Scena di lotta turca
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Era il 1346.

L’armata del sultano Orhan tornava vittoriosa dai campi di battaglia della Tracia, e si accampò nei pressi di Adrianopoli. Quaranta soldati si sfidarono in un torneo di lotta, e il loro comandante, il figlio del Sultano, mise in palio un paio di calzoni da combattimento in cuoio. Ma gli ultimi campioni, due fratelli, non riuscirono a prevalere l’uno sull’altro. Lottarono per un giorno e una notte, e alla fine, morirono entrambi, di sfinimento, senza un vincitore. I loro compagni li seppellirono sotto un albero di fico, e inchiodarono il trofeo all’albero.

Anni dopo, i soldati tornati nella zona non trovarono la tomba dei lottatori: al suo posto, c’era una sorgente, con quaranta bocche. Da allora, ogni anno, tornarono a incontrarsi in quel posto per sfidarsi e onorare la memoria dei due lottatori.

Oggi Adrianopoli si chiama Edirne.

Dopo essere stata conquistata dai soldati-lottatori nel 1354, fu la seconda capitale dei Sultani Ottomani, che la resero splendida, con la più bella moschea della Turchia, la Selimiye Camii, opera del celebre architetto Sinan. Dopo le guerre balcaniche, e il collasso dell’Impero, è diventata una cittadina di frontiera, ma i lottatori turchi continuano ad incontrarsi qui ogni anno. La lotta nell’olio è entrata nel folklore locale al punto che, si dice, per aver diritto a sposare una ragazza di Edirne, il pretendente deve prima sfidare e battere il padre o il fratello della fidanzata.

Nel 2012, il torneo di lotta è giunto alla 651esima edizione. E’ chiamato “Kirkpinar” (pronuncia: k’rkp’nar), “quaranta sorgenti”, è incluso nella lista dell’UNESCO come Patrimonio dell’Umanità, ed è il più antico torneo sportivo che si svolga regolarmente, senza interruzioni.

I lottatori provengono da tutta la Turchia, indossano solo un paio di brache di cuoio, e si cospargono completamente di olio d’oliva: in questo modo, la presa sull’avversario diventa estremamente difficile. Vince chi riesce a sollevare l’avversario, o a metterlo con le spalle a terra.

I combattimenti avvengono ad eliminazione diretta, in un’arena usata solo per questi eventi: come negli antichi scontri tra gladiatori, anche decine di coppie di lottatori si affrontano nello stesso momento.

Il rituale è immutato dai tempi degli Ottomani: i lottatori, chiamati “Pehlivan”, da un’antica parola persiana che significa “eroe”, si cospargono di olio d’oliva, e si allineano sul bordo dell’arena, di fronte alla tribuna d’onore, dove siede l’”Agha”, la persona che si è aggiudicata all’asta l’organizzazione del torneo dell’anno. Una banda tradizionale suona gli scatenati ritmi ottomani, che un tempo risuonavano sui campi di battaglia. Lo speaker invoca la benedizione divina sui lottatori, recitando la “shahada”, la dichiarazione di fede islamica (un po’ incongrua in una Repubblica laica, nel contesto di un evento sportivo: ricordo dei tempi quando un incontro di lotta era un giudizio divino), i “pehlivan” baciano il campo, e avanzano a passo cadenzato nell’arena. Poi, si affrontano, a coppie.

La lotta nell’olio è una tradizione che risale all’alba della Civiltà: la rappresentazione più antica è stata trovata in una tomba a Saqqara, in Egitto, datata al 2650 a.C.

Oggi, chiamata genericamente “Lotta Turca”, si sta diffondendo nel mondo, specialmente in Giappone e nei Paesi Bassi, ma il torneo di Edirne, pur ammettendo solo cittadini turchi, rimane il più importante. Ben 1556 lottatori, divisi in 14 categorie, si sono sfidati quest’anno sull’erba dell’arena sull’isola di Sarayiçi, tra i fiumi Meriç e Tunca, che era una volta una riserva di caccia dei sultani. Il vincitore, il “Baspehlivan” (“capo lottatore”) riceve una cintura d’oro a 14 carati, ma anche coppe e medaglie: queste ultime sono un’innovazione recente, dalla fondazione della Repubblica Turca, quando Mustafa Kemal Atatürk spostò la Turchia verso l’Europa, voltando le spalle anche a molte delle usanze mediorientali. Fino ad allora, il premio del vincitore era misurato in oro, pecore, montoni, capre, e persino anatre o polli, qualsiasi cosa l’”Agha” di quell’anno riuscisse a procurare.

Quest’anno l’ambita cintura d’oro è stata vinta da Ali Gurbuz, di Antalya, che per il secondo anno consecutivo ha battuto Recep Kara, di Ordu, sul Mar Nero, già tre volte campione. Il padre di Ali Gurbuz era a sua volta un famoso Baspehlivan.

La maggior parte dei lottatori partecipano a proprie spese, dormendo in macchina, o accampati nel parco che circonda l’arena, viaggiando in gruppo o accompagnati da amici e familiari.

La settimana del “Kirkpinar” è la più importante dell’anno, a Edirne, e il parco sull’isola diventa una grande fiera, dove si mescolano spettatori, lottatori, giornalisti da tutto il mondo, venditori e suonatori. All’esterno dell’arena, fiori vengono deposti ai piedi delle statue dei più famosi “Baspehlivan” e “Agha”, cerimonie religiose onorano i “pehlivan” sepolti nel loro cimitero.

L’amosfera però è più di solennità che di festa: si respira la consapevolezza di vivere centinaia di anni di Storia, che ha formato l’anima del popolo turco. Tra le tante tradizioni diverse del mosaico che è la moderna Turchia, il “Kirkpinar” è una delle poche veramente sentite in tutto il paese. E guardando ragazzi e uomini che si affrontano nell’arena, torna in mente l’espressione dei viaggiatori orientalisti dell’Ottocento: “Forte come un lottatore turco”.

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