Torino
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Dietro l’apparente semplicità degli allestimenti museali si celano complesse dinamiche comunicative che di rado trovano sbocchi in schemi preordinati o in formule universalmente applicabili. Per ogni tipologia museale resta comunque l’esigenza di allineare opzioni espositive a rigorosi principi scientifico-culturali, escludendo improvvisazioni di sorta attraverso attente analisi multidisciplinari.

Uno degli obiettivi è certo quello di guidare il visitatore usando un linguaggio semplice in un percorso esauriente, a volte affascinante, comunque aderente all’humus culturale cui le scelte espositive sono legate. Impatto architettonico, adeguatezza funzionale, idoneità degli arredi, selezione degli oggetti, sono soltanto una minima parte dei parametri in gioco. Né si possono definire rosee le prospettive di finanziamento, ormai sempre più vittime del rigetto delle richieste, in un’ottica di tagli alle spese cui lo Stato ricorre in modo sempre più sistematico.

Ma i fondi disponibili non sono l’unica nota dolente, manca, forse, uno specifico organismo di indirizzo preposto alla valutazione della congruità delle scelte museografiche, della validità dei progetti. Una struttura che possa agire relativamente libera dalle zavorre burocratiche e che sia, in un certo senso, “super partes”.

Sovente dal panorama editoriale di ambito archeologico traspare, da un punto di vista grafico non meno che sotto il profilo del linguaggio, una cronica difficoltà ed inadeguatezza dell’archeologo alle prese con la trasmissione al pubblico delle proprie conoscenze, ciò specialmente negli incarichi più prettamente museali. E’ sperabile una crescita del dibattito intorno ad una problematica cui potrebbero essere ricondotte le origini di una poco discussa “questione museale”. Non pare sufficiente, oggigiorno, disporre di bravi archeologi, è invece auspicabile il ricorso ad archeologi appositamente formati e specialisti della comunicazione, a museologi competenti insomma.

Il Museo Archeologico Nazionale di Cagliari, a dispetto di un recente ed opinabile riconoscimento pubblico, manifesta in modo nitido i sintomi comuni ad un’intera schiera di musei nostrani. Nel suo caso, il trasferimento dalla vecchia alla nuova sede, ricavata nella suggestiva ambientazione dell’ex Regio Arsenale, ha lasciato il sapore amaro di un’occasione perduta. Diversi sono gli elementi dell’allestimento che denunciano minore organizzazione, già in fase ideativa, laddove la discutibile gestione di talune problematiche logistiche fa il paio con l’accenno, in verità alquanto marcato, ad un’inversione di tendenza “culturale” piuttosto soggettiva ed imbarazzante, in un insieme complessivamente meno attento al mantenimento di una linea ideale di continuità e valorizzazione di modalità espositive consuete nel passato, ma non per questo meno efficaci ai nostri giorni, come ad esempio nel caso del Museo Egizio di Torino.

Nell’attesa e nella speranza di un cambiamento di rotta, duole rilevare il perpetuarsi a livello nazionale di scelte a volte avulse o inappropriate, al di fuori di forme di coordinamento generale più consapevoli ed efficaci. Il minor servizio reso al patrimonio culturale italiano si riflette, in modo direttamente proporzionale, tanto sull’intera categoria degli archeologi, ancora imprigionata in una sorta di assurdo limbo professionale tutto italiano, quanto sul territorio nazionale per la mancata crescita culturale e di sviluppo in settori dell’economia ormai da troppo tempo in attesa di trovare posto sul palcoscenico che più gli compete.

Si apra finalmente un dibattito partecipato, iniziando dall’importanza di “sfamare” l’impellente bisogno di raggiungere livelli di comunicazione museale degni di questo nome. Si riconosca, nell’interesse generale, anche la straordinaria opportunità che ci viene oggi presentata dalla possibilità di un fecondo confronto tra nazioni diverse, in un “piatto unico” servito alla mensa comune del Mediterraneo.

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