Mores
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“Mediterraneo traditore” , deve aver pensato Julia Casu Masia Porcu, meglio nota come Julia Carta. Una bella beffa e alquanto fastidiosa, a patto che Julia sapesse cosa fosse il Mediterraneo e che nel bel mezzo di quel mare sarebbe vissuta e morta.

Di certo sapeva d’essere nata a Mores, sapeva che il padre era alvañil, muratore e sapeva che di lì a breve avrebbe sposato un vedovo di Siligo con un figlio e che praticava il mestiere del labrador, contadino. Allora aveva tra i 24 e i 25 anni e possiamo immaginare che si trasferì dal proprio paese a quello altrui con un certo entusiasmo e un pizzico mal celato di timore.

Aveva già imparato buona parte di quell’arte che le avrebbe consentito di rosicchiarsi un posticino al sole all’interno di una miserevole società, ma non certo impunemente, perché l’inquisizione l’avrebbe processata non una, ma ben due volte.

Un bell’inganno, deve esserselo ripetuto in carcere Julia, o mentre indossava il suo sambenito giallo come l’oro. Inganno di quella terra e di quel mare che le donne le aveva sempre vezzeggiate, imponendo loro d’imparare l’arte della guarigione e della consolazione, d’aprire le porte alla vita, e di socchiuderle alla dipartita della morte, e che ora iniziava a punirle per il semplice fatto di rivestire con una certa professionalità il ruolo impostole.

Julia era una strega, almeno a detta dell’inquisizione che la imprigionerà tra il 1596 e il 1597, quando la donna non era più troppo giovane. Doveva avere tra 34 e i 35 anni. Ma i dati sono incerti, perché all’età, quella anagrafica l’inquisizione non dava troppo peso. Sicché scrissero che Julia doveva avere 34 – 35 anni mas o menos. Ancora nel 1597 la donna sarda godeva di un certo privilegio, che nel caso di Julia si trasformò in dannazione. Chiamata alla gestione profonda della famiglia, che silenziosamente dirigeva lasciando in apparenza all’uomo il diritto di far la voce grossa, aveva anche il dovere d’avvicinarsi a quel mondo fatto d’erbe e di cure.

A Siligo di medici non ce n’erano un granché e pur supposto che li si potesse mandare a chiamare, certamente non si ponevano a disposizione di labrador e alvañil. Sicché quando questi si ammalavano era a donne del carattere di Julia che si ricorreva. Confiderà, nemmeno tanto spontaneamente all’Inquisizione, d’aver imparato tutto quello che sapeva dell’arte da tre donne. La nonna e Tommasina Sanna, donne entrambe morte e una zingara, rivelando una cosa non da poco agli inquisitori: che in Sardegna certi saperi profondi, mistici e sacrali venivano trasmessi solo da donna a donna. Ma c’è di più. Questi saperi le donne li trasmettevano solamente quando anziane, sentivano il sopraggiungere della morte. Un’eredità, che nel caso di Julia si dimostrò davvero pesante.

Strega, eretica, invischiata pesantemente con la magia, e poi ancora peggio, in contatti con su Tentadori, il demonio sardo. Un donnino pericoloso questa Julia Carta. E’ per questo che nel 1596 venne imprigionata in Sassari.

Eretica perché aveva confidato ad un’amica dei mezzi che oggi diremo alternativi di confessione. Dato che in Siligo quando un prete s’adirava spiattellava qua e la i peccati confessati da chiunque, Julia consigliava di far una fossa dinanzi ad un altare, confessare i propri peccati e tapparla, o di pronunciarli sotto il lenzuolo del proprio letto e subito abbassarlo, o a un torrente in corsa. Sembra che queste tecniche originali non abbiano fatto sorridere gli inquisitori, come oggi fanno sorridere noi. Eretica, e da generazioni dato che questi trucchetti glieli aveva insegnati la nonna.

Hechizera, fattucchiera, strega. Sapeva prevedere la morte o la guarigione di chi che sia, poteva migliorare la salute degli ammalati, e pare non ci fosse donna più capace nei dintorni, per la preparazione di pungas, amuleti. A Julia ricorrevano in tanti, e tutti conoscevano la sua fama. Non in pochi la temevano, e moltissimi la rispettavano. Ma gli screzi con l’amica Barbara de Sogos furono per Julia drammatici. Barbara ed il parroco l’accuseranno davanti all’Inquisizione, la prima pregando che il suo nome non fosse rivelato, perché temeva per la sua vita, ad attestare il potere del quale era investita Julia.

Confesserà tutto la strega, e pure qualcosa in più della verità, in quella stanza detta la Camara del tormento. Le si può dare torto? Condannata ad abiura pubblica e tre anni di carcere, da scontare in propria dimora, indossando la propria vergogna in forma di sambenito.

La fine di Julia è dubbia. Se ne sentirà parlare ancora, in occasione di un secondo processo ancora per stregoneria, e poi dopo nel 1614, perché il suo sambenito era scomparso dalla chiesa nella quale era apposto. Ma le tracce di lei si perdono, lasciandocela immaginare ancora intenta nel suo miscelare e nel suo curare, impegnata in quella professione che per forza di cose era necessario svolgesse, perché per quella vita lei era nata.

La storia di una donna qualsiasi, che visse delle vicende eccezionali. Ingannata non tanto dal Mediterraneo o dalla sua bella Sardegna, quanto piuttosto dai suoi abitanti. E sembra quasi che il Mediterraneo abbia voluto ripagarla, regalandole un angolo di storia, mitica e misteriosa, così come la sua stessa arte.

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