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Il Viognier, varietà francese proveniente dalla Valle del Rodano, è stata adottata dalle cantine Ômina Romana, così come per tutti gli altri cultivar viticoli, perché dopo attenti studi sul terroir veliterno è stato possibile confermare la vocazionalità dei suoli ove il vigneto è stato messo a dimora, confermando, nella natura vulcanica con matrice franco sabbiosa degli stessi, l’alto potenziale espressivo del vino che questa azienda produce.

A tutto ciò un attento criterio di codifica, tale da assegnare un identikit a ciascuna pianta, pratiche sostenibili per l’ambiente, l’inerbimento naturale, la gestione della chioma e la selezione dei grappoli fin dall’invaiatura, contribuiscono nell’insieme a favorire complessità e longevità ad un vino di assoluto pregio.

Il vino degustato è figlio di un altro tempo e di un’altra concezione enologica, ecco perché non verranno spese parole sui criteri di fermentazione ed affinamento. Il Viognier 2013 di Ômina Romana non esiste più nel metodo ma si è evoluto, ha assunto un nuovo protocollo di produzione a dimostrazione che l’azienda resta fedele ai suoi valori ma non si fossilizza, procedendo costantemente verso nuove forme di innovazione.

Il Viognier Lazio Igt 2013 prorompe con le sue profumazioni ammalianti e sorprendenti prima ancora di poter mettere a fuoco la sua veste giallo dorata carica, luminosa e la grande consistenza che si staglia contro le pareti interne al calice.

Il profumo di biancospino fresco, malva, camomilla e salvia essiccata assieme, poi l’uva spina, cedono il passo al tipico odore delle muffe del gorgonzola, quello dolce, finissimo e senza irruenze olfattive, del koji e del tartufo bianco. Il valzer di profumazioni si trasferisce al palato, è una morbida parata, che fa scivolare giù il sorso senza stare troppo a pensarci, un arazzo in forma liquida che scende giù come seta, voluttuoso e vibrante malgrado i suoi otto anni. In bocca tornano le profumazioni floreali e fruttate, persiste il sottobosco ed i toni muffati si ingentiliscono nella scia retro olfattiva del pan brioche, del burro di nocciola e della custard cream, tutte avviluppate nelle componenti gliceriche che, grazie ad una calibrata acidità, rende la beva niente affatto stucchevole per quanto il residuo zuccherino, concentrato dagli effetti del tempo su altre componenti, è palese tanto da immaginare ad un abbinamento goloso e trasversale: la crema namelaka con polvere di fagioli di soia, disposta su un crumble al caffè ed adornata di cioccolato fondente, gelato al kinako e liquirizia con le loro polveri. Un dessert che vi farà dimenticare il tiramisù, ideato dall’estro creativo di Giuseppe Molaro al Contaminazioni Restaurant, da poco insignito della stella Michelin da quando è tornato dal Giappone.

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