Porto di Genova
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di Claudia Spano Santa Cruz

Spesso si sentono dire frasi per me incomprensibili: smettila di fare il facchino”, o “non usare un linguaggio da porto”,”sembri uno scaricatore di porto”.
Il tono non è certo elogiativo e indica un modello comportamentale da non seguire perché non riconosciuto nei salotti bene, sicuramente nelle famiglie formaliste e di per certo nel Galateo di Monsignor della Casa.

All’interno dei porti c’è sempre stata una vita tumultuosa e vitale, fatta di imprevisti, di lavoro pesante forse poco riconosciuto, di lavoro insidioso e pieno di pericoli, di tensioni e responsabilità. Ivi è nato da sempre un linguaggio assai colorito e spontaneo e per forza di cose anche dai toni alti.

Scaricatori e i facchini sono persone estremamente utili, addetti ai lavori pesanti. Pertanto si tratta di persone degne del massimo rispetto e non vedo l’opportunità e/o l’utilità di sminuire con paragoni un linguaggio popolare che, ovviamente e non solo a parer mio, nasce e viene utilizzato dalle persone giuste al momento giusto quindi perfettamente riconoscibile.
Lo scaricatore ed il facchino sono presenze indispensabili all’interno del porto, perché pur essendo subentrate tecnologie e mezzi meccanici ad oggi le macchine non sono in grado di sostituire il loro lavoro.

La scoperta e l’utilizzo delle gru hanno segnato un grande passo avanti innovativo e fondamentale per il sollevamento di pesi eccezionali, ciononostante, ovviamente, i macchinari vanno sempre soggetti a controlli da parte dell’uomo ed a precise regole per il loro funzionamento. Incarichi di grande responsabilità.

Ricordo il racconto di un amico emigrato negli anni sessanta negli Stati Uniti, che mi riferiva che almeno fino ad alcuni anni fa, nel porto di New York, qualunque merce venisse scaricata dalle navi non doveva toccare il suolo, ma doveva restare leggermente sollevata da terra, pena la dequalificazione del prodotto. Pare che le merci che venivano depositate dalle gru direttamente sul suolo, dovessero essere buttate perché immediatamente considerate non integre per via dell’impatto. Quindi gli addetti ai lavori avevano una responsabilità ed una carica di stress superiore al pensabile.

Nel caso specifico, non mi resta che lasciarmi andare con l’immaginazione per intuire come, probabilmente, questa ordinanza potesse venire controllata e gestita dalla concorrenza. Per fortuna l’immaginazione è un fronte ancora libero.
Lo scaricatore di porto fa un lavoro denso di tensione e preoccupazione unito a prestanza fisica che non ammette influenze o giorni no, non ammette paura delle intemperie, del freddo o del caldo, perché le navi arrivano e ripartono a pieno carico ogni giorno e le leggi e gli interessi che regolano del commercio non ammettono scuse.
Ecco perché riconosco il loro linguaggio verace, spontaneo, un po’ fuori dalle righe ma a pieno titolo per fuoriuscirne, un linguaggio “movimentato” al pari della loro professione, un linguaggio in cui la voce alta o la parola di troppo può anche assumere uno scopo terapeutico e sedativo.

Personalmente non riconosco in alcun modo la bestemmia perché non apprezzo chi offende, insulta o maledice altro chiunque altro essere, in particolare se riconosciuto dai più come Essere Superiore o come una Divinità.
La parolaccia invece è presente in tutte le lingue e in tutti i vocabolari, sono pertanto incluse nei linguaggi e solo che per motivi vari non ne è consentito l’utilizzo.
Insomma sono inserite e bandite nello stesso contesto: qui nasce la mia perplessità.
Sfido chiunque si pesti un dito se preferisca soffrire in silenzio o scaricarsi con una parolaccia. Ben venga la parolaccia a scopo liberatorio da una preoccupazione o un’ansia, è un rimedio più naturale ed efficace che reprimersi ed essere costretti a ricorrere all’uso di un sedativo.

Forse gli scaricatori di porto l’hanno intuito prima di noi, col loro linguaggio fiorito.
Ritengo che la nostra società abbia subito un processo evolutivo tale da poter ribaltare questo paradigma: non più sembri uno scaricatore di porto, ma sarebbe più opportuno insegnare lavora come uno scaricatore di porto, se sei teso di pure una brutta parola come i facchini senza tema di essere giudicato.
Sono paragoni semplici per niente complicati, interamente rivisitati ma efficaci.
Ed è per questo che ribaltando il paradigma, quando si presentasse l’occasione, dovremmo utilizzare al momento opportuno anche un linguaggio da porto in modo franco, libero di poter “scaricare” le nostre emozioni ben delimitate in schemi e modelli di confronto, a parer n mio, un po’ superati.

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