Smile
Share

I Paesi Mediterranei possiedono culture tanto variegate che non sarebbe impresa semplice trovare un filo conduttore tra le cause scatentanti di un semplice sorriso.

Tuttavia è simpatico osservare come il sorriso in se stesso, cioè il movimento di contrazione dei muscoli facciali, sia universale e comprensibile sempre e comunque. Anche se ci trovassimo di fronte a una persona che parla una lingua totalmente diversa dalla nostra, insomma se non capissimo un’acca di quello che questa ci ha detto, credo proprio che un bel sorriso ci farebbe capire in ogni caso che quella persona è bendisposta o divertita.
Riflettendo su questo argomento, che sembra tanto scontato in qualsiasi ambito, ho provato a pensare, relativamente all’epoca contemporanea, in che modo anche i mezzi tecnologici si siano adeguati ad esprimerlo.

Insomma oggigiorno i nostri sms, le nostre mail, le nostre conversazioni di chat e i nostri status dei social network sono tempestati di “smiley”, ossia di quelle faccine stilizzate, composte dai vari simboli delle tastiere dei cellulari o dei computer che esprimono le molteplici espressioni del viso. Credo che siano innanzitutto simpatiche, ma anche che “completino” in qualche modo il testo da noi scritto.

Insomma ci permettono di interpretare e far interpretare in modo più “emotivo” le informazioni trasmesse. Non a caso vengono chiamate anche “emoticon”, un termine che unisce le parole inglesi “emotion” e “icon”, rispettivamente “emozione” e “icona”, che oltretutto sono due elementi portanti della comunicazione artistica e grafica.
Ma vi siete mai chiesti da dove sono nate? Insomma chi è stato il primo a comporre uno smile?
Il web presenta testimonianze molto interessanti in merito, sia in lingua italiana che in lingua inglese, con tante curiosità e aneddoti.

Una scuola di pensiero afferma che la prima emoticon fu utilizzata nel 1979 da Kevin MacKenzie, in una mail inviata ai membri di MsgGroup, una delle prime società Bbs (Bulletin Board System ); egli suggeriva agli iscritti di rendere i messaggi meno freddi, consigliando di utilizzare un trattino seguito da una parentesi chiusa (quindi “-)”, molto simile a un nostro “mezzo smile”) per indicare una linguaccia. Tuttavia la sua idea non ebbe molto seguito.
Invece secondo altre ricerche, la prima emoticon sarebbe stata utilizzata nel 1982 in un messaggio di Scott E.Fahlman, apparso in una Bbs della Carnegie Mellon University (Pennsylvania), per rendere palese l’ironia di una sua frase, che altrimenti avrebbe dato adito a discussioni ed incomprensioni.

Un’altra storia dell’emoticon, forse più convincente e curiosa, comincia sempre oltreoceano, nel 1963, quando il grafico Harvey Ball viene ingaggiato dalla neonata compagnia di assicurazioni Allamerica Life Insurance Company, statunitense, frutto della fusione di due compagnie, per ideare un simbolo che potesse risollevare il morale dei dipendenti in seguito a questo accorpamento, e che ricordasse loro di mostrarsi più gentili nel trattare con i clienti.
Era necessario qualcosa che ispirasse un po’ di ilarità, un simbolo che invitasse a sorridere.
Si diceva che Harvey Ball non fosse uno che amasse sprecare tempo e inchiostro, difatti Inizialmente disegnò solo il sorriso, quindi la sola “bocca”. Solo successivamente aggiunse gli occhi. Impiegò circa dieci minuti per tutto questo.
Perciò il risultato di questo lavoro fu una forma circolare con un bel sorriso e due occhietti neri, il tutto dipinto di giallo: un colore solare, di conseguenza adatto allo scopo iniziale.
Questa fu stampata su un centinaio di bottoni, ed ebbe molto successo, tanto che la compagnia aumentò la produzione fino al migliaio e oltre. Ma il signor Harvey Ball non pensò di depositare come marchio la sua creazione, e paradossalmente, non guadagnò un centesimo di più dei 45 dollari che gli spettavano per il suo lavoro.

Suo figlio testimoniò successivamente che suo padre non si pentì mai di non aver depositato il marchio, molto semplicemente perchè non era interessato a fare soldi a palate, d’altronde “poteva mangiare una sola bistecca alla volta, e guidare una sola automobile alla volta”.
L’icona fu invece popolarizzata nei primi anni 70 dai fratelli Murray e Bernard Spain, i quali depositarono il marchio, facendone uno dei simboli più popolari del tempo.
Il simbolo fu impresso su bottoni, tazze, t-shirts e molti altri oggetti, accompagnato dalla frase “Have a Nice Day” (Passa una bella giornata). Esso raggiunse dei picchi di diffusione altissimi tramite i vari gadgets in pochissimo tempo: rappresentava allora la “faccia sorridente” dell’America.
La rilevanza artistica di questo simbolo fu quindi in principio apparentemente trascurabile: era una grafica sicuramente essenziale, povera, tuttavia immediata e di grande impatto comunicativo.
Fu questo il suo successo: fu talmente grande negli anni a venire che non si limitò a rimanere circoscritto ma si espanse ovunque e perdurò nel tempo, tant’è vero che il simbolo ha subito una trasformazione che lo ha catapultato anche nelle più moderne tecnologie.
Lo smile infatti si è diffuso su Internet anche attraverso il formato .GIF oltre che con la sequenza di tasti che tutti noi conosciamo “:-)”. Ora, tale sequenza, nel mondo delle chat è spesso associata a una piccola immagine grafica che si avvicina parecchio alle forme originali della faccina ideata da Harvey Ball.

Harvey Ball
Harvey Ball

Ma poteva lui immaginarsi che la sua idea “da dieci minuti” potesse trasformarsi in uno strumento comunicativo cosi potente?
Se ci pensiamo bene, uno smile nelle nostre e-mail o nelle nostre conversazioni di chat può cambiare completamente il senso interpretativo della frase. Talvolta ci serviamo di uno smile isolato per rispondere. Infatti benchè fosse nato ufficialmente come solo sorriso, oggi ha trovato tra i tasti delle nostre tastiere anche i modi per esprimere mille e una espressioni del viso: possiamo comunicare divertimento, dispiacere, stupore, perplessità, indifferenza.
In effetti si sa che le parole sono sicuramente molto utili, ma un’espressione può comunicare molto di più.

A questo punto non rimane che riflettere ancora una volta sulla comunicatività dell’arte, che non deve essere intesa come la sola triade pittura/scultura/architettura, ma che deve essere estesa anche al campo della grafica per arrivare all’attualissima grafica computerizzata che ormai non smette più di stupire per quanto permette di assimilare creazioni digitali alla realtà.
Credo che il potere comunicativo del “sorriso virtuale” sia oggi penetrato ufficialmente nel nostro bagaglio culturale, ed è stupefacente pensare come potrebbe essere nato tutto dallo smile di Harvey Ball, partito dagli Stati Uniti e giunto anche nel nostro Mediterraneo, che non manca di aprirsi alla tecnologia e di rendere proprio anche questo modo di esprimersi sicuramente rivoluzionario, ma che in fondo ha sempre alla base quanto di più socialmente comunicativo esiste a prescindere dai paesi, dalle culture e dalle lingue: il sorriso.

Leave a comment.