Il dono della festa
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“In tutte le società che ci hanno immediatamente preceduto e che ancora ci circondano, ed anche in numerose usanze connesse con la nostra morale popolare, non esiste via di mezzo: fidarsi interamente o diffidare interamente; deporre le armi e rinunciare alla magia, o dare tutto: dalla ospitalità fugace alle figlie e ai beni. E’ in uno stato del genere che l’uomo ha rinunciato a restare sulle sue e si è impegnato a dare e a ricambiare”

M.Mauss, Saggio sul dono

“Animu, animu”, incitava una giovane tra folla che accompagnava i Mamuthones ai fuochi rionali. I tradizionali falò di Sant’Antonio del 16 e 17 Gennaio hanno appena allietato anche la Sardegna e, a Ottana e Mamoiada è ufficialmente iniziato il tempo del Carnevale. Le maschere dei Mamuthones e degli Issohadores, dei Boes e dei Merdules e la Filonzana hanno fatto la loro essia tra il clamore degli spettatori e il flash dei fotografi. Un incontro esemplare tra sacro e profano ha qui il suo suggello, una commistione costante; il simulacro del santo protettore degli animali, è portato nella breve processione che dalla chiesa conduce al fuoco antistante; ai tre giri propiziatori attorno ad esso, il Credo recitato dai fedeli e la benedizione segue l’offerta cerimoniale di vino e zeppole. Nel momento in cui la statua è ricondotta in Chiesa, il fragore dei campanacci annuncia l’arrivo dei Boes e dei Merdules e, di nuovo i giri attorno al falò e la lotta dell’uomo “imbovato” con l’animale, lotta che appare come una costrizione che incatena intimamente uomo e animale, in una terra prevalentemente di pastori. Mentre la Filonzana procede lenta, gobba e scosciata con il fuso tra le mani, i bambini giocano accanto al fuoco, i visi anneriti dalla fuliggine, un trucco, una maschera che segna il momento ludico.

A Mamoiada non si vedono visi anneriti, ma gli spettatori scortano con partecipazione e dedizione i Mamuthones e la loro danza pesante guidata dagli Issohadores, da un fuoco all’altro, da un rione a un altro, da unu cumbidu a s’atru. Proprio l’offerta rituale di oggi così come di ieri, su cumbidu suscita riverberi maussiani. Emerge infatti la concezione del “dono” che trova espressione nella festa, come un impegno nel dare, ricevere e ricambiare. I fautori principali esprimono un’immagine di sé, quali “donatori” di festa, coloro che con fierezza e con fiducia “danno” la festa, mentre gli altri fanno festa. Ricevono stima, considerazione affettiva e instaurano relazioni sociali nuove, consolidano legami già esistenti, offrendo a tutti dolci, pabassinos bianchi e neri soprattutto, ma anche caschettas e vino, vino in abbondanza. L’offerta del cibo come dono esplicita il senso della festa “donata”. Al contempo si ha come l’impressione che la loro offerta voglia essere una sorta di ringraziamento per essere lì a festeggiare con loro. L’esserci, si configura altresì come un dono, elargito dagli spettatori. La festa si dà e alla festa si unisce l’offerta.

L’accoglienza stessa a Mamoiada è accompagnata dalla donazione di un bicchierino di vino. La festa di Sant’Antonio innesca un vivace traffico di beni e servizi, successivamente e più lentamente stimola e incoraggia la nascita e lo sviluppo di relazioni sociali anche a lunghe distanze, lo scambio e la partecipazione. Tutta una comunità si mette in moto per dare la festa. L’offerta del cibo come dono, ha un valore simbolico, configurandosi come intercessore di espressioni culturali, sociali e religiose.L’osservazione mi ha riportato alla “teoria del dono” espressa da Marcel Mauss nel noto “Essai sur le don”, in cui egli, riflette sulla “circolazione delle cose”, e correlando il kula, quale forma di scambio rituale effettuato nelle isole Tobriand e il potlàc, quale “gara ” di scambio rileva una “relazione funzionale” tra scambio e dono; il dono se è regolarmente un’eccezione, sta tuttavia alla base del meccanismo che guida le società; figurerebbe come elemento di un sistema di reciproche opere a un tempo libere e “obbligatorie”, nel senso che il dono elargito liberamente “impegnerebbe” moralmente il ricevente a ricambiare attraverso un altro dono, attivando un’ intenso traffico di doni offerti e doni controbilancianti. Ricambio che, nel nostro caso potrebbe configurarsi nella stima e nel compiacimento, nell’esserci in quel momento e in quel contesto, così come nella creazione di legami sociali. In questo modo si origina lo scambio; uno scambio che, articolandosi nei tre momenti reciproci del “dare- ricevere-ricambiare”, parte dagli individui e arriva a coinvolgere l’intera comunità.

Muovendoci dalla Barbagia al Campidano incontriamo il dono in altri e diversi momenti festivi. A Teulada si celebra Santu Sidoriu, patrono degli agricoltori e della Tuerra. I teuladini sono particolarmente devoti al santo madrileno, lo onorano due volte l’anno, attualmente a Maggio e ad Agosto, ma per tradizione a Settembre, in concomitanza con il ciclo produttivo contadino. E’ presumibile che l’origine della sagra sia in qualche modo legata alla creazione nell’isola dei Monti Frumentari, come positos,depositi di grano, introdotti tra il XVI e XVII secolo per iniziativa delle autorità religiose spagnole. La sagra, ancora oggi conserva i connotati di una romeria, dove, il pellegrinaggio dei fedeli dal paese al santuario campestre è espressione di una festa del ritorno e del ricordo.

Negli anni Trenta la celebrazione religiosa terminava ancora con su ballu ‘e su Santu, nei pressi della chiesetta campestre, nella località di Tuerra, dove ognuno portava, a seconda delle proprie disponibilità e risorse, chi del pane, chi dei dolci, un agnello, un cesto di frutta, una gallina, prodotti della terra e del faticoso lavoro dell’uomo in campagna; alimenti che venivano donati e consumati collettivamente al termine della celebrazione religiosa. Il concetto del dono ritorna, ancora una volta sotto forma di cibo, nutrimento non solo corporeo, ma, quale fatto sociale totale, è simbolo della relazione sociale tra gli appartenenti alla comunità. Un dono elargito attraverso una donazione individuale e consumato collettivamente. Qualche mutetus vivacizzava il banchetto che terminava all’imbrunire con un “a medas annus!”.

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