Retablo
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La pittura tardo medioevale in Sardegna si può definire con una sola parola, ispanica ed elegante: retablo. Ma che cos’è un retablo? E’ una pala d’altare a diversi scomparti pittorici che, con la sua ricca decorazione e incorniciatura, richiama in forma stilizzata e bidimensionale una cappella gentilizia di tipologia catalana.

L’etimologia deriva da “retro tabula” ovvero dalla collocazione dietro l’altare maggiore delle chiese. L’impianto pittorico è diviso solitamente in tre parti verticali denominate pessas: forana de ma dreta e forana de ma esquerra quella laterali, migana la centrale. A loro volta ogni pessa può contenere al suo interno altre raffigurazioni pittoriche più piccole chiamate casas o cases. Lo scomparto principale, che solitamente connota il retablo anche dal punto di vista della sua denominazione, è quello situato nel centro e in basso, che a volte è stato sostituito da una nicchia in oro zecchino che accoglie una statua (vedi retablo di Villamar). Nella parte inferiore è presente una predella, detta peu, anch’essa divisa in piccoli scomparti dipinti che al loro centro presentano un vano che accoglie il tabernacolo. I polvaroli o guardapols, piccoli dipinti laterali obliqui che proteggevano l’opera dalla polvere, completano l’insieme.

L’integrazione di pittura negli scomparti, di scultura nelle parti lignee, di architettura nella cornice e nell’impianto generale, è così completa in un piccolo compendio delle arti visive principali. Ciò spiega la ragione dell’enorme successo di questo genere d’arte che rappresenta la stragrande maggioranza della produzione pittorica in Sardegna dalla fine del 1300 fino a tutto il 1600.

Tutto ebbe inizio quando, nel 1326, la città di Cagliari assediata da ben tre anni, venne conquistata dai Catalano – Aragonesi che sconfissero i Pisani che ne avevano fatto la propria roccaforte nel senso proprio del termine con la costruzione dell’imponente cinta muraria fortificata che si ammira ancora oggi. Da allora incomincia un processo di de – italianizzazione dell’Isola con conseguente introduzione e diffusione della cultura ispanica.

E’ a questo punto che compare il retablo nella sua forma tipica catalana, ovvero un modo di interpretare l’arte totalmente differente dalle sobrie manifestazioni artistiche che si rifacevano a diffusi modelli toscani importati da Pisa. Nella cronologia del retablo sardo si distinguono tre importanti scuole artistiche: la scuola catalano aragonese, la ispano – sarda, la scuola sarda propriamente detta.

Per quanto riguarda i primi pittori catalani che operarono in Sardegna ricordiamo tra gli altri Joan Mates, Rafael Tomas, Juan Figuera e Juan Barçelo. Il primo fra questi a comparire in Sardegna, alla fine del 1300, è Joan Mates, pittore catalano di Vilafranca del Penedès formatosi nella bottega barcellonese di Pere Serra, che realizza il retablo dell’Annunciazione per la cappella absidale di destra detta per l’appunto cappella dell’Annunciata, di proprietà dei Di Dono o Dedoni, nella scomparsa chiesa di S. Francesco di Stampace, la cui costruzione fu iniziata dai pisani nel 1274 nell’area compresa orientativamente tra l’angolo attuale del Largo Carlo Felice con il Corso Vittorio Emanuele, che comprendeva l’intero isolato con il perimetro compreso tra via Sassari e via Mameli.

Di quest’opera restano ad oggi solo otto frammenti dipinti a tempera e oro zecchino. La descrizione che dell’opera fa il Canonico Spano ci racconta che nel retablo erano presenti altri scomparti andati perduti. L’ultimo restauro, nel 1998/99 ha riportato alla luce una scena del pannello laterale de la Caccia di S. Giuliano e alcune parti della predella, di pregevole fattura e impianto fiammingo.

Alcuni tra i retabli più antichi possono essere ammirati alla Pinacoteca della Cittadella dei Musei (www.pinacoteca.cagliari.beniculturali.it) e vale la pena di una visita per rendersi conto dell’evoluzione del genere artistico dalla scuola ispano sarda di cui sono rappresentanti il magnifico e misterioso Maestro di Castelsardo, il cosiddetto Maestro di Oliena e Giovanni Muru, fino alla cosiddetta scuola sarda propriamente detta che comprende la scuola di Stampace della dinastia dei Cavaro, Antioco Mainas e molti altri.

Un docufilm molto interessante al riguardo è quello realizzato dal regista sardo Marco Antonio Pani dal titolo “Els Pintor catalans a Sardenya” che racconta attraverso una elegante fiction la storia e i legami tra la pittura catalana e quella sarda. Il cortometraggio racconta in forma di fiction la storia del retablo di San Bernardino, anch’esso proveniente all’omonima cappella della chiesa di S. Francesco di Stampace. Nel film si racconta della sua commissione, da parte di un maggiorente cagliaritano Francesch Oliver e del rappresentante dei frati minori del convento di San Francesco Miquel Gros, ai pittori Rafael Thomas e Joan Figuera per duecentoquaranta fiorini d’oro d’Aragona.

Del bellissimo documentario si può vedere un estratto al link: http://www.youtube.com/watch?v=pe0v6w9kK80

Se il tema del retablo appassiona chi legge, è possibile ipotizzare un interessante itinerario pittorico alla scoperta della storia della pittura della scuola ispano sarda e sarda, i cui esempi sono disseminati in alcuni luoghi, sia della città di Cagliari che della provincia, specialmente nella Marmilla, in cui si conservano alcuni degli esempi più interessanti di questo genere artistico.

In particolare, nella prima metà del 1400, si sviluppa a Cagliari la cosiddetta scuola di Stampace ubicata nell’omonimo quartiere storico, dei Cavaro. Il primo di cui abbiamo notizia è un Antonio Cavaro Pintor, poi Lorenzo padre del più dotato e famoso Pietro e a seguire il cinquecentesco Michele. Una bottega, quella di Stampace, che realizzò alcuni tra i retabli più belli, di cui si possano ammirare alcuni frammenti custoditi, come detto, presso la Pinacoteca di Cagliari ma anche, a volte, nascosti in luoghi sacri e spesso sconosciuti ai più. Un primo esempio di questo itinerario nascosto è rappresentato dal frammento del cosiddetto retablo dei Sette dolori, attribuito a Pietro Cavaro, che rappresenta la Mater Dolorosa, conservato nel convento dei frati minori di Santa Rosalia nel quartiere cagliaritano di Marina, tra la via Mazzini, la via Torino e la via Principe Amedeo. Dal frammento si riconosce una qualità di pittura alta e italianeggiante di cui si può ammirare un altro esempio, presso la Pinacoteca il “compianto di Tangeri” proveniente dalla collezione De Candia.

Altro frammento di retablo di grande pregio è quello conservato della Cattedrale di Cagliari, attribuito ad un anonimo campano che si pensa abbia influenzato la successiva pittura del Maestro di Ozieri, attivo in Sardegna nel 1500. Il retablo da cui proviene è detto della Crocifissione, molto apprezzato dallo storico dell’arte Corrado Maltese per la qualità della pittura. Di quest’opera non sono conservati né la predella, né i polvaroli, anche se si pensa che le dimensioni fossero al di sotto della norma, più vicine a quelle della pale d’altare della pittura tipicamente italiana del ‘500. Da osservare la posizione del Cristo che si rifà alla scultura lignea del Cristo di Niccodemo del S. Francesco di Oristano secondo la tradizione iconografica inaugurata da Pietro Cavaro.

Un altro curioso frammento pittorico è conservato presso il palazzo del Municipio di Cagliari, nella via Roma. Si tratta della Santa Cecilia facente parte del retablo dei Consiglieri, realizzato da Pietro Cavaro e aiuti e anticamente collocato presso la cappella del Palazzo di città nella piazza Palazzo a Castello. Un’opera ancora legata all’impianto catalano, ma per molti versi con riferimenti alla pittura italiana. Curiosa la fisionomia della Santa che presenta un’anomalia nello sguardo che la rende molto moderna, ma che probabilmente è solo il retaggio di qualche restauro non calibrato. Sappiamo che il Cavaro morì lasciando quest’opera incompiuta e ciò si nota laddove la mano si fa più pesante e inesperta.

Sempre nel Municipio è conservato il frammento di un retablo detto della Porta dell’Angelo proveniente dall’antica piazza S. Carlo a Stampace, ora scomparsa. Vi sono raffigurati gli arcangeli Michele e Raffaele: le forme sono arcaizzanti e richiamano l’arte catalana, ma la punzonature del fondo in oro è identica a quella utilizzata dai Cavaro nella loro bottega di Stampace; perciò si pensa che sia opera dell’allievo Antioco Mainas anche dalla presenza di una caratteristica assai curiosa: infatti le mani sono composte da sei dita, cifra stilistica di questo artista formatosi alla scuola dei Cavaro.

Nella chiesa piccola di fattura gotico catalana adiacente alla Basilica di Bonaria si conserva il frammento pittorico detto della Madonna del cardellino, anticamente facente parte di un retablo di cui non è noto il nome e del quale altri due frammenti sono custoditi nell’adiacente convento dei padri mercedari.

Esso è attribuito a Michele Cavaro, ultimo esponente della scuola di Stampace. Si pensa che fosse dotato di una predella con nove scomparti, ma il dato non è supportato da indizi certi. La qualità della pittura è molto alta e vale la pena di una visita, si trova sulla destra della chiesa guardando l’altare maggiore.

Last, but not least, permettetemi una digressione verso quello che si ritiene sia il capolavoro tra i retabli sardi di influenza catalano fiamminga: il retablo conservato nella chiesa parrocchiale di Tuili, San Pietro.

La pittura del Maestro di Castelsardo rappresenta l’eccellenza artistica catalana nell’Isola. La sua personalità artistica è avvolta nella leggenda non essendo mai stato noto il suo nome. Si pensa ad un artista catalano della scuola barcellonese che fosse anche a conoscenza della pittura italiana del ‘400, in particolar modo della prospettiva paesaggistica. Nel retablo di Tuili, infatti, scompare il fondo dorato punzonato tardo gotico che si trasforma in un gioco prospettico molto più vicino agli italiani e ai fiamminghi, pur inserito in una cornice di fattura gotico catalana. L’impianto prospettico si nota nella rappresentazione della madonna in trono che presenta però sembianze fiamminghe. Nella parte superiore è raffigurato, come spesso accade nell’iconografia del retablo, il crocefisso, mentre ai lati sono dipinti l’arcangelo Michele e san Pietro, che da nome all’opera. La sua realizzazione risale al 1500, datazione ricavata dal ritrovamento dell’atto con cui i Santa Cruz, Signori di Tuili corrisposero il pagamento dell’opera al misterioso pittore. L’opera è stata dichiarata monumento nazionale fin dal 1893 ed è stato effettuato in tempi recenti un pregevole restauro conservativo che ne ha riportato alla luce il cromatismo e l’eleganza.

L’itinerario artistico si ferma momentaneamente qui, sperando di avervi incuriosito, consigliandovi di ricercare i numerosi, altri bellissimi retabli sparsi per la Sardegna di cui non vi ho detto per non dilungarmi troppo, sicura che possa essere un passatempo esteticamente dilettevole per chi ama l’arte e il nostro territorio.

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