino Canu

Alghero (ITALIA)

“Verranno a chiederti del nostro amore, quando mio padre la compose avevo solo cinque anni e mi pare che fossero le sei del mattino”. A sentire C., è così che Faber chiamava suo figlio, raccontare la nascita di un capolavoro c’è da rabbrividire.

Sardinia Entertainment organizza un benvenuto d’eccezione al mese di Agosto, una domenica sera ricca di stelle e melodie di tempi passati perfettamente incastonati nella ritmica moderna. Il figlio di uno dei più grandi cantautori italiani per FestivAlguer 2010, De Andrè canta De Andrè, Cristiano canta Fabrizio, e lo canta nel migliore dei modi, come solo chi ha visto da vicino un grande poeta e ci ha vissuto insieme può fare.

L’Anfiteatro Maria Pia schiude le braccia alla poesia cantata e accoglie una moltitudine ineguale di persone che dalle parole di De Andrè ha tratto e continua a trarre conforto. Dalla platea, composta dal sessantenne che alzandosi dalla sedia in quarta fila sprigiona tutta la sua gioia ai primi accordi di Don Raffaè, ai ventenni che non sanno stare seduti e con i bicchieri di vino in mano possono solo immaginare quelle che erano le atmosfere degli anni in cui Fabrizio cantava, e ci sono tutti, donne uomini e bambini che sono la vittoria della musica ricercata, la musica che rimane e che ha ancora molto da dire.

La voce di Cristiano sembra incarnarsi perfettamente in quella di Fabrizio, “datemi una sigaretta”, dice prendendo una pausa tra una canzone e l’altra.
I brani in dialetto, Crueza de ma, su tutti, rappresentano in pieno quello che De Andrè pensava della musica: fondersi con il territorio, la sua gente e le loro storie, non la lingua italiana, quindi, con le sue tronche, ma i dialetti locali, gli unici in grado di esprimere le storie degli ultimi, dei respinti, degli anonimi. Ed ecco che Cristiano non può farci mancare una Marinella suonata eccezionalmente con incursioni di chitarre rock, Dormono sulla collina dell’Antologia di Spoon River e naturalmente la storia di quel pescatore che tanto ha da insegnare, e per finire le struggenti note finali di Canzone dell’amore perduto. I suoni mediterranei, non mancano, continuano ad esserci ma mescolati a sonorità rock, sono il risultato delle influenze della musica ascoltata da Cristiano e dal resto della band che non fanno perdere l’essenza della poesia di De Andrè.

Vedere i lineamenti di Cristiano avvolti dalle luci, dalla musica, dalla poesia non può non farci riflettere su quanto forte dev’essere l’animo di questo ragazzone, che dietro alla fortuna di avere un padre come Fabrizio avrà dovuto subire senza dubbio la pesante e a volte dolorosa figura del genio paterno, ma dalle sue capacità interpretative ci fa capire che è stato in grado di conviverci e soprattutto di trasmetterci quell’anima fragile che tanto ha dato alla nostra isola.

 

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