Varco
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Cagliari (ITALIA)

“VARCO”.
Coreografia, scene, costumi e interpretazione di Frida Vannini e Carmelo Scarcella.
Musiche: Paki Zennaro;
Disegno luci e tecnica: Andrea Margarolo.
26/27 giugno 2010
Spazio T.off TERSICOREA di Cagliari
diretto dalla coreografa Simonetta Pusceddu.

Come in un viaggio nei meandri dell’inconscio, letteralmente trasportati, coinvolti nelle dinamiche oniriche che scandagliano gli abissi fluttuanti nei tempi di tutte le esistenze.
Nessuno spirito guida è lì a mostrare didascalicamente dannazioni e piccole gioie catalogabili, ma qui entra in gioco il palpitante coinvolgimento emotivo, il respiro unisono delle esperienze più vaste, dense di schiaccianti realtà dalle quali non si esce, dentro le quali non vi è scampo.
Le ritornanti spire del fenomenico catapultano corpo e mente nelle dimensioni altre sul margine del conoscibile, rispecchiandole semplicemente nelle elementari dinamiche relazionali Uomo – Donna. Il ritmo è quello stesso dell’esistenza dove sono enormi potenziali energetici a spendersi e che muovono l’agire alterno di forze contigue che cambiano sempre di segno. L’intreccio problematico della sessualità è ben sviluppato, scandito nell’alternanza definita dall’eros, nelle sue tensioni di attrazione e rifiuto, frammisto al pathos esistenziale dei ruoli.
A sostenere questi aspetti giovano gli elementi identitari dello schema classico, adottati in raffinata forma minimale e allegorica, ricca di contrasti, che tendono alla ricongiunzione degli opposti nella tensione desiderante.

Carmelo Scarcella, figura di considerevole fisicità e presenza scenica, danza calzando scarpe di uno stile severo, quasi militaresco, e indossando semplicemente una camicia e dei pantaloni scuri sostenuti da vistose bretelle. Tali segni accessori visualizzano ancora di più il carattere forte accentuatamente autoritario del personaggio che interagisce con una partner dalla variegatissima gamma espressiva e tecnica. Frida Vannini danza a piedi nudi, come spesso si usa nella danza contemporanea. Ecco il primo dettaglio segnico che determina – già da solo- una forte caratterizzazione della differenza, amplificata ancora dal costume – un vaporoso abito bianco, di vago aspetto nuziale, accollato sul davanti, ma che lascia completamente scoperto il dorso. Questi sono gli scarni, essenziali elementi di significativa valenza simbolica. Ed è proprio con essi che l’azione coreutica può articolarsi nei suoi contenuti narrativi percorrendone le innumerevoli estensioni simboliche.

Il volto e il dorso di Frida sono protagonisti incontrastati dell’eros e compendiano tutte le valenze che – in quel campo – lo sguardo di una cultura – al maschile – ha potuto attribuire al corpo della donna, sin dalle espressioni più antiche dall’arte figurativa, in tutte le più celebrate forme.
I più classici elementi della rappresentazione del modellato artistico sono posti in gioco, quasi come in una galleria di marmi ellenistici, evidenziati in pose plastiche, da un’illuminazione radente che ne accentua i contrasti. È il trionfo della fisicità.
Ma ancora le variabili dei significati non sono esaurite. Carmelo e Frida danzano come in un confronto titanico, dove però si intravvede un VARCO, una possibile soluzione alla conflittualità.
E questo si legge nei volti, nella loro specchiata soggettività: riflesso dell’impegno dell’io all’esistenza.

Nella psiche affollata di simboli evocata dai danzatori campeggia la figura del totem: elemento verticale – Axis mundi – ( di per sé segno maschile ) sul quale l’uomo configge i suoi puntelli, illusori punti fermi sui quali pensa di poter ancorare le sue certezze. Si tratta di un palo di legno con dei fori dentro i quali gli appuntiti cunei vengono cacciati dentro con vibranti, sonore, ritmate martellate. Può alludere alla croce, ai chiodi della crocifissione, come alla forca, sulla quale è la donna a essere immolata. Oppure può ancora, una volta abbattuto – inevitabile destino – divenire un improbabile vascello o relitto sul quale è l’uomo a navigare o a lasciarsi trasportare dalle correnti.
Quel suono così scandito, così inesorabile, ci fa capire inequivocabilmente in quale realtà ci troviamo: quella delle illusioni, dove ogni riferimento è subito contraddetto, dove il territorio di senso stenta a stabilizzarsi, anche per un solo istante. Tutto si ribalta, tutto collassa, entra in crisi. Poi rifluisce in un nuovo principio, violento e perentorio, in una nuova forma del soggiogamento alla forza e nella successiva liberazione da essa, come catarsi post-sacrificale, dove Frida viene a più riprese letteralmente appesa al palo, al totem, divenendo essa stessa feticcio, bambola rotta, bambina, vittima dell’eros, corpo – oggetto.

L’altro elemento scenografico col quale i danzatori interagiscono, è costituito da un tavolo (proposto come compendio di segni al femminile). Lo definiamo tavolo, in quanto forma primaria, denotativa. Successivamente comincerà a mutarsi in ulteriori forme, quelle forme simboliche che via – via assumerà in altri significati, e che saranno determinanti nella conduzione della narrazione coreutica. Esso, infatti, rappresenta prima un semplice tetto, poi diviene casa, porta, prigione del corpo e dello spirito, burka. Posto poi in posizione verticale mostra, nella discontinuità della superficie, l’evidenza della sua intima struttura, il sostrato di centine, visibili attraverso una breccia, come una lancinante ferita, e poi una vera e propria finestra con le ante, attraverso la quale la donna può espandere solo il suo desiderio di libertà, in un’ improbabile fuga delle sue mani, delle braccia, dei capelli. Ma che si conclude con un ritorno all’interno del burka, della prigione di un corpo negato. Infine, alla chiusura del quadro, dopo la solenne e distante epifania della figura ancora una volta il tavolo ridiviene talamo nel quale riprendere il sonno.
L’alternanza sonno-veglia è efficacemente sottolineata anche dalla componente musicale (a cura di Paki Zennaro) ricca e articolata, all’interno della quale i quadri scenici e le tensioni della danza evolvono dai toni più drammatici per distendersi in armonie di squisito lirismo.
Il ritmo dell’azione scenica, nelle sue accelerazioni e nei suoi rallentamenti portati sino alla stasi, sostiene la forte drammaticità del discorso sul corpo e dei suoi nodi problematici sul piano identitario ‘soggetto – oggetto’ che il corpo può assumere. Ma quanto detto sin qui non può assolutamente rendere l’idea di come, da spettatori, attraverso i meccanismi della rappresentazione posti in essere, ci si possa sentire coinvolti in quella che non esito a definire una delle migliori esperienze estetiche alle quali abbia assistito.
Dal mio punto di vista di artista visuale, di pittore e di fotografo, ogni istante dello svolgimento narrativo della coreografia, nella sua complessità e articolazione, nei suoi elementi costitutivi, visivi, dinamici, plastici e sonori, si traduceva in frames di altrettante immagini, come in una proiezione di ulteriori figurazioni e allegorie, fin nei minimi dettagli di ogni piccolo gesto, sempre pregnanti di significati diretti o trasposti.

Quel senso del tempo, così efficacemente scandito, mi appariva finalmente estraneo alla sua ordinaria linearità assumendo bensì la forma di spirale nastriforme che può avere la buccia di un’arancia, mobile ed estensibile, non più coerente con la forma originaria, con l’archetipo, del quale serba solo il ricordo, aprendo così ulteriori spazi a nuove dimensioni dell’immaginario.
Tutto ciò comporta delle conseguenze importanti sulla necessità di riconsiderare la nostra esistenza, di fare un upgrade della scala valoriale delle nostre presunte certezze.

Di tutto questo dobbiamo ringraziare Frida e Carmelo – meravigliose persone e grandi artisti.

 

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